Al via al Regina Apostolorum di Roma il primo diploma in "Donne e Chiesa"
Cecilia Seppia – Città del Vaticano
Non si tratta di pari opportunità, di “quote rosa” all’interno di un’istituzione secolare fatta soprattutto da uomini, piuttosto di riconoscere alla donna i carismi straordinari che Dio le ha dato per l’edificazione della Chiesa e il bene della società intera. Ma nonostante questo sia una pietra miliare nel magistero di Papa Francesco, ostacoli, discriminazioni e barriere culturali rendono ancora difficile il pieno inserimento della donna, laica e consacrata, nella vita ecclesiale e ancor più nei ruoli chiave, tra quei vertici deputati a prendere decisioni. Recuperando anche un patrimonio storico e teologico che la pone al centro e non ai margini e soprattutto seguendo il richiamo del Papa, l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna dell’Ateneo pontificio Regina Apostolorum ha così inaugurato il Diploma in “Donne e Chiesa”, che ha radunato a Roma 48 docenti, 12 università e altri organismi come Caritas internationalis, il Forum delle associazioni familiari, il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita e la Segreteria per il Sinodo dei Vescovi. Il corso è pensato per vescovi e presbiteri, religiosi impegnati in ruoli formativi o di leadership nell’ambito ecclesiastico a livello curiale, diocesano e accademico, che vogliano capire e promuovere il contributo della donna. D’altra parte la Chiesa, dice ai nostri microfoni, monsignor Gianrico Ruzza, vescovo ausiliare di Roma per il settore Centro e membro del Comitato scientifico, ha bisogno di riscoprire il suo volto femminile e materno per vivere in pieno la sua vocazione in uscita che contempla anche una conversione missionaria delle strutture.
R. – Credo che l'apporto specifico della donna alla Chiesa riguardi proprio la "umanizzazione" e cioè la capacità di leggere con uno sguardo profondo, uno sguardo attento, uno sguardo spirituale, e contemplativo quella che è la missione della Chiesa stessa. Come diceva San Giovanni Paolo II, l’ambito femminile è l’ambito dell’amore ricevuto che dona amore ed è quindi uno sguardo che dà una qualità diversa alle cose, soprattutto opera la mediazione, perché nella interazione tra mascolinità e femminilità, in questo dialogo di alterità, in questa complementarietà ci può essere, rispetto alle sfide della società attuale, una maggiore capacità di comprensione e quindi poi di azione per proporre il messaggio cristiano che diventi sempre più incisivo nella società che, come vediamo, è frammentata, è una società estremamente isolazionista, individualista, quella società di cui Papa Francesco dice che ha tante, troppe malattie.
Forse per valorizzare il ruolo della donna nella Chiesa è necessario come prima cosa cercare di superare le barriere culturali o anche di altro genere, che rendono difficile il pieno inserimento della donna nella vita della società e della Chiesa stessa …
R. – Io penso che la tradizione cristiana su questo abbia moltissime cose da dire. Parlando di Roma, visto che siamo a Roma – almeno, io mi occupo della diocesi di Roma come ausiliare – Roma ha avuto una scuola teologica femminile fortissima e ricchissima, nei primi secoli della costituzione della comunità cristiana, con le seguaci di San Girolamo, per esempio; e se penso a tutto il contributo che le donne hanno dato alla spiritualità cristiana, è un contributo enorme. Noi dobbiamo recuperare questo, perché il problema è che le discriminazioni, che sono nate certamente in ambito sociale, ma poi si sono riverberate anche in ambito ecclesiale, hanno mortificato il ruolo della donna e invece oggi abbiamo tutti gli strumenti, in particolare a partire dal Concilio Vaticano II e da Giovanni Paolo II, per dare uno spazio significativo alla donna nella Chiesa, nella ricchezza e nell’articolazione dei ministeri e dei carismi, poiché essa è dono e risorsa.
Il Papa, ha riassunto in quattro verbi l’impegno da assumere nei riguardi della forza ecclesiale e sociale delle donne, cioè: comprendere, rispettare, valorizzare e promuovere. Questo spetta alla Chiesa, ma spetta alla società intera …
R. – Non c’è dubbio che spetti alla società intera, e la Chiesa può dare una parola di profezia per aiutare la società a vivere con questo impegno che per la Chiesa dev’essere connaturale, e per la società dev’essere invece qualcosa da acquisire perché evidentemente – e lo sappiamo e lo vediamo anche per tutte le discriminazioni e le violenze che le donne, purtroppo, subiscono nel mondo, in tante parti del mondo e anche nel mondo occidentale – tutto questo non è scontato. Allora la Chiesa può essere un forte richiamo e, a cominciare da se stessa, può dare il segnale che va in questa direzione.
Una delle principali caratteristiche della donna è, secondo il Santo Padre, la vocazione alla fraternità; però, ci sono anche altre cose, quindi non solo il dialogo nelle sue varie declinazioni ma anche la cura del Creato, la risoluzione dei conflitti, tanti contesti, tanti ambiti in cui la donna può muoversi, forse anche meglio dell’uomo …
R. – Io credo che lo scopo di questo diploma di studio sia proprio quello di individuare degli specifici attributi, delle specifiche caratteristiche che la femminilità può portare all’arricchimento della società. Io credo che molto stia proprio nella capacità di mediazione ma anche nella capacità di intellezione e di comprensione, non a caso parliamo di genio femminile.
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