Le Chiese in Brasile e Guinea Bissau a servizio dei giovani
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
La chiesa del sud del Brasile adotta la chiesa della Guinea Bissau e dona la propria esperienza per evitare che tanti giovani si perdano. A valutare la realtà sociale e umanitaria del paese africano è inviato padre Renato Chiera missionario piemontese che a Rio de Janeiro si occupa in particolare dei bambini e delle bambine di strada oggetto di violenza, sfruttamento, gravidanze precoci, tossicodipendenza, minacce di morte. E quello che trova in Guinea Bissau è una realtà a rischio per le influenze sempre più crescenti della colonizzazione occidentale, per la mancanza di possibilità lavorative e formative per i giovani, per la povertà e le politiche spesso indifferenti al bene della popolazione.
Quello che si può fare - nel pieno rispetto della cultura africana - è sostenere e avviare, dove non c'è, un processo virtuoso di prevenzione che può andare in due direzioni: centri di accoglienza e poli di formazione professionale per chi è analfabeta. Ma ciò che padre Chiera racconta soprattutto è quanto e come la Chiesa cattolica nelle due diocesi della Guinea Bissau sia attiva, benchè in minoranza assoluta. Una chiesa che evangelizza con la testimonianza concreta, e non a parole.
R. – La Guinea Bissau è il Paese più povero dell’Africa e uno dei più poveri del mondo. La realtà sociale è una realtà ancora di un’agricoltura primitiva; sembra che abbia anche ricchezze minerali, ma hanno una realtà politica di grande corruzione, i presidenti non si sono mai interessati un granché del popolo … i giovani vogliono studiare, ma non hanno le possibilità; non vogliono fermarsi nel posto, non vogliono più lavorare nella campagna perché vedono che il reddito è poco ed è molto faticoso. A livello di realtà religiosa, la maggioranza aderisce alla religione tradizionale che è molto impressa nell’anima della gente. La maggioranza, però, è ancora dei musulmani che sono molto presenti, ricevono aiuti dall’Arabia Saudita. E la realtà cattolica è una realtà molto interessante, anche se sono una minoranza, però sono un fermento di una evangelizzazione fatta non tanto con parole, quanto con gesti di amore concreto. Ad esempio, tutte le missioni hanno particolare attenzione ai bambini, ai neonati, alle mamme gravide e con difficoltà, alla sottonutrizione; hanno centri sanitari e hanno delle scuole. Se la Chiesa cattolica chiudesse queste presenze, il Paese andrebbe in collasso.
Lei è stato invitato lì perché lei ha un progetto: penso ai bambini di strada; ce ne sono, in Guinea Bissau?
R. – Noi siamo andati perché la Chiesa del Brasile – la Regionale del Sud della Cnbb e i vescovi – hanno in qualche modo adottato la Guinea Bissau. Noi siamo andati per vedere questa situazione: la realtà dei ragazzi, quella dei giovani, quella della droga … Non ci sono bambini di strada, ma ci sono molti bambini, ragazzi, giovani in strada che non sanno cosa fare …
.... cioè, bambini a rischio?
R. – Sì, perché un domani possono essere facile preda di tutto. Abbiamo saputo che in Guinea Bissau passa la rotta della droga. Ripeto, bambini che abitano in strada ancora no, perché? Perché la realtà della cultura locale, la cultura tradizionale ha valori molto grandi e uno di questi valori è la comunità, uno di questi valori è la famiglia allargata. Ma noi abbiamo visto che la civilizzazione consumista, materialista sta arrivando e domani anche la famiglia si spaccherà, come è successo qui in Brasile: che la gente è venuta dall’interno, è venuta nelle grandi città ma non è venuta tutta la famiglia; la famiglia si è spaccata e i bambini sono stati abbandonati.
Quindi lei sta pensando a intervenire prima per frenare una serie di distruzioni …
R. – Fare questo lavoro di prevenzione. Bisognerebbe fare corsi per coloro che sono analfabeti, formazione preventiva e in questo campo forse anche di accoglienza. Però, in questo momento siamo molto in silenzio e in ascolto. Alla cultura africana bisogna approssimarsi con molto rispetto: ci sono i semi del Verbo, ci sono cose belle; l’evangelizzazione dev’essere un’inculturazione, non distruggendo i valori che loro hanno. E allora stiamo vedendo come fare, ma ci sarebbero queste due possibilità: una, un centro di accoglienza e l’altra di centri di promozione e di professionalizzazione. E poi, per i ragazzi che non hanno niente da fare noi avremmo pensato a qualcosa tipo un oratorio, cioè degli spazi dove questi ragazzi, questi giovani che sono lì, oziosi, possano incontrarsi, possano interagire. Lì, poi, c’è anche tutto il problema tribale: sono circa 30 tribù e molte volte ci sono tensioni. Aiutare a questo incontro …
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui