Catechesi per i disabili: a Roma una parrocchia vive l’inclusione
Fabio Colagrande - Città del Vaticano
“Occorre sviluppare gli anticorpi contro una cultura che considera alcune vite di serie A e altre di serie B: questo è un peccato sociale!” Lo ricordava Papa Francesco il 3 dicembre 2019 in un Messaggio per la Giornata mondiale delle persone con disabilità. In coerenza con il magistero papale contro la cosiddetta ‘cultura dello scarto’, la diocesi del vescovo di Roma è impegnata da alcuni anni nello sviluppo di una specifica pastorale per l’inclusione dei disabili che porterà a breve alla pubblicazione di un Vademecum specifico di buone pratiche da ripetere magari anche a livello nazionale. Don Luigi D’Errico, referente del settore disabili e catechesi dell’Ufficio catechistico della diocesi di Roma, è dal 2007 parroco nella Chiesa dei Santi Martiri dell’Uganda, nel quartiere Ardeatino, dove da tempo è avviata un’esperienza esemplare di catechesi per e con le persone disabili.
A volte la Chiesa è stata lontana
“Il concetto fondamentale è capire che non possiamo occuparci solo dell’aspetto pastorale della relazione con le persone disabili. Come Chiesa dobbiamo guardare a tutta la vita di una persona, così come facciamo per gli altri parrocchiani”, spiega don Luigi, accogliendoci nella sua casa-ufficio assieme a un gruppo di giovani catechisti. “Non possiamo pensare soltanto al tempo del catechismo o dei sacramenti, dell'iniziazione cristiana, ma dobbiamo considerare tutto ciò che riguarda la vita di una persona che vive, cresce, invecchia e ha tante relazioni”. Qualche anno fa, il cardinale Vallini, allora vicario di Roma, cominciò con tutta la diocesi a riflettere sul rinnovamento degli ambiti della pastorale e così all’interno dell’Ufficio catechistico nacque la sezione dedicata alle famiglie che vivono la disabilità. “Non si tratta però di considerarla un problema”, spiega don Luigi. “La disabilità non è un ostacolo al vivere insieme agli altri, ma anzi un’occasione per entrare in contatto con tante persone e da qui rendersi conto che a volte la Chiesa è stata un po' lontana dalla sua vocazione di accoglienza, di ascolto e di inclusione”. “Oggi – spiega il parroco dei Santi Martiri dell’Uganda – non è ammissibile che in una parrocchia, a una famiglia in cui vive una persona disabile, venga detto che un disabile non può frequentare la catechesi o partecipare alla vita della comunità perché non ci sono le attrezzature e la preparazione necessarie”. “Se capita ancora qualcosa del genere si può dire che è intollerabile”, aggiunge don Luigi. “Perché accogliere qualcuno e volergli bene non dipende da quanto si è attrezzati dal punto di vista professionale o tecnico. Quando si è mossi dall’amore e dall’attenzione bisogna solo capire quello che si può fare in quelle circostanze particolari. Cioè, più mi appassiona la vita di una persona e più cercherò risposte che vanno al di là di quelle che conosco di solito. E poi la parrocchia è una realtà varia veramente come il mondo e lo stare insieme permette di alleggerire i pesi di tutte le persone e tra questi anche quelli delle persone disabili”.
Le persone disabili ci aiutano a incontrare Cristo
Tra i catechisti della parrocchia di don Luigi c’è anche Marco: venticinque anni e alle spalle tre esperienze di missione in Uganda dove ha conosciuto una realtà ecclesiale giovane in cui i catechisti laici hanno un ruolo fondamentale. “Qui da noi – ci spiega – non esiste una pastorale o dei gruppi specifici dedicati ai disabili. Il lavoro dell'inclusione non può partire da una separazione tra persone normodotate e persone disabili. È questa la grossa sfida: integrare, quindi includere, in uno stesso gruppo persone con diversi tipi di abilità cognitive”. “Ci limitiamo a seguire il ciclo delle età”, racconta Marco. “Perciò i ragazzi disabili che frequentano la quarta elementare iniziano il percorso delle comunioni come gli altri ragazzi che vanno in quarta”. “Poi, ovviamente, se ci sono delle esigenze particolari si cerca di soddisfarle. Però sempre pensando a un percorso fatto insieme ai ragazzi normodotati”. Ai Santi Martiri dell’Uganda i catechisti sono responsabilizzati a formarsi per affrontare le diverse situazioni. “Chi si trova nel proprio gruppo un ragazzo con la sindrome di down o con disturbi autistici – racconta Marco – s’informa, si prepara e di conseguenza non cerca di organizzare delle catechesi specifiche per loro, ma degli incontri che siano inclusivi”. Ma al di là dell’aspetto catechistico c'è un lato umano che bisogna comprendere quando si parla di pastorale dei disabili. “La catechesi – racconta ancora Marco – è un modo tradizionale di trasmettere la Parola di Dio. Ma gli stessi disabili ci insegnano ogni giorno che ci sono anche altri modi per annunciare il Vangelo. Siamo abituati, per esempio, a cercare il silenzio durante la Messa, ma i disabili spesso gridano: è il loro modo di esprimersi. Magari a chi non è abituato possono dare fastidio, ma la loro è una partecipazione attiva, spesso molto più attiva di quella di altri fedeli”. Paradossalmente, ci spiega Marco, fare pastorale con i disabili significa lavorare di più sulle persone abili. “Le persone disabili ovviamente vanno accettate ma il processo non è necessariamente semplice. Se mi trovo in un gruppo di catechesi con una ragazza che urla in continuazione è normale magari che io sia infastidito. Le persone devono essere educate ad abituarsi a queste presenze. Questo fa bene a tutti. Ai disabili, che non possono vivere isolati dagli altri, ma anche ai normodotati per crescere, per stare insieme a chi comunque gli può donare tanto”. “La pastorale dei disabili è un servizio – conclude Marco - ma i disabili ci aiutano molto a comprendere la nostra fede, la Parola di Dio e anche la figura di Gesù Cristo”.
Qui siamo tutti uguali
Margherita e Ludovica, rispettivamente sedici e diciassette anni, sono perfettamente inserite in questa realtà parrocchiale basata sulla pastorale dell’inclusione. “Io posso parlare sia da catechista che da catecumena”, ci racconta Margherita. “Oltre a fare la catechista sono infatti seguita in un gruppo giovani dove ci sono tre persone disabili e questo non è mai stato assolutamente un peso per nessuno. Ci conosciamo da sempre, io sono cresciuta insieme a loro e loro sono cresciuti insieme a me”. “Non è sempre stato facile è vero”, ci confida. “A volte qualcuno manifesta il suo dissenso con gesti fisici anche violenti. Però quando poi si entra in comunione si scopre che hanno tanto da regalare, tanto da dire, anche se molti di loro parlano pochissimo”. Fondamentale è il rapporto con le famiglie. “Ci informiamo bene con i loro parenti sui loro comportamenti perché a volte queste persone possono avere comportamenti inspiegabili. Ma, comunque, per conoscere veramente una persona ci devi passare del tempo, a prescindere dal fatto se sia una persona normodotata o disabile. Anzi, io ho avuto molte più difficoltà a conoscere persone normodotate che a conoscere alcuni miei amici disabili e so che questi possono regalarmi una gioia che nessun altro può darti”. Ludovica, in parrocchia, è cresciuta insieme a un ragazzo disabile, Simone, con cui ha condiviso la catechesi fin dalla prima comunione. “L’ho accompagnato sia alla comunione che alla cresima ed è stata un’esperienza che ha rafforzato la mia vocazione di catechista. Mi sono resa conto di essere entrata nella sua vita come lui è entrato nella mia. Siamo diventati un po’ come fratello e sorella: ogni volta che mi vede lui sorride, siamo entrati veramente in una sintonia pazzesca e ovviamente anche con tutti gli altri ragazzi del gruppo”. “Qui in parrocchia non si sente nessuna distinzione tra un normodotato e un disabile: per me siamo tutti uguali”.
La carezza del Papa per Rita
Tra i parrocchiani dei Santi Martiri dell’Uganda c’è Rita, una donna di trentasette anni, con la sindrome di down, piena di interessi, appassionata di sport e danza che frequenta corsi di chitarra e teatro. Il 26 gennaio 2020, durante la prima celebrazione della ‘Domenica della Parola di Dio’ è stata fra le persone a cui Papa Francesco ha consegnato simbolicamente una copia della Bibbia. “È andata molto bene, anche se mi sono commossa”, ci racconta orgogliosa mostrando la foto di quel momento. “Il Papa appena mi ha visto mi ha commosso molto perché mi ha subito dato una carezza e allora anch’io, delicatamente, l’ho accarezzato. Non me l’aspettavo che mi accarezzasse. Allora gli ho chiesto una cosa molto importante: di pregare per il nostro parroco don Luigi e per tutta la parrocchia. E lui con un filo di voce mi ha detto: non ti preoccupare, pregherò per lui”.
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