Arcivescovo di Aleppo: padre Bedoyan martire della Siria
Marco Guerra – Città del Vaticano
“Padre Ibrahim Bedoyan è un martire della Siria, ucciso perché faceva del bene ed era impegnato nella ricostruzione della Chiesa e delle case della comunità armena a Deir er Zor”, il senso del sacrificio del sacerdote armeno-cattolico, ucciso lunedì dai terroristi dell’Is, sta nella testimonianza che monsignor Boutros Marayati, arcivescovo armeno-cattolico di Aleppo, ha offerto a Vatican News. In un tweet, Papa Francesco ieri si è detto "vicino alla comunità armeno-cattolica di Kamichlié, in Siria, riunita per le esequie del suo parroco", ucciso assieme al padre. il Pontefice prega "per loro, per i familiari e per tutti i cristiani in Siria".
La ricostruzione di Deir er Zor
Il presule di rito armeno è amministratore apostolico di Qamishili, Hasakah e Deir er Zor le zone del nord est della Siria interessate nel mese di ottobre dall’offensiva turca in Siria e prima ancora dall’azione del sedicente Stato islamico. Questa è la cornice in cui si muoveva Padre Bedoyan, lo racconta sempre mons. Marayati, secondo il quale il sacerdote si recava ogni due settimane a Deir er Zor per seguire i lavori di ricostruzione degli edifici sacri e civili della comunità armeno-cattolica.
Deir er Zor città simbolo per gli armeni
Padre Bedoyan era impegnato a sostenere i cristiani che volevano rimanere in quella regione malgrado i rischi di attacchi e persecuzioni. monsignor Marayati spiega infatti che Deir er Zor ha un significato particolare per la memoria degli armeni sfuggiti al genocidio perpetrato dall’impero ottomano nel 1916. Il presule racconta che i turchi durante il recente blitz nella città siriana hanno distrutto il grande memoriale degli armeni ortodossi e la Chiesa armeno cattolica e teme che forse qualcuno non vuole che vengano ricostruiti.
Monsignor Marayati ricorda ai nostri microfoni l’ultimo incontro con Padre Bedoyan, la sua azione pastorale e la sua assidua vicinanza alle comunità cattoliche più remote della Siria:
R. – Sì, conoscono padre Bedoyan, perché lui è il parroco della nostra chiesa armeno-cattolica di Qamishli, la chiesa di San Giuseppe; io sono l’amministratore apostolico di tutta quella regione. Sette giorni fa, il 3 novembre, è venuto per accompagnare un diacono qui ad Aleppo; io dovevo ordinarlo. È venuto con lui – padre Bedoyan era il padrino – e abbiamo celebrato questa ordinazione molto bella, molto commovente. Abbiamo così ordinato un nuovo dicono permanente che tornava con il padre per ordinare, per amministrare sul posto, nella diocesi, e soprattutto nella parrocchia di San Giuseppe degli armeno-cattolici a Qamishli. Tutto è andato liscio; lui lavorava lì, aveva una buona fama, aiutava sempre i poveri ed aiutava il responsabile della zona, il vicario, mons. Antranig Ayvazian. Avevamo tante parrocchie – sette, otto – ma purtroppo durante la guerra, sono state tutte svuotate. Ne sono rimaste solo due: quella a Qamishli e quella a Hassakè. Questo sacerdote andava anche nella parrocchia di Hassakè. Ma ce n’era un’altra: la terza parrocchia è quella di Deir Ez Zor, una città che è stata distrutta durante la guerra; in particolare proprio la chiesa armeno-cattolica, la chiesa degli ortodossi, ha subito danni a causa dei missili turchi. Dopo la fine della guerra, dopo il ritiro dell’esercito turco, abbiamo pensato di ricostruire questa chiesa e di ricostruire le case dei fedeli armeni che sono scappati.
Per questo motivo si stava recando lì, il padre …
R. - Per questo motivo il sacerdote, ogni due tre settimane, andava lì per vedere come procedevano i lavori, per seguire cosa succedeva in quella città, Deir Ez Zor.
Qual è la situazione i quest’area del Nord-Est della Siria da quando si sono ritirate le truppe americane?
R. - È una situazione molto movimentata. Non c’è più la sicurezza. Questa zona è divisa in parti differenti: c’è il Nord, sotto il controllo dei turchi; poi c’è una parte sotto il controllo dei curdi, poi vicino a Deir Ez Zor ci sono ancora presenze jihadiste. Allora è una zona molto complicato. Nello stesso giorno a Qamishli ci sono state tre esplosioni. C’è anche la presenza dell’esercito russo, di quello siriano; ci sono anche pattuglie dell’esercito americano. È veramente una situazione molto complicata, molto instabile e pericolosa. Purtroppo noi ne abbiamo pagato il prezzo con la nostra missione di pace. Possiamo dire che questo sacerdote è diventato un martire, un martire del dovere, martire della Chiesa e della Siria.
Come hanno accolto questa drammatica notizia i fedeli, i cristiani, di queste aeree del Nord est?
R. - È una comunità molto antica e molto forte, ma è stato un colpo per tutti noi, perché era un sacerdote che lavorava e creava questa solidarietà fra la gente. Purtroppo già tanti hanno lasciato e questo colpo lascia dei segni negativi. L’insicurezza fa sì che la gente cominci di nuovo a pensare di andare via da qui. Noi cerchiamo di dare un po’ di speranza, di parlare della risurrezione dopo la morte. Siamo vicini al nostro popolo per aiutarlo a resistere e a rimanere, perché una volta - come dice il Vangelo - che tu colpisci il pastore, il gregge si disperde. Credo che non sia stato un atto casuale, ma tutto era studiato. La macchina del sacerdote era nota; sapevano che andava lì per portare aiuti, aveva denaro per la ricostruzione.
Il Papa ha espresso vicinanza per questo attacco a padre Bedoyan. Le parole del Papa confortano la comunità cattolica locale?
R. - Sì, questa vicinanza del Santo Padre è per noi veramente una consolazione. Ci dà una forza, ci fa sentire che non siamo soli. Tutta la chiesa cattolica è con noi. Tutto il mondo è vicino a noi. Questa zona lontana, la Siria amata e martoriata come dice il Santo Padre non è dimenticata. La gente ha già saputo che il Santo Padre personalmente - anche tramite il Nunzio apostolico che si è commosso quando è stato messo al corrente delle parole del Papa - ci ricorda nelle sue preghiere.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui