In ricordo di don Giuseppe Berardelli, testimone del Vangelo e icona dello stile bergamasco
Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano
È una lista drammatica che, in questo tempo di grande sofferenza a causa della pandemia, cresce giorno dopo giorno. Tra quanti sono morti a causa del Covid-19, molti sono sacerdoti. Vite donate alla comunità e al Signore che si sono spente, come è successo in questi giorni a molte altre persone, nella solitudine e senza la vicinanza di parenti e amici. È anche questa la sorte, ma non l'ultimo atto della testimonianza di don Giuseppe Berardelli, arciprete della parrocchia di San Giovanni Battista di Casnigo. È deceduto lo scorso 16 marzo, lasciando un ricordo indelebile nelle comunità dove ha svolto il suo ministero sacerdotale. Dalla Curia di Bergamo ricordano che l’immagine di don Giuseppe è una icona dello stile bergamasco non tanto di fare il prete, quanto di esserlo: "Ripeteva alla sua gente il suo saluto squillante e sorridente 'pace e bene' anche nei giorni in cui le notizie annunciavano il rischio di collasso negli ospedali per la mancanza di posti in terapia intensiva: 'se dovesse succedere a me, lascerei subito il posto a un giovane!'. E poi è successo davvero. Il coronavirus ha innescato una gravissima crisi respiratoria. Ma non è difficile credere che abbia ripetuto col poco fiato che aveva agli operatori sanitari: se c’è bisogno, lasciate il mio posto a un giovane!”.
Una testimonianza indelebile
La comunità di Casnigo, che già due anni fa aveva dimostrato il suo legame affettivo al suo parroco per un problema oncologico, ha subito pensato a cosa fare, a come organizzarsi, magari anche con una colletta per comprare un respiratore. Le buone intenzioni, però, non hanno avuto il tempo di diventare realtà. Don Giuseppe si è aggravato velocemente ed è morto in quattro giorni, in un ospedale tra tanti ammalati isolati e soli. La comunità, spiegano dalla curia di Bergamo, non ha potuto acquistare il respiratore. Nemmeno la casa di riposo ha dato una sua apparecchiatura come qualcuno ha ipotizzato nei giorni scorsi. Il Comune di Casnigo è venuto a conoscenza di questa intenzione. Ma l’ospedale è tenuto a rispettare restringenti norme sanitarie per ricevere apparecchiature e deve osservare precisi protocolli. Garantisce, in ogni modo, le cure più adeguate ed efficaci a tutti coloro che vi accedono secondo comprovati standard. Ma oltre la morte restano le strade tracciate e gli insegnamenti dati. Più importante del “come” del “cosa” è la testimonianza lasciata da don Giuseppe.
Un pastore umile e vicino alla gente
Don Giuseppe Berardelli era un gioioso testimone del Vangelo. Ha donato la sua vita alla gente e al Signore. Così Don Vittorio Rossi, parroco della chiesa Sant'Alessandro martire a Palandina, ricorda la testimonianza data con gioia e umiltà dall'arciprete di Casnigo. In questi giorni - aggiunge - viviamo una sofferenza immane e raccogliamo tante lacrime.
R. - Don Giuseppe Berardelli era un sacerdote gioioso, di grandi sorrisi, umile, vicino alla gente e di buon cuore. Ha dedicato il suo sacerdozio a tutta la comunità di Casnigo e anche alle altre comunità dove è stato parroco. Ha donato la sua vita al Signore e alla gente, con tutto il cuore.
Tra l’altro era il suo parroco…
R. - Io ero già sacerdote, però è diventato il mio parroco nel mio paese natio. C’era un legame proprio forte. C’eravamo sentiti un mese fa al telefono. Era gioioso, contento e stava bene. Per qualsiasi necessità e bisogno, ha sempre aiutato. Anche in questi giorni, mi dicevano di non preoccuparsi perché lui stava bene.
Una cosa che colpisce, vedendo le fotografie di Don Giuseppe, è il suo sorriso…
R. - Era proprio una persona gioiosa, testimone della gioia, del Vangelo, della lieta notizia. Il suo motto era “pace e bene”. Quando salutava tutti, ripeteva “pace e bene”. Era sempre felice e contento.
Lo ha sempre accompagnato, fino all’ultimo, la gioia di annunciare e testimoniare il Vangelo…
Non solo a parole, ma con la vita. Sacerdote umile, ma di grande cuore. “Pace e bene” penso sia la frase che lo ricorda in pienezza.
A questo saluto francescano che ha scandito la vita di don Giuseppe Berardelli si aggiunge anche il saluto di tutta la comunità parrocchiale. Su vari social network si legge che, pur non potendo partecipare alle esequie per le misure restrittive vigenti, la comunità di Casnigo ha voluto salutare don Giuseppe con un caloroso applauso dai balconi…
Dalle finestre, dai balconi e con lumini acceso. Lui ha voluto bene alla gente e la gente gli ha voluto bene.
Don Giuseppe apparteneva alla diocesi di Bergamo, la più colpita per quanto riguarda il numero di sacerdoti vittime anche a causa del coronavirus…
È un dramma per tutti. Ogni giorno, anche nella nostra parrocchia, suonano le campane a morto. Ieri ho sepolto cinque persone. C'è un dolore immane per la morte dei propri cari: vengono ricoverati negli ospedali e, purtroppo, non si possono accompagnare. Non si può essere vicini. E purtroppo questa situazione di isolamento di chi è malato - penso - è un’altra cosa, purtroppo, porta alla morte. Non si possono più vedere i propri cari, neanche quando vengono sepolti. Tanti sono in quarantena e non possono uscire e le esequie si tengono solo al cimitero. È una sofferenza immane. Nella nostra diocesi muoiono in media due sacerdoti al giorno. Sacerdoti in gamba che hanno donato la loro vita. Tutto questo ci deve far meditare. Sono giorni in cui dobbiamo pregare per tutti, per chi piange i propri cari, per chi li ha in ospedale. E per i medici e per gli infermieri che sono veramente encomiabili e sono veramente sotto stress in questi giorni. Vedono morire la gente in solitudine. Sono momenti di grande sofferenza.
Si soffre nella solitudine, si muore nella solitudine. Voi sacerdoti cosa potete fare per cercare di stare accanto, anche se non fisicamente, alla popolazione che non può vedere i propri cari malati, non può sempre dare loro l'estremo saluto?
Purtroppo, possiamo essere vicini solo per telefono o comunque attraverso mezzi di comunicazione. Fin quando ho potuto, ho celebrato attraverso la radio parrocchiale. Ma ho avuto anche io la febbre per alcuni giorni. Possiamo essere vicini attraverso la vicinanza e, per telefono, soprattutto per chi ci chiama per i propri cari in ospedale. Per chi muore, c’è la vicinanza anche solo per l'estremo saluto con le esequie al cimitero, dove ci sono alcuni familiari. Ma non possiamo salutarci, abbracciarci. C’è la vicinanza nella preghiera. Raccogliamo tante lacrime. Bisogna avere però uno sguardo di fede, di speranza e di carità.
Era capace di voler bene e di farsi voler bene
Anche don Mario Carminati, arciprete della parrocchia del Santissimo Redentore a Seriate, ricorda innanzitutto che don Giuseppe Berardelli era un uomo con la pace nel cuore. Quest'anno, aggiunge, viviamola Quaresima con la vita. È un tempo di grande sofferenza in cui non si riesce neanche ad elaborare il lutto.
R. - Era un sacerdote molto pio e umile. Concludeva sempre le prediche con “pace e bene”, frase che ripeteva continuamente a tutte le persone. Era il suo motto e lo viveva. Era sereno, allegro. Aveva questa pace nel cuore.
Amava la propria ed era anche molto amato dai suoi parrocchiani…
R. - Gli volevano proprio bene. Era capace di voler bene e di farsi voler bene. E poi aveva anche fatto molto per questa comunità. Aveva realizzato, recentemente, la nuova struttura parrocchiale per i giovani, l’oratorio. C’era stato un impegno notevole, da parte sua, in questa direzione. Quello che sta succedendo a Bergamo è davvero devastante in questo momento: portano via con l’ambulanza i malati dalle case e i parenti non li vedono più. Tante volte, non si ha neanche la possibilità di sapere cosa stia realmente succedendo. Questa è davvero la tragedia nella tragedia. Anche per lui è stato così.
È un momento drammatico: si soffre, si muore in solitudine…
R. - Stiamo facendo sempre più funerali, non in chiesa ma al cimitero. Si fa solo il rito esequiale all’aperto. Ci capita sempre più spesso con due o tre persone che danno l’estremo saluto ai loro cari. Ho appena concluso un rito esequiale e c’erano quattro persone. Diversi parenti che vorrebbero accompagnare il loro caro sono in quarantena. È una cosa bruttissima. Si vede partire i propri cari malati in ambulanza. E poi si riceve la telefonata con cui si viene a conoscenza del decesso. Alla cremazione o alla sepoltura possono recarsi pochissime persone. Non si elabora neanche il lutto. Le nostre comunità stanno vivendo una fatica enorme. Stanno sparendo persone che hanno dato tanto nelle nostre comunità. Una persona in parrocchia aveva 90 anni ma aveva ancora la patente e veniva tutte le sere a cantare alla Messa serale. Improvvisamente, abbiamo saputo che era morto. Un signore veniva tutti i giorni a tagliare l’erba nel centro pastorale. Anche lui è morto. E in questi casi la comunità non riesce neanche a dire grazie. È morto un sacerdote, don Piero Paganessi. Nel quarantesimo anniversario della sua presenza in parrocchia, lo abbiamo accompagnato per l’ultimo saluto. Alla sepoltura c’erano tre persone. È un momento di silenzio e di lutto.
È un momento di silenzio, di lutto. È il tempo della Quaresima, il tempo delle lacrime…
R. - Quest’anno non le impariamo con la catechesi, ma le tocchiamo con la vita. È davvero Quaresima così.
La speranza è legata, dopo questo tempo di Quaresima, alla Pasqua…
R. - Io ci credo perché, altrimenti, non sarei un sacerdote. Ma al di là dell’essere sacerdote, credo proprio in questo. Si deve dare conforto e speranza alle persone. Verrà il tempo della Risurrezione e della gioia. Faremo festa anche con questi cari che ci hanno lasciato. Crediamo nella comunione dei Santi e nella comunione della Chiesa. Questa sarà una delle cose principali da vivere.
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