Coronavirus, la tragedia si abbatte sui più poveri del mondo
Federico Piana- Città del Vaticano
Il coronavirus non risparmia neanche il Niger, Paese dell’Africa occidentale più povero del mondo. I primi casi di contagio si sono registrati venerdì scorso e le autorità governative hanno immediatamente preso provvedimenti ordinando un coprifuoco generale con la chiusura delle scuole ed il divieto di celebrazioni nelle moschee e nelle chiese. “Nella capitale, Niamey, per due settimane nessun mezzo di trasporto potrà entrare ed uscire dalla città, sarà completamente isolata” spiega padre Mauro Armanino, missionario della Società delle Missioni Africane, che da anni vive accanto alla popolazione nigerina condividendone dolori e speranze.
Questa pandemia si accanisce su un Paese già messo in ginocchio da altre malattie mortali e rischia di far collassare il precario sistema sanitario nazionale…
R. - Il sistema sanitario è già debolissimo. Esistono alcuni ospedali governativi, diverse cliniche private ed un nosocomio di riferimento offerto dalla Cina, ma utilizzabile solo in casi particolari. L’insieme di tutte le strutture, però, è inadatto perché il Niger già è colpito da malattie che stanno distruggendo la popolazione. La prima malattia, se si può definire tale, è la fame. Poi c’è la malaria che interessa in modo rilevante anche i giovani; senza dimenticare le malattie connesse alla mancanza d’acqua e all’assenza di servizi igienici. Viviamo da sempre in un contesto di precarietà.
E’ vero che se non si hanno soldi non si viene curati?
R. - Se si arriva al pronto soccorso dell’ospedale di Niamey e non si ha denaro per pagare le medicine, i guanti, e tutti i prodotti che servono per essere assistiti, si viene lasciati morire all’entrata, senza neanche essere presi in considerazione. Quindi, come si può ben capire, la pandemia aggiunge fragilità ad un sistema già fragile nel quale la politica assume un ruolo predatorio, perché non cerca il bene per la popolazione.
In questa situazione la Chiesa come ha reagito?
R. - Pochi giorni fa, l’arcivescovo di Niamey ha indetto una riunione del consiglio presbiteriale nella quale si è sottolineato che si sta passando da una emergenza all’altra. Nel 2015 sono state distrutte le chiese della ex capitale, nel 2018 è stato rapito il mio confratello, padre Luigi Maccalli, e poi in due parrocchie della nostra diocesi, per motivi di sicurezza legati al terrorismo, non ci sono presbiteri che possono guidare le comunità. Ed ora si abbatte su di noi la sciagura del virus. La nostra è una religione di minoranza: tra cattolici e protestanti saremo al massimo settantamila su una popolazione di almeno venti milioni di abitanti. Cerchiamo di fare ciò che possiamo.
Certamente è una comunità che non si perde d’animo…
R. - Ma soffre molto. Diamo comunque il nostro contributo prima di tutto con la preghiera: venerdì scorso ci siamo uniti anche a quella di Papa Francesco a San Pietro. E poi con la presenza dei sacerdoti tra la gente. Le nostre comunità cercano di esistere resistendo e resistendo esistono, nonostante questa dolorosa e martoriata realtà.
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