E prostratisi, lo adorarono. I Magi di Artemisia Gentileschi
Paolo Ondarza - Città del Vaticano
Introduce al silenzio della contemplazione spirituale l’Adorazione dei Magi di Artemisia Gentileschi. La tela di imponenti dimensioni, 310 x 206 cm, conservata nella cattedrale di Pozzuoli è stata scelta quest’anno dal Museo Diocesano di Milano come protagonista dell’iniziativa “Un capolavoro per Milano”, giunta alla dodicesima edizione. Fino al prossimo 26 gennaio l’opera è esposta al Museo Carlo Maria Martini, avvolgendo il visitatore nello spazio dipinto.
La sfida di Artemisia
Il quadro realizzato in occasione del soggiorno napoletano di Artemisia, su invito del viceré Fernando Enriquez Afàn de Ribera, è parte di un ciclo commissionato dal vescovo spagnolo di Pozzuoli, Martín de Léon y Cárdenas, per la cattedrale dopo il 1631, anno dell’eruzione del Vesuvio che risparmiò la città. Furono tre le tele affidate alla pittrice, eseguite tra il 1635 e il 1637: rappresentarono la prima importante commissione pubblica e il massimo riconoscimento alla carriera di un’artista che incontrò non poche difficoltà nel vedersi riconosciuto un talento in un mestiere all’epoca prettamente maschile. Tenacia e caparbietà la accompagnarono sempre, tanto da farle conseguire, prima donna nella storia, l’ammissione all’Accademia delle Arti del disegno.
Gioco di sguardi
É il gioco di sguardi e una teatralità fatta di luci ed ombre a colpire chi si sofferma sull’Adorazione dei Magi di Pozzuoli. Quello di Maria – spiega Nadia Righi, direttrice del Museo Carlo Maria Martini - è un ritratto, un volto non stereotipato”: un viso che ha un sapore mediterraneo, partenopeo, dove sembra che Artemisia abbia voluto incarnare le parole dell’evangelista Luca quando ci ricorda che Maria serbava tutte queste cose nel suo cuore. Il volto della Madonna, seduta su un promontorio roccioso che evoca il paesaggio puteolano, esprime amore, serenità e profezia, preludendo alla sofferenza della Passione: sta offrendo il figlio con un gesto che è liturgico e ricorda quello dell’offerta eucaristica sull’altare e quindi è come se si vedesse una Vergine Maria con la consapevolezza del sacrificio del Figlio. Artemisia aveva perso tra l’altro dei bambini molto piccoli. Quindi è come se partecipasse del dolore della Madre di Dio.
Stupore e riverenza
Un’eleganza regale caratterizza le figure dei magi: sfarzoso, nell’abbigliamento alla moda spagnola-napoletana del Seicento, il più giovane si inchina con la grazia che si deve ad un sovrano. Inginocchiato in primo piano c’è un re anziano che sembra essere sul punto di cadere. É prostrato con una delle due mani a terra e l’altra, nell’atto di ricevere un dono, rivolta verso il piede del bambino. Di fronte a questa figura i visitatori partecipano dello stupore impresso nel volto di Giuseppe, ritratto secondo la tradizione evangelica, defilato sullo sfondo. “L’attenzione dei visitatori - aggiunge Nadia Righi - è catalizzata da questo volto che trasmette stupore. Il re sgrana gli occhi, aggrotta la fronte e schiude leggermente le labbra: esprime lo stupore dei sapienti venuti da lontano. Colui che cercavano, seguendo la stella, non è un re come lo immaginavano, ma un bambino, umile, fragile, segno dell’intervento di Dio”. In alto Artemisia dipinge il volto del terzo mago: il moro. Un incendio del secolo scorso ne ha compromesso la leggibilità e oggi appare come assorbito dal fondo bruno della tela e avvolto dal mistero.
La prostrazione
La pittrice cattura il culmine del viaggio: il momento che l’evangelista Matteo affida al versetto “videro il bambino con Maria, sua madre; prostratisi, lo adorarono”. Il gesto della prostrazione, secondo la tradizione pagana si tributava solo agli dei o agli imperatori. Il re entrando nella casa non è più re. Poggia la corona per terra e contempla il vero re.
Teatralità e coinvolgimento
In alto brilla la stella, la cui luce crea un effetto di chiaroscuro e favorisce la preghiera e la contemplazione. “Artemisia gioca con una regia di luci che potremmo definire teatrale. La sensazione è quella di un fotogramma dove il tempo sembra rimanere sospeso al cospetto di un avvenimento straordinario. Immaginiamo - prosegue la Righi - quale dovesse essere il coinvolgimento degli spettatori nel 1635 quando Artemisia dipinse quest’opera. I devoti che entravano nella cattedrale di Pozzuoli forse venivano coinvolti ancora di più di noi oggi. I personaggi sono infatti vestiti secondo la moda del tempo come in una Sacra Rappresentazione. Lo scopo era far partecipare i devoti, non farli sentire distanti”.
Una pittrice caravaggesca
Colpiscono i dettagli sui quali si concentra il pennello di Artemisia dai vestiti agli oggetti. La cronaca ci racconta la passione della donna per le stoffe pregiate con le quali vestiva i suoi modelli: "É una pittrice caravaggesca: dipinge le cose come sono. La luce fa rifulgere le sete con degli effetti cangianti, di broccato. Oppure i ricami sulle camicie bianche, o il collo di ermellino del re più anziano. Sicuramente c’è un’attenzione al dato naturale e alla bellezza degli oggetti. Lo scrigno che contiene il dono del re anziano è la riproduzione dal vero di un oggetto di oreficeria napoletana del Seicento. A me piace immaginare Artemisia che va negli armadi delle sagrestie a cercare l’oggetto più bello da poter ritrarre e sul quale il pennello indugia con un’attenzione meravigliosa per rendere gli sbalzi dell’argento”.
La Bellezza che salva
“Il quadro di Artemisia – scrive l’arcivescovo di Milano Mario Delpini – addolcendo la drammaticità di matrice caravaggesca, ci offre l’occasione anche in questo Natale di contemplare la Bellezza che salva, oggi più necessaria che mai”. “Il linguaggio del bello – auspica da parte sua il vescovo di Pozzuoli Gennaro Pascarella – sia sempre un’opportunità importante per l’evangelizzazione. La bellezza non ha confini, ha un respiro universale”. L’iniziativa “Un capolavoro per Milano”, nata nel 2001, ha proprio questo scopo: restituire all’opera d’arte sacra la sua vocazione evangelizzatrice. Chi contempla l’Adorazione dei Magi di Artemisia Gentileschi non può non sentirsi interpellato dal mistero della fede impresso sulla tela.
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