Libano. Cardinale Raï ai politici: non speculate su religione per sete di potere
Roberta Gisotti – Radio Vaticana
La voce del cardinale Raï si è levata con parole dure di denuncia verso la classe politica, accusata di opportunismo, durante l’omelia della Messa celebrata, ieri sera a Beirut, nell’Università di St Joseph, in apertura dell’Anno accademico, nel 145mo di fondazione nel 1875 dell’ateneo cattolico ad opera dei Gesuiti. Una cerimonia che ha celebrato anche il prossimo centenario dello Stato del Grande Libano, istituito nel 1920 sotto il mandato della Francia, da cui si renderà indipendente nel 1943. A quella data risale il Patto nazionale, che sancisce la divisione delle cariche fra i principali gruppi religiosi, recepita anche dalla Costituzione libanese, prevedendo che il presidente sia cattolico maronita, il primo ministro sia musulmano sunnita, il presidente del parlamento sia musulmano sciita, il comandante delle Forze armate sia maronita e altri alti funzionari siano greco-ortodossi o drusi.
Già alla sua nascita lo Stato libanese configurava la sua particolarità nell’area del Medio Oriente, quale enclave di pacifica convivenza tra cristiani e musulmani. Un modello di governo ancora valido, messo a dura prova nell’attuale scenario mediorientale, ma che va difeso e tutelato anche dai possibili squilibri migratori, come sottolinea in quest’intervista il cardinale Béchara Boutros Raï.
R. - Per quanto riguarda il Libano questo modello è ancora vivo, perché è garantito dalla Costituzione e dal Patto nazionale, in un contesto oggi in Medio Oriente di lotta e di conflitto politico-confessionale tra sunniti e sciiti, che si ripercuote nel nostro Paese in un conflitto politico. Dunque rimane sempre la necessità di questo modello libanese, perché non si tratta solo di una convivenza ugualitaria tra musulmani e cristiani, ma del riconoscere le libertà civili pubbliche in un regime democratico, dove nessuna parte può prevalere sull’altra. Però al momento c’è il rischio in Libano di uno squilibrio, perché a causa della guerra e della crisi economica e politica nel Paese c’è molta emigrazione da parte dei cristiani e anche dei musulmani. Ma il grande problema sono i profughi sia siriani sia palestinesi, che in totale sono due milioni e che sono tutti musulmani sunniti. Se un giorno questi saranno integrati in Libano e avranno la cittadinanza libanese, ci sarà quello squilibrio e ci sarà il grande rischio di non essere più ugualitari. Il pericolo è reale. Dobbiamo allora interpellare la comunità internazionale perché incoraggi i profughi siriani a rientrare nel loro Paese, per vivere e godere dei loro diritti nazionali e anche per salvare il Libano da questa grande minaccia non solo politica ma anche economica e sociale.
I cristiani, un tempo maggioranza in Libano, non lo sono più. Ma è giusto parlare dei cristiani come minoranza in Medio Oriente?
R. – Noi non possiamo usare il termine ‘minoranza’, perché i cristiani sono originari del Medio Oriente. Il numero è un’altra cosa. Quando diciamo ‘cristiani’ non parliamo di individui ma di Chiesa. La presenza della Chiesa in Medio Oriente è rappresentata dai cristiani. E’ vero che il loro numero si è fatto più piccolo ma non possiamo usare il termine ‘minoranza’: sono cittadini originari, prima dell’islam di 600 anni.
Nell’omelia della Messa di ieri, lei si è riferito anche alla classe politica del suo Paese, accusandola di ricorrere talvolta a delle provocazioni religiose per accaparrarsi i voti.
R. – Sì, infatti ho denunciato questo perché i politici stanno usando la religione e le confessioni per interessi politici e quindi abusano di questa formula libanese che è meravigliosa: cioè la partecipazione dei musulmani e dei cristiani al potere insieme per creare uno Stato che garantisce il bene comune a tutti. Loro stanno abusando di questo e rendendo l’esercizio politico un esercizio confessionale-politico, per interessi di comunità confessionali. Io ho denunciato questo perché in questo modo si sta dividendo il Paese e vuol dire che quelli che hanno potere e influenza in questa zona si fanno, loro, Stato dentro lo Stato libanese. E questo è molto pericoloso e l’ho denunciato dicendo: ‘dovete ritornare alla filosofia della Costituzione del ’26, al Patto nazionale del ’43, rinnovato nell’89, il quale dice che i cristiani e i musulmani partecipano in maniera uguale al potere per formare uno Stato. Loro invece fanno una spartizione di beni politici, economici e finanziari. Ho denunciato anche le interferenze politiche nella amministrazione, nell’esercizio della giustizia, per dire loro: ‘voi state uscendo dalle realtà libanesi, dalla filosofia libanese’. Ho fatto questo discorso dentro un ateneo per dire che l’università di San Giuseppe e altre università cattoliche hanno oggi il grande ruolo di formare i nostri giovani per un’altra mentalità, per preparare nuovi responsabili politici.
Dunque rivolgersi ai giovani per recuperare quegli ideali di Stato e di valore del bene comune che la classe politica – come si lamenta un po’ in tutto il mondo - sembra aver perso.
R. – Dobbiamo incoraggiare i nostri giovani a non seguire l’esempio negativo dei politici, ma che loro possano essere i nuovi responsabili di domani. La Nazione sarà domani quello che sono i giovani di oggi. In Libano, la Chiesa ha questa forza, perché abbiamo un grande numero di scuole cattoliche, abbiamo cinque università cattoliche e abbiamo un grande potere in mano per formare i nostri giovani, i professori, i loro parenti. Quindi possiamo lavorare come Chiesa per salvare il Paese da questa ‘fuga’ al di fuori della realtà libanese e degli ideali libanesi e dal ruolo e dal messaggio del popolo libanese in questa zona del Medio Oriente.
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