Covid-19. Padre Chiera: in prima linea per la vita nelle favelas di Rio
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
In Brasile è iniziata una nuova lotta a favore della vita, dal concepimento alla sua fine naturale mentre, come nel resto del mondo, si guarda con timore al diffondersi della pandemia di Coronavirus negli strati più fragili della società, nelle favelas, sulle strade e nei quartieri più difficili. In prima linea c'è la Chiesa, ci sono le organizzazioni di volontariato, le associazioni.
Il coronavirus uccide ma ora c'è un altro virus da combattere
La nuova sfida si chiama "L'ora della vita" ed è l'iniziativa della Conferenza episcopale del Brasile (CNBB) lanciata nella domenica della Divina Misericordia per ribadire il valore della vita e l’importanza di tutelarla in ogni sua fase, dal concepimento e fino alla morte naturale. Essa si aggiunge ad una lotta iniziata da anni, almeno da quando il diritto all'aborto si va affermando in Brasile. Dal 2012 è già stato accettato quello in caso di anencefalia, ora la proposta che va in discussione e al voto il prossimo 24 aprile alla Corte suprema federale, riguarda la possibilità di abortire fino alla 12.ma settimana di gestazione in caso in cui, in donne affette da virus Zika, il feto presenti deformazioni cerebrali, come microencefalia. La votazione della Corte si svolgerà in modalità digitale. "Eccolo il nuovo virus da combattere in questo momento in cui la pandemia già attenta alla vita di tutti": così padre Renato Chiera originario di Villanova Mondovì, in provincia di Cuneo, fondatore e presidente della Casa do Menor alla periferia di Rio de Janeiro, dove accoglie, protegge e segue bambini e giovani in condizioni di disagio e disabilità.
La Chiesa: no all'aborto sì a politiche pro- vita
Ai nostri microfoni il missionario spiega la realtà della lotta per la vita che la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (CNBB) con una nota, ha avviato in vista della discussione della proposta di legge, avanzando perplessità sulle circostanze, dubbi sulla legalità del gruppo promotore e invitando tutti ad una mobilitazione in difesa della vita e in favore di politiche pubbliche di sostegno alle donne, ai bambini, ai giovani e ai poveri. Nelle parole di Padre Renato Chiera sia la drammaticità della diffusione della violenza in questo periodo, in particolare contro le donne, sia il timore dell' espandersi, senza possibilità di cura e prevenzione, del coronavirus tra le popolazioni amazzoniche e tra le baracche delle favelas:
R. - Il coronavirus uccide, e uccide anche in Brasile e molto, e ucciderà ancora di più, ma noi vogliamo in questi giorni introdurre un altro virus, l'aborto, per uccidere bambini le cui mamme sono affette da un virus molto diffuso qui, chiamato Zika. Da anni si discute il tema dell'aborto, e la proposta ora è di aborto fino alle 12ma settimana di gestazione. Nel 2012 il Supremo Tribunale Federale ha già accettato l'aborto per bambini anencefali - senza il cervello - adesso si tratta di aborto per casi di microencefalia e per deformazioni del feto provocate nelle donne a causa di Zika. La Chiesa da tempo ha espresso la sua posizione a favore della vita dalla fecondazione sino alla morte naturale: non è solo dire no all'aborto, è dire sì alla vita, a difenderla, creare le condizioni per la sua difesa.
Adesso, la presidenza della CNBB, come altri vescovi hanno fatto, in una nota, ha espresso la sua posizione su questo argomento, lanciando un forte invito: "In difesa della vita è tempo di impegnarsi". Nella nota si sottolinea la posizione immutata della Chiesa in difesa della vita umana nella sua integralità, inviolabilità e dignità. Il diritto alla vita non ha condizioni: va rispettato e difeso in ogni tappa e condizione in cui si trova la vita umana. Bisogna costruire una società in cui tutti possano vivere decentemente e siano aiutati nelle loro difficoltà. Proteggere le donne dallo Zika non significa ammazzare i loro bambini. La Chiesa quindi vuole arrivare alle cause dell'aborto, vuole proporre di difendere donne e bambini e pensa e chiede di investire in politiche pubbliche a sostegno della famiglia, delle donne e non solo, a sostegno dei giovani e dei poveri. Noi lo sappiamo bene perchè lottiamo contro la violenza nei confronti dei giovani e sappiamo che in 73mila circa muoiono uccisi ogni anno. E poi c'é la violenza contro le donne in grande aumento in questi giorni di pandemia e la violenza sociale contro i poveri che muoiono non solo di coronavirus, ma muoiono ogni giorno per esclusione, fame e mancanza di lavoro. Voglio aggiungere una nota finale. Da oltre 30 anni la Casa do Menor accoglie bambini con problemi di deficienza mentale e fisica e sono il più grande dono che noi abbiamo. Chi di noi ha il diritto di dire che non sono felici? Venite a trovarli e a vedere il loro sorriso: noi che ci crediamo normali, non siamo contenti come loro. Venite con me e vi convincerete: perché l'amore li fa vivere e l'amore li fa risorgere. Noi abbiamo assistito a dei miracoli di rigenerazione! Questa é la nostra esperienza.
La solidarietà non è morta, il coronavirus la sta suscitando
"È tempo di fare attenzione", si chiama così invece la nuova campagna di solidarietà verso i più poveri lanciata dal giorno di Pasqua dalla Conferenza episcopale del Brasile e dalla Caritas nazionale per raccogliere cibo e prodotti per l'igiene per i più bisognosi. In questo momento come state vivendo sia la paura della diffusione dell'epidemia che può flagellare proprio le fasce più vulnerabili e indifese e quale è la spinta alla solidarietà che sta nascendo, se sta nascendo?
R. - Sì è proprio così'. La CNBB ha lanciato in questi giorni un'azione che è chiamata "E' ora di fare attenzione!" La situazione ad oggi della diffusione del coronavirus, è che ci sono 2372 morti, 36.925 persone positive. I posti più colpiti sono San Paolo, Rio de Janeiro, Manhaus e Fortaleza. Gli ospedali sono già pieni e il sistema sanitario, così precario in Brasile, è al collasso. Fin dall'inizio dell'epidemia, il 17 marzo, col primo morto, la Chiesa e parte della società si sono messe in azione per proteggere e aiutare, prima di tutto accettando l'isolamento e diffondendolo come pratica e rendendo coscienti le persone di quanto accade, accettando le misure dei governatori locali. Ma erano azioni isolate, di buona volontà, non molto organizzate, che correvano anche dei rischi. Quasi dopo un mese poi, la CNBB ha lanciato un'azione solidale emergenziale insieme alla Caritas brasiliana improntata sul vivere la Pasqua come esperienza di solidarietà e dicendo che è ora di dare attenzione all'altro. Noi come Casa do Menor in collaborazione con comunità cattoliche di tutto il Brasile, abbiamo già accolto 547 fratelli di strada e stiamo distribuendo i pasti, la possibilità di usufruire di servizi igienici e abbiamo già donato circa 3000 kit igienici e ceste basiche, più di 100 in questi ultimi giorni. E poi abbiamo costituito dei punti di ascolto col supporto medico per aiutare ammalati, persone depresse, impaurite per la perdita di familiari a causa del coronavirus. Ora non so cosa succederà ma credo che l'azione sarà anche più bella e organizzata. La solidarietà non è morta. Il coronavirus la sta suscitando.
Per quanto riguarda invece la prevenzione e l'assistenza delle popolazioni dell'Amazzonia di fronte al rischio pandemia. Quanto sa del lavoro che si sta facendo con loro? Sappiamo che la Rete ecclesiale panamazzonica (Repam) del Brasile ha firmato un documento con proposte di prevenzione e assistenza ...
R. - La situazione degli indios dell'Amazzonia è molto precaria e difficile, perchè il governo lotta contro di loro e invece di proteggerli li vede come un ostacolo per il progresso. Aumenta poi la distruzione delle foreste: solo nel marzo 2020 l'aumento dovuto anche all'isolamento da coronavirus è stato del 29,9%; aumentano anche le occupazioni della terra. Gente che entra e occupa terra ammazzando. Il governo ha dato benefici agli invasori di terre pubbliche e nel 2019 c'è stato il record degli assassinati tra gli indigeni, con un aumento del 250% di morti in nome del progresso. Le comunità indigene si trovano ad affrontare quasi da sole questa realtà e qualcuno parla di rischio di genocidio.
Il coronavirus può decimare il popolo indigeno: in 48 ore c'è stato un aumento del 189% tra i casi positivi. Tre sono già morti. E poi non ci sono tamponi. Sono loro stessi che in questo periodo si stanno organizzando per protestare contro gli estrattori di oro che arrivano da fuori e possono introdurre contagi. Gli indios hanno poca difesa contro il virus: quindi potete immaginare cosa potrebbe succedere loro. La situazione è drammatica: dobbiamo pregare molto e rendere tutti coscienti di ciò che sta accadendo agli indios.
Le favelas e i ragazzi di strada: una situazione fuori controllo
Quale é invece la situazione della grandi favelas del Brasile e dei ragazzi di strada. Sappiamo che lei conosce bene entrambe. Dunque ad oggi quali sono i timori e come state vivendo la possibilità di una diffsione del coronavirus in questi contesti?
R. - Questa é la realtà più tragica: ci sono 70 milioni di persone che hanno bisogno dei sussidi del governo, che ha stabilito finora 600 reali a famiglia; ci sono circa trenta milioni di persone senza acqua e servizi igienici che non possono non contagiarsi. Abbiamo tredici milioni di miserabili che sono sotto la soglia della povertà con una media di reddito al mese di 16 euro, 80 reali. Non esistono piani del governo e non si sa come il virus si espanderà nelle favelas. A Rio vi abitano in due milioni, in tutto il Brasile 11 milioni e più. Come si fa a seguire le regole per non contagiarsi? Acqua, sapone, gel sono un lusso; molte famiglie condividono 1 o 2 stanze e come fanno a rispettare l'isolamento? Sono sempre insieme. Molti poi devono andare a lavorare.I poveri dal canto loro non hanno paura del coronavirus, perchè loro già muoiono ogni giorno. Ma il virus è già penetrato nelle favelas, non ci sono ancora molti casi, 78 circa e una decina di morti, ma a spargersi sarà un attimo.
Il Coronavirus ha prima toccato le classi ricche e ora sta arrivando ai poveri. Quelli che abitano sulla strada in San Paolo sono 24 mila, con un incremento del 53%; a Rio sono 15mila. E allora come si fa? Qui a Rio hanno sgombrato e messo a disposizione il sambodromo per accogliere le persone, e, per strada, le organizzazioni hanno montato docce e lavandini. I ragazzi di strada: ormai non sappiamo noi stessi quanti siano. 5 -6mila non si sa. Noi continuiamo ad accoglierli. Abbiamo aperto tre case: non è molto per quanto bisogno c'è, ma è quanto possiamo fare. Io soffro, sono in quarantena e non riesco ad andare nelle cracolandie a vedere che succede lì, che è un altro mondo. Cosa sarà in futuro? La nostra gente dice: "Siamo nelle mani di Dio". Allora, so che in Italia ci sono molti problemi, ma se qui il virus si spargesse come è accaduto da voi, con la situazione che abbiamo noi, sarebbe una catastrofe. E allora invochiamo l'aiuto di Dio, ma facciamo anche tutta la nostra parte. Noi abbiamo speranza perchè crediamo nel Risorto.
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