A Brescia, la vicinanza e il conforto di medici e infermieri
Marco Guerra - Città del Vaticano
Un segno della croce, una stretta di mano e quando è possibile anche una preghiera. La diocesi di Brescia in prima linea nell’emergenza Coronavirus invita tutto il personale sanitario credente a offrire segni di consolazione e speranza ai malati ricoverati a cui è negato il conforto dei parenti e dei sacramenti portati da un sacerdote. Il "ministero della vicinanza" viene quindi delegato a medici e infermieri di buona volontà, ma intanto fuori dagli ospedali la Chiesa è impegnata su tutti i fronti con la piena disponibilità della sue strutture sanitarie, con la preghiera per i defunti che si avvale dei necrologi sui giornali locali e con il conforto alle famiglie. Attiva anche la Caritas che inizia a rispondere alle prime preoccupazioni per le ripercussioni economiche che colpiranno tutti nella diocesi.
Per approfondire queste diverse situazioni abbiamo parlato con don Maurizio Rinaldi, Direttore dell’ufficio della salute, famiglia e impegno sociale, nonché della Caritas, della Diocesi di Brescia:
Da responsabile della pastorale sanitaria come affronta la tremenda condizione dei malati di Coronavirus che non possono avere nemmeno il conforto di un familiare al capezzale né di un prete per confessarsi e ricevere l'Eucarestia?
R. - Il conforto negato, la confessione e l’Eucarestia impossibile, dicono di un rapporto tra vicinanza e distanza abbastanza complesso. La spiritualità cristiana fa riferimento al mistero dell’incarnazione, cioè al fatto che si esige la presenza della materia, del corpo e della carne, quindi per la Chiesa gestire questo momento è difficile. Si tratta di articolare il valore della prudenza e quello del ragionevole rischio con il dovere e lo zelo pastorale. Il vescovo della città di Brescia, monsignor Pierantonio Tremolada, si è rivolto direttamente al personale sanitario, chiedendo ai credenti di svolgere quel ministero di vicinanza e incarnazione, aiutando i pazienti con la loro presenza amorevole e con un segno di croce sulla fronte. Ricordo anche che i cappellani ospedalieri non possono in questo momento avere contattati diretti con i malati di coronavirus e quindi diventa difficile per la Chiesa muoversi in questo contesto. Penso ad un santo che porto nel cuore, San Damiano De Veuster che andò volontariamente missionario nell’isola di Molokai, per stare vicino ai Lebrosi e lì morì con loro pur di non abbandonarli. La Chiesa dovrà riflettere anche su questo per interpretare il vissuto di questi giorni.
Quindi state formando e invitando il personale sanitario a dare dei segni di misericordia cristiani ai malati?
R.- Esatto!Il vescovo si è rivolto con un video direttamente a loro, perché i credenti possano in qualche modo esercitare quel ministero che gli è proprio in forza del sacerdozio battesimale ed essere segno di consolazione quasi sacramentale presso i malati che non possono essere raggiunti dai ministri ordinari. Il vescovo ha usato questa espressione “siate vicini nel ministero della consolazione” e quando il malato è morente esorta i sanitari a fare almeno un segno della croce sulla fronte.
L'impossibilità di celebrare i funerali delle vittime aggiunge ulteriore dolore.C'è un momento di preghiera per i deceduti?
R.- I social ci sono di aiuto, ci tengono uniti nelle informazioni circa i deceduti che conosciamo e che arrivano dalle loro famiglie. Si tratta di un modo per condividere il dolore e la preghiera. Le pagine quotidiane dei necrologi locali diventano un po’ l’estensione del breviario quotidiano della preghiera della Chiesa in questo momento. Le successive celebrazioni delle messe di suffragio aiuteranno a loro tempo ma oggi rimane l’imbarazzo della mancata presenza e del mancato aiuto di prossimità alle famiglie.
Tuttavia viene garantita la benedizione delle bare?
R.- Certamente, sono state messe a disposizione da parte di alcune diocesi chiese suffraganee o pievi, dove vengono collocate le numerose bare dei defunti. Non è permesso celebrare le veglie funebri quindi i luoghi non sono accessibili ai parenti, però i sacerdoti posso, singolarmente, pregare e benedire le bare.
Quali richieste arrivano dalle famiglie alla Chiesa? A quali turbamenti, inquietudini e domande dovete dare una risposta?
R. - Le famiglie chiedono preghiere, ascolto, un ascolto che va nell’ordine della preoccupazione per la salute di oggi ma anche nell’esprimere disagio e paura che molte famiglie già sentono per la situazione economica di domani. Quindi le famiglie pensano sì alla salute ma anche situazione economica che dovranno vivere, penso ai tanti che lavorano nel commercio, artigianato e industria. Come referente della Caritas diocesana e dell’ufficio famiglia le dico che stiamo già pensando a qualche risposta concreta per l’oggi, ma soprattutto per il domani.
Le strutture cattoliche sono impegnate in questa lotta?
R. - Per quanto riguarda Brescia il privato in generale, ma soprattutto le strutture cattoliche, sono molto impegnate e disponibili e hanno una collaborazione strettissima con gli Ospedali civili di Brescia e la Fondazione Poliambulanza (i due ospedali di Brescia ndr), si deve anche sottolineare la presenza del Fatebenefratelli e dei Camilliani. La diocesi ha inoltre messo a disposizione il centro pastorale Paolo VI per l’accoglienza dei malati che escono dagli ospedali ma che hanno ancora bisogno di un periodi di quarantena. La solidarietà tra strutture pubbliche e cattoliche è molto attiva.
Arrivano notizie anche di tanti sacerdoti deceduti…
R. - Si soprattutto dalla provincia di Bergamo che ha avuto lutti molto importanti. Mi viene da dire, secondo la spiritualità sacerdotale, che si muore perché si è vissuti per Dio e per il popolo di Dio, anche questo è un valore aggiunto che potrà essere d’auspicio e beneficio.
Quindi siete testimoni di tanto dolore ma anche di tanto altruismo, come ha reagito il personale sanitario?
R.- Parlando con alcuni operatori della sanità si registra la fatica ma si deve constatare anche il coraggio e dare rilievo alla responsabilità che tutto il personale sanitario sta esprimendo in questo momento. Mi viene anche detto che questa situazione di estrema drammaticità ha dato modo al personale sanitario esprimere una generosità inaspettata non legata al dovere. Questa è stata la grazia del personale sanitario che si è sentito solidale, unito e generoso.
Quali insegnamenti il popolo di Dio della sua diocesi sta traendo da questa tragedia? è possibile cogliere del bene da tutto questo?
R. - Parlavo di questo con mio vescovo, monsignor Pierantonio Tremolada, e dicevo che certamente ora la Chiesa ha un dovere relativamente alla sua presenza e nel servizio pastorale che in qualche misura deve compiere ma soprattutto sostengo che la Chiesa nell’immediato futuro avrà il compito di aiutare a leggere ed interpretare il vissuto di questi giorni. Si tratterà di aiutare a leggere quanto successo dal punto di vista non apocalittico o di un approccio superstizioso ma di una riconsiderazione antropologica teologicamente fondata, che viene a riconfigurarci come umani, che viene a dirci di nuovo la nostra grandezza e il nostro limite. Quando sento dire che ritorneremo come prima questa espressione un po’ mi imbarazza perché direi, dal punto di vista del mio essere credente, che non si ritorni come prima ma che si ritorni un po’ migliori di prima.
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