Pastorale dei Rom: un “ospedale da campo” alla Magliana
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
A Roma, nel quartiere Portuense, nel cuore della Magliana, una zona periferica storicamente difficile, c’è una Parrocchia che da decenni è impegnata nell’accoglienza e nell’integrazione delle comunità Rom. È intitolata a San Gregorio Magno ed è stata visitata da Papa Francesco nell’aprile del 2014. In quell’occasione il Pontefice, rivolgendosi ai fedeli, aveva affermato che Dio si trova proprio nelle “debolezze dell’umanità”. A conferma di queste parole, proprio in quest’area disagiata della diocesi del Papa c’è una comunità cristiana viva, un piccolo modello di “ospedale da campo”, per dirla con Francesco.
Il ‘Centro di ascolto’
Debora Foglia è nata alla Magliana cinquantatré anni fa. Considera la parrocchia un po’ casa sua e da due anni è responsabile del ‘Centro di ascolto’. “Il centro – ci spiega – è nato trent’anni fa. Come in quasi tutte le parrocchie è quel posto dove le persone in difficoltà possono venire per essere appunto ascoltate, aiutate e supportate anche con un pacco di generi alimentari”. “Abbiamo cercato di aprire il nostro centro anche ai Rom e ci occupiamo in particolare delle persone che vivono sotto il viadotto della Magliana, che collega questo quartiere all'Eur, e di quelle che vivono a Campo Candoni, uno dei campi Rom attrezzati di Roma Capitale”.
Ogni lunedì, alle diciassette, inizia l'accoglienza delle persone Rom. Un volontario li attende all’ingresso, viene distribuito un numero per la turnazione, mentre suor Rosanna prepara il tè caldo per gli ospiti. “Piano piano, un bicchiere di tè e una chiacchierata, li riceviamo. Io ho un quaderno dove raccolgo la storia di queste famiglie”, spiega la signora Debora. “Loro ci raccontano le loro storie, i loro problemi, di cosa hanno bisogno e noi cerchiamo di aiutarli. Per loro, anche solo la chiacchierata, il colloquio, è fondamentale. Quando è possibile, li andiamo a trovare anche sotto il viadotto o nel campo. È una cosa bellissima conoscere la loro vita, io resto sempre affascinata dalle storie di queste famiglie”. A Campo Candoni, racconta la volontaria, i Rom sono per metà rumeni e per metà bosniaci, mentre i figli sono quasi tutti nati in Italia ma non hanno la cittadinanza, solo il permesso di soggiorno. “È una situazione – ci spiega – che crea problemi per le cure mediche, per ottenere i documenti, per l'iscrizione a scuola. Noi cerchiamo di aiutarli sotto tutti questi aspetti”.
Rapporti umani per abbattere lo stigma
Anche nella Capitale le persone Rom sono spesso discriminate e trattate da “cittadini di seconda classe”, come ricordava Papa Francesco nell’incontro con il popolo Rom e Sinti nel maggio 2019. “Non nego che tra i Rom ci siano persone che rubano e commettono altri reati”, spiega Debora Foglia. “Però credo che con le altre persone sia importante instaurare rapporti umani. Solo così crollano i muri della paura e dello stigma. Solo quando conosci una persona e sai il suo vissuto puoi aiutarla”. “Uno dei loro problemi principali, per esempio, è il lavoro”, racconta Debora. “Perciò cerchiamo di fargli fare qualche lavoro qui in parrocchia: li chiamiamo a potare le piante, raccogliere l'immondizia e riusciamo a dargli così una paga giornaliera”. “Qui in parrocchia abbiamo anche una ‘Casa della carità’ dove abbiamo ospitato una famiglia Rom, marito, moglie e una bimba. Lui adesso sta aprendo una piccola impresa, da solo, perché abbiamo creduto in lui. Bisogna dare una possibilità a queste persone, ricordarsi che sono esseri umani, spesso con grandi potenzialità e una diversità che è una ricchezza immensa”.
Dalle relazioni nascono inserimento e sicurezza
“Le discriminazioni sono basate sul pregiudizio”, spiega Giancarlo Gamba, settantenne di origini bergamasche da decenni impegnato in attività sociali nel quartiere. “In questi anni, attraverso una cooperativa sociale che ha lavorato sul territorio abbiamo creato occasioni dove i Rom potevano lavorare con i nostri giovani. Dove si riesce a creare queste situazioni le barriere cadono e oggi abbiamo muratori che quando hanno bisogno di qualcuno vanno chiamare quella persona Rom perché l'hanno conosciuta e sanno che ci si può fidare”. “Sette anni fa – racconta ancora Giancarlo – abbiamo messo su in parrocchia un progetto chiamato ‘Sabato in famiglia’: un momento di convivialità settimanale che coinvolgeva soprattutto i poveri. Anche qui abbiamo messo i Rom al primo posto e abbiamo creato amicizie, relazioni. Dove si crea relazione si crea inserimento, sicurezza e tutto diventa più semplice”. “Certo – conclude Giancarlo – qui alla Magliana siamo circa trentacinquemila ed è chiaro che ci sono sempre frange più difficili. Un mese fa, per esempio, c’è stato un incendio nelle baracche sotto il ponte ed era chiaramente un incendio di natura dolosa, ma noi cerchiamo di emarginare chi considera i Rom come il capro espiatorio di tutti i mali della società”.
La parrocchia: una casa sempre aperta
Parroco a San Gregorio Magno dal settembre 2019 è don Stefano Meloni che ha alle spalle una lunga esperienza pastorale con i Rom nella periferia di Villa Gordiani, nel quartiere Prenestino. “La mia parrocchia precedente, Santa Maria della Misericordia, sorge accanto a un Campo Rom. Lì il campo nomadi era casa mia e la parrocchia era casa loro e con queste persone ho instaurato un rapporto di profonda amicizia che ha dato i suoi frutti”, spiega don Stefano. “Per esempio adesso siamo alla terza generazione di ragazzi Rom. I primi erano molto chiusi, ma quelli di adesso stanno assumendo gli atteggiamenti degli altri ragazzi del quartiere. Oggi lì quasi tutti i bambini Rom vengono battezzati, vengono al catechismo, frequentano la parrocchia, vanno a scuola”. Alla Magliana però don Stefano ha trovato una situazione diversa: “Il campo Cantoni è una sorta di ghetto in mezzo alla campagna, sono persone lontane dalla comunità parrocchiale. I Rom che sono sotto il viadotto stanno ancora peggio, in baracche improvvisate, spesso in mezzo al canneto. Ma il mio atteggiamento è lo stesso: loro sanno che la parrocchia è a loro disposizione e che qui c'è sempre una casa pronta ad ospitarli”. “Non tutti i parrocchiani sono contenti di questo nostro lavoro di accoglienza, ma non ci sono grandi tensioni. La maggior parte della comunità capisce che sono anche loro persone che hanno bisogno di aiuto e qui nessuno vuole creare guerre tra poveri”, conclude il parroco.
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