Padre Bottasso: Sinodo per l’Amazzonia vera sfida per il mondo
Federico Piana- Città del Vaticano
Padre Juan Bottasso, classe 1936, missionario salesiano italiano, vive in Ecuador ormai da sessant’anni. Conosce molto bene la foresta amazzonica per averla percorsa in lungo e in largo sconfinando anche in quella brasiliana, venezuelana e peruviana. Il rapporto stretto con le popolazioni indigene e la condivisione dei loro problemi, delle loro necessità e dei loro sogni gli ha permesso di pubblicare numerosi studi umanistici e fondare l’Istituto di antropologia applicata all’Università tecnica della città di Loja. Come esperto, sarà presente all’imminente Sinodo sull’Amazzonia che si aprirà in Vaticano il prossimo 6 ottobre.
Il mondo ripone molte speranze in questo incontro. Quali sono le sue aspettative?
R.-Anche io nutro grande speranza. Ma anche un timore: che il dibattito, nell’opinione pubblica, venga da subito monopolizzato dalla questione dei cosiddetti viri probati, l’ordinazione di uomini sposati di una certa età e di provata fede che possano celebrare la Messa in quelle comunità con scarsità di sacerdoti. Sono d’accordo sul fatto che sia un tema interessante e che vada affrontato ma ho la preoccupazione fondata che la discussione esterna si impantani su questo punto e si accantonino i problemi generali e dolorosi dell’Amazzonia. E’ la prima volta che un sinodo viene dedicato ad un area geografica e non ad un tema pastorale: approfittiamone. Non ci dimentichiamo degli incendi che nei mesi scorsi hanno devastato la foresta pluviale brasiliana e boliviana. Oltre due milioni di ettari bruciati. Tutti incendi dolosi…
Lei teme che la poderosa macchina mediatica influenzata dalle multinazionali possa accendere volutamente i riflettori sulla questione dei viri probati per lasciare in ombra gli appetiti dei gruppi di potere economici mondiali che hanno interesse a continuare a sfruttare le immense risorse amazzoniche, giusto?
R.-Ha capito benissimo. Bisogna stare attenti. Certamente la Chiesa in Amazzonia ha ancora una voce autorevole ma si trova davanti ad una grande sfida. E’ una Chiesa che ha pochissimi preti e tra questi ancora meno sono dedicati alle popolazioni autoctone. Gli indigeni sono la popolazione più trascurata anche perché sono i più isolati. La preoccupazione di costruire una Chiesa col volto amazzonico è una scommessa enorme. I missionari stanno scomparendo e quelli che resistono sono sempre più vecchi. Bisogna cambiare lo stile della pastorale coinvolgendo soprattutto i laici perché nelle varie comunità locali sia presente un animatore. Altrimenti ci sostituiranno le comunità evangeliche.
Quali sono le vere priorità per l’Amazzonia?
R.-La prima, in assoluto, è convincere l’opinione pubblica di tutti i Paesi del mondo che la difesa dell’Amazzonia è vitale. Tutti i governi puntano sullo sfruttamento perché hanno grossi problemi economici da risolvere. Purtroppo non vedo una valanga di consensi nei confronti dell’Amazzonia. Non sono solo le multinazionali a vedere le popolazioni autoctone come fumo negli occhi ma anche la gente comune delle nazioni opulente. La Chiesa ha ancora una forte autorevolezza per cambiare questa mentalità. Altra priorità: non idealizzare le popolazioni indigene. Non tutte sono attaccate alle proprie tradizioni. I giovani sono orientati alla modernizzazione, molti di loro si trasferiscono nelle città e perdono l’identità, il legame con il proprio passato. D’altronde, in Amazzonia l’80% della popolazione vive nelle grandi città e non pensa certo alla conservazione dell’ambiente. Questa è una verità che non bisogna tacere.
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