Kenya. Padre Kizito: L’antidoto alla corruzione è la giustizia
Chiara Colotti – Città del Vaticano
Tra gli ultimi posti della classifica dell’indice di percezione della corruzione, c’è proprio il Kenya. Su una scala da 0 a 100, in cui il 100 indica l’assenza di corruzione, il Paese africano ha ottenuto nel 2018 un punteggio pari a 27. “Si respira un’atmosfera di profonda frustrazione dovuta al livello di corruzione del Paese; le aziende straniere ci pensano due volte prima di venire a investire qui”, spiega padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano in Kenya dal 1988. Una situazione preoccupante, questa, che ha spinto i vescovi locali a lanciare la campagna “Spezziamo le catene della corruzione”.
La corruzione: una piaga da debellare
La corruzione, in Kenya, non si manifesta solo nella pratica illecita messa in atto da politici e funzionari disonesti; la corruzione qui ha assunto le sembianze di un vero e proprio virus letale che non risparmia nessun settore della società. “Non è un caso che in Kenya cadano edifici perché costruiti con permessi edilizi fasulli, ottenuti pagando il funzionario di turno che invece avrebbe dovuto supervisionare il progetto”, commenta padre Kizito. Un fenomeno pervasivo e “pianificato” al punto che, come spiega il comboniano, le persone si aspettano sempre di dover pagare una somma in denaro agli addetti degli uffici pubblici. “Una pratica - sottolinea Kizito - che coinvolge tutti, anche chi dovrebbe contrastare la corruzione. Secondo l’opinione pubblica generale infatti l’istituzione più corrotta è la polizia”.
Papa Francesco e la corruzione: "è come lo zucchero!"
“Papa Francesco - commenta padre Kizito – nel suo viaggio apostolico in Kenya, ha parlato della corruzione in termini di malattia, di diabete. Così come chi ama lo zucchero vuole sempre più zucchero, chi ama i soldi vuole sempre più soldi. Per questo, è importante adottare misure serie e a lungo termine perché non si può pensare di debellare questo virus in breve”.
La campagna “Spezziamo le catene della corruzione”
Non hanno usato mezzi termini i vescovi del Kenya nel lanciare la campagna “Spezziamo le catene della corruzione”, definendo questo fenomeno una vera e propria “putrefazione del cuore”. Incentrata sulla preghiera e l’educazione, l’iniziativa dalla durata di sei mesi è stata presentata dalla Conferenza Episcopale keniota lo scorso 5 novembre. I vescovi, in particolare, hanno proibito le donazioni in denaro contante, accettando solo quelle effettuate elettronicamente, al fine di tracciare i donatori. “Come si legge nel comunicato della campagna - sottolinea Kizito - viene inoltre proibito l’uso dell’edificio della Chiesa per attività diverse da quelle liturgiche e al servizio di Dio”. In Kenya, non è raro vedere politici tenere discorsi nel corso delle celebrazioni eucaristiche, al fine di farsi campagna elettorale.
Un barlume di speranza?
I vescovi kenioti, nella dichiarazione pubblicata al termine della loro Assemblea Plenaria di novembre, hanno reiterato l’invito a unire le forze per eliminare questa piaga che affligge la società, “perché il mostro della corruzione - sottolineano – non può essere affrontato da soli”. Per poter debellare questa grave patologia che colpisce ormai ogni organo vitale del Paese, “ci deve essere un movimento popolare, un’iniziativa che parta dal basso”, precisa padre Kizito. “I vescovi hanno dato il là, ma se ci fermiamo qui non andremo tanto lontano”. Il missionario rivolge poi un invito ai gruppi della società civile, affinché “accolgano questa iniziativa e la facciano propria, perché il singolo cittadino da solo è assolutamente impotente di fronte a tutto ciò”. “Speriamo - conclude – che si generi una sensibilità crescente tra la gente e che questa campagna sia il punto di partenza di un impegno continuato che vada ben al di là dei sei mesi previsti, diventando un tema prioritario anche nella predicazione della Chiesa”.
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