Becciu: Beata Benedetta Bianchi Porro, crocifisso vivente
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Non poteva essere scelta occasione migliore del giorno in cui la Chiesa ricorda ed esalta la Croce da cui Cristo ha salvato l’umanità, per la Beatificazione di Benedetta Bianchi Porro, una vita segnata dalla malattia nel corpo, che le ha consentito di elevare oltremodo lo spirito, lassù fino a Dio. Non si lascia sfuggire questa coincidenza di date, il cardinale Becciu, che nella sua omelia ricorda come la Croce sia la dimostrazione che Dio ci ama: “Contemplando la Croce capiamo il senso della nostra vita, la bellezza della nostra fede – esordisce – essa ci mostra che Dio ha condiviso le nostre sofferenze e ha sacrificato se stesso per la nostra redenzione”.
Con Gesù sulla croce
La vicenda umana di Benedetta è incomprensibile se non è vista alla luce della fede e della Croce, che ha una permanente centralità nell’esperienza cristiana. Ma attenzione: “Il dolore umano ha carattere salvifico quando è vissuto come Gesù sulla Croce”, ricorda il porporato. E Benedetta è un esempio fulgido di “cosa può e deve essere la Croce per noi cristiani”. Vera testimone, ella “ha immolato la propria vita sull’esempio di Gesù e in unione con Lui, riuscendo a superare coraggiosamente e a tradurre in chiave evangelica le condizioni più negative che possono accompagnare un individuo”. Come naufraghi in mezzo al mare del peccato, siamo chiamati anche noi “ad aggrapparci a questo legno santo, che ci porterà all’approdo della nostra salvezza”.
Mai più paura della paura
Come tutti i Santi, Benedetta ci conferma che “l’abbraccio con Cristo crocifisso è sorgente di luce, di pace e di intima gioia”, anche se il linguaggio della Croce può suscitare paura e risultare duro anche per i fedeli più saldi. Nella sua vita terrena tutto il suo corpo era diventato un “crocifisso vivente”: la sordità, la cecità, l’afonia, l’insensibilità, le paralisi… eppure, tanto più il suo fisico s’indeboliva, tanto più si fortificava la sua anima e fioriva rigogliosa la sua fede, nella certezza che al termine del suo cammino ci fosse il Signore. “Così Benedetta è arrivata ad accettare la malattia come vocazione e vero apostolato - aggiunge il cardinale Becciu – affermava di avere sì paura, ma di non aver più paura del fatto di averne. Consapevole della propria sofferenza, la offriva a Lui sapendo che era il modo che le veniva richiesto di collaborare al regno di Dio”.
L’Eucaristia: pane spirituale indispensabile
Da dove traeva Benedetta una tale forza? Dall’Eucaristia, nutrimento spirituale indispensabile: “Desiderava la comunione ogni giorno – racconta il porporato – così come ogni giorno aveva bisogno dell’alimento materiale”. Dal Pane e dalla Croce divina, dunque, la nuova Beata “traeva pienezza di luce e serenità”, grazie alle quali riusciva a lasciarsi condurre attraverso strade che non conosceva e non comprendeva, come quella, appunto, del dolore e della malattia. Lo dice lei stessa scrivendo le seguenti parole: “Nel mio calvario non sono disperata. Io so che in fondo alla via Gesù mi aspetta’”. E certamente ora l’ha presa per mano.
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