La morte di Maria Vingiani, grande protagonista del movimento ecumenico
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Maria Vingiani, classe 1921, sin da giovinetta, a soli 26 anni, quando era Venezia, mostrò e seguì la sua vocazione al dialogo ecumenico, un impegno che allora, era il 1947, in molti osservavano con sospetto. Dal suo trasferimento a Roma, dove nel frattempo il patriarca Roncalli, a cui era molto legata, era stato eletto Papa, la Vingiani non cessa di inseguire il dialogo e l’incontro con le altre fedi, sino a fondare il Sae (Segretariato per le attività ecumeniche) associazione laica e interconfessionale, nata negli anni del Concilio Vaticano II. E’ la stessa Maria Vingiani , in un’intervista a Fabio Colagrande del gennaio del 2010, a raccontare il suo dolore di fronte allo scandalo della contrapposizione tra le varie Chiese nella Venezia della sua gioventù:
Sono più di 50 anni che lei è impegnata nel movimento ecumenico. C’è un ricordo particolare di tutti questi anni dal punto di vista della collaborazione con le altre confessioni cristiane?
R. – Direi che il ricordo più forte che ho è la sofferenza grande - da bambina potrei quasi dire - di vedere a Venezia tutte queste chiese con i loro titoli nel frontespizio, si chiamavano tutte chiese, testimoniavano tutte di Cristo e del Vangelo, ma si muovevano in conflitto e in contrapposizione. Questa fu la sofferenza più forte, era uno scandalo, perché contraddiceva il Vangelo che propone un cammino di fraternità e non di conflitto. Da qui sono partita per capire qualcosa di più. Ho dovuto studiare, darmi da fare, cercare in Italia e all’estero delle situazioni con le quali confrontarmi e per le quali favorire - se era possibile - gli incontri, il dialogo, il miglioramento. Anche lo studio per la tesi di laurea fu fondamentale per me e forse anche per l’ambiente universitario nel quale mi sono mossa in quell’epoca. Adesso che dire? L’ecumenismo è un dono di Dio. Bisogna assolutamente continuare a viverlo come tale, arricchirlo di doni e di generosità, di apporto e di volontà di contributo e mettere al bando la sfiducia, perché la fede si vive nella speranza.
Maria Vingiani è stata fondamentale per l’ecumenismo in Italia: è il ricordo di Piero Stefani, attuale presidente del Sae, che ne sottolinea la figura di donna e laica impegnata nei rapporti con le altre comunità religiose in un momento storico in cui questo poteva apparire impossibile, se non addirittura sbagliato.
R. - Maria Vingiani è stata – come si definisce sempre, ma è giusto che sia così – un pioniere, una pioniera del dialogo tra le Chiese cristiane, già in epoca preconciliare aveva avviato dei rapporti a Venezia con delle comunità non cattoliche, che allora erano considerate più eretiche che fratelli separati. Con l’avvento del Concilio e i suoi rapporti personali con Roncalli, Papa Giovanni XXIII, il clima cambiò e dal 1966 si avviò a livello nazionale questa associazione che si chiama appunto Segretariato attività ecumeniche (SAE). Quindi fu una laica, donna che, in epoca molto precoce, avviò un cammino che le chiese ufficialmente hanno assunto solo dopo.
In tanti hanno sottolineato questa coincidenza, così la vogliamo chiamare: Maria si è spenta stanotte e oggi, 17 gennaio, è la Giornata per il dialogo ebraico cattolico, nonché alla vigilia della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani …
R. - Vorrei sottolineare un aspetto che lega particolarmente questo discorso a questo giorno. Il Sae nella sua definizione ufficiale, voluta anche da Maria Vingiani, ha questa caratteristica: è un’associazione interconfessionale - che adesso si dice di laiche e laici - per l’ecumenismo e il dialogo a partire dal dialogo ebraico cristiano. Questo è dovuto al fatto che Maria Vingiani ebbe un rapporto molto intenso con Jules Isaac, lo storico ebreo francese che voleva fare in modo che la chiesa cattolica cambiasse quello che lui definiva ‘l’insegnamento del disprezzo’ e, perciò, favorì l’incontro fra Jules Isaac e Giovanni XXIII. Questo, insieme ad altri fattori, diede vita all’idea di affidare al Concilio una dichiarazione sugli ebrei che poi diventò la Nostra Aetate. Dunque questo legame tra il rapporto tra Chiesa e il popolo ebraico e il rapporto fra le chiese fra di loro, è una caratteristica individuata da Maria Vingiani in epoca molto precoce e molto feconda. Questa data, quindi, effettivamente è una data giustamente carica di significato simbolico.
Maria Vingiani come giudicava il percorso fatto da allora, quando da ragazza iniziò questo importante cammino, fino ad oggi? C’erano ancora delle perplessità o dei timori?
R. - Pensiamo che è morta alla vigilia dei 99 anni, quindi è stata una vita molto lunga durante la quale ha potuto dare una valutazione. Coloro che hanno avuto la vocazione di essere coraggiosi iniziatori, da un lato vedono con soddisfazione, come qualcosa che si ritiene essere opera dello Spirito, un cammino avviato, il loro coraggio però li spinge sempre in avanti , ci si trova quindi fronte a delle lentezze, a forme di attrito, che si vorrebbero superare per un orizzonte più ampio, il che è un problema certamente aperto da tempo, di cui lei era del tutto consapevole. Uno di questi temi è quello del passaggio tra l’ecumenismo inter-cristiano e il dialogo interreligioso, che è un orizzonte ormai ineludibile rispetto al quale lei ha avuto – anche lì in modo molto precoce – delle forti aperture.
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