Israele: Chiesa preoccupata per l’espulsione di madri e figli filippini
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Non si può ignorare la condizione particolare in cui versano i lavoratori stranieri e i loro figli nati nel Paese”. In questo passaggio del documento sottoscritto dagli ordinari cattolici di Terra Santa, c’è tutta la preoccupazione per quanto sta accadendo in Israele. Le autorità competenti in materia di immigrazione stanno espellendo coloro che hanno perduto il proprio status e il permesso di soggiornare nello Stato ebraico. Insieme alle lavoratrici anche i loro figli sono destinati a lasciare il Paese.
Figli che si sentono israeliani
“Stiamo parlando - si legge nel testo - di donne arrivate qui per rispondere a una esigenza della società israeliana”, solitamente impiegate nei lavori domestici o nell’assistenza agli anziani. “I loro figli, nati qui, vengono istruiti nelle scuole israeliane, parlano, studiano e giocano in ebraico, amano lo Stato d’Israele e vedono in esso il proprio posto e il proprio futuro”.
Una politica che crea disagi
Gli ordinari sottolineano la scelta alla quale vengono sottoposte le donne filippine: continuare a lavorare in Israele o esercitare il proprio diritto alla maternità. “La prassi – scrivono - prevede infatti che venga loro ritirato il visto in seguito alla gravidanza, se decidono di tenere il bambino con loro in Israele, e che si prosegua alla loro sostituzione con altre donne straniere”. “Ci domandiamo se una tale politica rispetti davvero il contributo apportato dal loro infaticabile lavoro alla società israeliana. Non è vero che questa politica mette in difficoltà sia queste donne sia i loro datori di lavoro?”
Misericordia per i bambini
L’appello contenuto nel documento è di usare misericordia nei confronti dei bambini, “relativamente pochi”, che sono nati e cresciuti in Israele, alcuni di loro addirittura non hanno i requisiti per chiedere la cittadinanza nel loro Paese di origine. L’invito alle autorità è di “dar loro la possibilità, in particolari condizioni, di continuare la propria vita nella loro terra natia”.
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