Restare a casa non è staticità. Il modello di San Giuseppe e la sua "custodia dinamica"
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Madre Petra Urietti, superiora delle Suore di San Giuseppe, a Torino, accoglie con gratitudine le parole di Papa Francesco all’omelia della Messa a Casa Santa Marta, nel giorno della Solennità del Patrono della Chiesa universale. Riferendosi allo sposo della Vergine Maria, il Pontefice – che esattamente sette anni fa iniziava il suo ministero petrino - ha parlato di Giuseppe come di “un uomo capace di essere uomo e anche capace di parlare con Dio e di entrare nel mistero di Dio”.
R: - Parole sagge, quelle del Papa, che aprono una grande finestra su questa figura. Giuseppe è l’uomo giusto al momento giusto, nella storia della salvezza e anche oggi. Sento che è l’uomo, il santo a cui possiamo guardare con molta fiducia. Uomo del silenzio e della concretezza e di una efficacia a cui noi ancora oggi possiamo rifarci.
Custode della vita…
R: - Sì, custode, colui che sa far crescere, dalle situazioni anche più difficili, un orizzonte di speranza. Mi permetto di ricordare a tutti quelle tante immagini di San Giuseppe con un bastone fiorito. Un bastone che abitualmente è qualcosa di morto, di secco. Io penso che dobbiamo rifarci proprio a questo bastone fiorito. Viviamo una situazione che è come una bastonata su noi tutti, però con san Giuseppe dobbiamo osservare questo tempo presente e vedere che lì dentro c’è una grazia per ciascuno di noi. E’ una custodia dinamica quella che ci regala san Giuseppe e ci sprona ad avere anche nei confronti degli altri una custodia dinamica, ricca di una speranza che c’è dentro. Non c’è mai un bastone in mano a san Giuseppe che non fiorisca.
Insomma, lei ci invita a vivere questo tempo di clausura forzata riscoprendo che nulla è completamente statico, anche nella vita di fede…
R: - E’ una occasione, oserei dire, d’oro, drammaticamente d’oro quella che stiamo vivendo, che ci deve portare a fare un balzo in avanti. Questo tempo delle mascherine per certi versi è un tempo che ci aiuta a toglierci le maschere. E davanti a san Giuseppe - l’uomo senza maschera, l’uomo terso, dal cuore puro - io penso che abbiamo proprio paradossalmente questo invito, l’incoraggiamento a fare un lavoro di smascheramento. Dobbiamo senz’altro essere ligi a tutti i consigli saggi e santi che ci vengono dati per la salute del corpo, rispettiamoli, ovviamente. Ma penso che san Giuseppe ci faccia fare un balzo anche in un altro senso: togliamoci le maschere, optiamo per la purezza, non solo per la salute del corpo, purezza intesa come autenticità. C’è la distanza di sicurezza - obbligatoria adesso per gli altri e per noi stessi – ma poi c’è la distanza che Giuseppe ci invita a riprendere in mano, quella che non allontana, ma che ci avvicina all’altro.
Alla luce delle sue parole, cosa vuol dire vivere relazioni ‘caste’?
R: - Io penso che significhi vivere relazioni imbastite su un cuore puro. Giuseppe non ha posseduto nessuno, si è fatto servo dei servi, servo del Servo. Io penso che riscoprire, anche nei nostri rapporti familiari, di lavoro, con gli amici, questa distanza di sapienza, di rispetto sia la giusta castità.
Lei è appena rientrata da una missione in Africa. Anche in questo continente è arrivato il primo contagio da Covid-19…
R: - Sì, sono ancora spaesata, perché ripiombare da una realtà in cui l’emergenza è il quotidiano, in un posto dove ti dicono che siamo in emergenza, ci vuole un po' di tempo a riabituarsi. Ho vissuto per un mese in territori dove le situazioni erano tutte un incalzare di emergenza, forse questo ci deve un poco far riflettere. In certi contesti sarà davvero difficilissimo contenere la pandemia, invochiamo San Giuseppe che stenda il suo mantello.
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