"Anche Dio si arrabbia": in un libro la passione del Padre per il suo Popolo
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Aldo Martin è un sacerdote di Vicenza. Insegna esegesi neotestamentaria all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della diocesi, di cui è anche il direttore, e presso l’Istituto Teologico di Assisi ed ha in attivo diverse pubblicazioni. Appassionato ed esperto di Sacra Scrittura non condivide la tendenza a guardare con sospetto o ad ignorare alcune pagine della Bibbia come quelle che parlano dell’ira di Dio e del suo giudizio sull’uomo. Per molti, infatti, queste sono letture imbarazzanti e la tentazione è quella di semplificare la questione ritenendo che il Dio travolto dall'ira e dallo sdegno appartenga al Vecchio Testamento e che il Dio di Gesù sia altra cosa. Quasi Dio avesse due volti, uno buono e l’altro cattivo. Nel libro: “Anche Dio si arrabbia - l’ira e il giudizio divino come altra faccia dell’amore”, l’autore passa in rassegna queste pagine arrivando alla conclusione che quando Dio si arrabbia con l’uomo e lo sottopone al suo giudizio, in realtà, sta mostrando paradossalmente un amore appassionato ed estremo. Il volume, edito da Città Nuova, fa parte della collana 'Attualità della Bibbia' che affronta temi teologico-esistenziali con un forte richiamo all’attualità. Al microfono di Vatican News don Aldo Martin spiega i passi della sua ricerca a partire dalla comprensione dei modi in cui si manifesta l'ira di Dio nel suo rapporto con il popolo d'Israele:
R. - L'ira di Dio è una chiave di lettura interessantissima del modo con cui Dio si rapporta con l'umanità. Il mio desiderio è stato quello di sondare i testi biblici per mostrare che non è un tratto che contraddice la bontà di Dio, assolutamente. Spesso si semplifica, si dice che il Dio dell'Antico Testamento è un Dio cattivo, il Dio del Nuovo Testamento è un Dio buono. Non è vero, già Marcione aveva detto questo nel III secolo ed è stata definita come un'eresia: non abbiamo due divinità diverse, abbiamo lo stesso Dio che è buono e ama il suo popolo in maniera così appassionata che talvolta si arrabbia. Dunque il Dio d'Israele che manifesta la sua collera lo fa innanzitutto per difendere Israele dai popoli più forti: Dio si indigna e si arrabbia con coloro che vogliono mortificare, ferire il suo popolo. Questo meccanismo Dio lo applica poi anche all'interno di Israele perché l'ira di Dio è il modo con cui si manifesta la sua ripulsa nei confronti del male, nei confronti delle ingiustizie verso i più deboli. Quindi Dio si arrabbia con i violenti, con i prepotenti, con i leader politici che mortificano il suo popolo, soprattutto i poveri, e quindi è interessantissimo notare come il meccanismo dell’ira è la garanzia della giustizia di Dio, altrimenti Dio sarebbe ingiusto se restasse indifferente nei confronti delle sofferenze delle persone umili e povere, e Dio che si indigna mostra un tratto originale del suo amore appassionato.
A proposito della sofferenza, c'è però un libro, il libro di Giobbe, dove Giobbe si arrabbia con Dio e lo accusa perchè, dice fa perire l'innocente allo stesso modo del peccatore e davvero sembra quasi che Dio vada oltre ogni schema, ogni logica...
R. - Questa è la domanda che l'uomo credente si è posto nel passato, che si pone oggi e che si porrà sempre fino alla parusia, cioè alla seconda venuta di Cristo. I latini dicevano: se Dio è buono da dove viene il male? Questa deve rimanere la domanda aperta proprio sul tema di Dio e del rapporto che Dio ha con l'uomo e Giobbe stesso, alla fine, si arrende di fronte alla inconoscibilità di Dio. Il mistero qui si allarga certamente e non abbiamo parole per poterlo esaurire e per poter chiarire tutti i termini. Certamente è il grande problema che Gesù stesso in croce si pone: "Dio mio Dio mio perché mi hai abbandonato". Rimane il “mio Dio”, io non mi allontano da te, ti rimango fedele ma nella forma, appunto, del sentirmi abbandonato da te.
Lei dice e dimostra che non è vero che non ci sia traccia nel Nuovo Testamento della collera di Dio espressa attraverso Gesù. Prende in esame la figura di Giovanni Battista, prima di tutto, che parla di "ira imminente di Dio", e poi le parabole molto dure raccontate da Gesù sul Giudizio finale o sul re che condanna i vignaioli perfidi, i suoi operai infedeli. Poi, però, lei sostiene che in Dio collera e compassione per l'uomo vanno insieme...
R. - Quando ci raffiguriamo Gesù e lo dipingiamo come un maestro buono e accondiscendente, diciamo la verità. Il tratto della misericordia è una delle originalità irriducibili e innegabili del Maestro di Nazareth, ma Gesù è anche un uomo a tutto tondo e quindi, in alcune occasioni, manifesta la sua ira. Ad esempio nei confronti della malattia e del male che affligge l'uomo. Ecco, Gesù non lo tratta come un problema teorico, ma prende posizione a partire proprio da questo moto interiore che è la collera. In alcuni passaggi queste prese di posizione di Gesù assomigliano molto alle pagine dell'Antico Testamento. Quindi Gesù assomiglia a Dio che si arrabbia che si arrabbia contro l'ipocrisia degli uomini, contro il peccato dell'uomo e quindi in alcuni momenti, soprattutto nelle battute che fa, soprattutto nelle parabole, noi vediamo in lui questa ripulsa forte e appassionata contro il male e va restituito questo tratto originale della figura di Gesù. Come ci piace vedere Gesù che si commuove, vedere la sua misericordia, così dobbiamo tener presente anche le sue emozioni negative che lui esprime appunto nei confronti del mondo del male nel quale l’uomo è implicato. Se poi passiamo ad alcuni testi di Paolo o dell'Apocalisse, ecco che l'ira ritorna ad avere un' importanza tematica notevole, per cui sostengo nel testo che le pagine dell'Ira di Dio vanno ricollocate al loro posto e non espunte o peggio ignorate come purtroppo accade nella spiritualità o nella catechesi e nella predicazione.
L'ira di Dio, nell'analisi della prima parte del suo libro, poi, nella seconda, il giudizio di Dio. Perché è così importante questo tema del giudizio?
R. - L'ho voluto affrontare perché emerge molte volte in connessione con l'apparizione dell'ira nelle pagine sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento. Il giudizio è una categoria che va stretta all'uomo contemporaneo che si è emancipato da tante forme di tutela e fa fatica a lasciarsi giudicare da un’stanza esterna che sembra intrufolarsi dentro alla coscienza autonoma e libera dell'uomo contemporaneo. In realtà però ho voluto sottolineare il fatto che l'uomo ha anche bisogno di arrivare alla verità, a un momento in cui poter elaborare una valutazione, tracciare anche un giudizio autentico sul proprio operato. La Bibbia se ne fa carico dicendo che ci sarà un momento in cui la storia dell'uomo sarà giudicata, e questo non vuol dire che sarà condannata, ma ci sarà un momento in cui faremo i conti con noi stessi, in cui la verità verrà alla luce. Quindi avremo modo di scoprire e di sentirci dire il senso della nostra esistenza come singoli e come collettività. Io guardo la pagina di Matteo 25, quell'affresco grandioso del Giudizio universale in cui il re siede sul trono e divide l'umanità in due gruppi: è un momento molto bello perché i giusti quando si sentono dire "Avevo fame e mi hai dato da mangiare, nudo e mi hai vestito..." , i giusti dicono: "Ma quando mai Signore abbiamo potuto servirti in questo modo?" e la risposta è: "Ogni volta che l'avete fatto a uno di questi piccoli". Per dire che il momento del giudizio non è soltanto l'occasione in cui verranno alla luce i nostri difetti e le nostre mancanze, ma verremo a conoscere anche il lato buono di tante scelte di cui non avevamo la consapevolezza. Allora il giudizio che certamente è latore anche di questo tratto tremendo dell'ira di Dio sarà anche il momento in cui anche Dio porterà alla luce, valorizzerà appieno i nostri piccoli atti d’amore che conserveranno tutto il loro valore di cui noi finalmente saremo resi consapevoli.
Le faccio una domanda che ci riporta un po' all'oggi. A volte quando succedono delle grandi disgrazie, qualcuno dice che è Dio che castiga l'uomo, è Dio che si arrabbia con l'uomo. Noi siamo convinti che Dio ci ama. Alla luce di tutta la sua riflessione, come possiamo vedere queste interpretazioni, anche il momento che l'umanità sta vivendo oggi?
R. - Riguardo a questo a me ha fatto un po' specie che il libro sia uscito proprio in questi queste settimane tribolate, ma c'è una parola di Gesù che mette in luce immediatamente la posizione corretta, quando nel capitolo 13 del Vangelo di Luca gli chiedono come mai alcuni Galilei sono stati uccisi da Pilato dentro al tempio. Gesù risponde: non dovete pensare che questi fossero più peccatori degli altri. E aggiunge un fatto di cronaca nera, una disgrazia, l’episodio in cui un tratto del muro del Tempio, la torre di Siloe, è crollata e sotto questo crollo sono morte diverse persone e Gesù assolutamente prende le distanze da questo modo di leggere la storia in maniera immediata: dietro le disgrazie non c'è la mano di Dio, dietro alle pestilenze, ai terremoti e alle malattie non c'è l'ira di Dio all'opera e Gesù su questo è molto chiaro. Al tempo stesso però, lui dice: non è una condanna, ma se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo, cioè Gesù aiuta a distinguere e nei fatti, anche più duri, restituisce all'uomo la sua responsabilità di cogliere degli appelli. La storia in genere, e soprattutto le vicende dolorose, sono dei punti di domanda. Ecco questo sì, Gesù ci aiuta a coglierlo. E il momento presente che stiamo vivendo in cui stiamo soffrendo tantissimo, sicuramente interpella la nostra responsabilità di uomini e di donne che devono prendersi cura dei fratelli più deboli, di chi soffre e di chi ci sta malissimo, di chi muore, e mostra il lato più bello della nostra umanità cioè la compassione , il prendersi cura, il darsi da fare per quanto possibile per lenire le sofferenze degli altri: questo è l'appello più grande che Dio può nascondere nelle pieghe della storia perché venga fuori il lato migliore della nostra umanità. Identificare immediatamente i fatti negativi con l’ira di Dio, non credo porti a nulla e ci allontana molto dal pensiero di Gesù.
In un pontificato come quello Papa Francesco che sottolinea tantissimo la misericordia di Dio, c'è posto in qualche parola, anche per l’ira di Dio’
R. - Questa è una domanda molto molto bella che ci aiuta anche a cogliere l’attualità del Giubileo della misericordia. Certamente c'è stata una sottolineatura meravigliosa di questo tratto squisito di Dio che non va disgiunto però, non va contrapposto, al tratto dell'ira di Dio. Lo stesso Papa Francesco in più occasioni ne ha parlato in maniera molto vibrante, citando appunto questo tratto adirato di Dio nei confronti delle ingiustizie. Dio di fronte alla violazione di un innocente non può restare indifferente e manifesta il suo coinvolgimento appunto con la sua collera. Dunque notiamo che qui la misericordia verso la persona ferita e la collera nei confronti del carnefice vanno insieme. Se le disgiungiamo allora sarebbe un Dio profondamente ingiusto ed è per questo che mi sono permesso di mettere come sottotitolo del mio contributo “l’ira e il giudizio divini come modi estremi di amare”.
C'è ancora qualcosa forse da dire come sintesi, come punto di approdo di tutto questo suo lavoro?
R. – Potrei usare questa immagine, qualche volta l’ho sentita citare, quella del Giano bifronte, questa figura della mitologia che ha due volti, qualche volta applicata proprio al Dio biblico, il quale avrebbe un volto buono e uno cattivo. Ecco io direi che questa idea va definitivamente archiviata, perché tutta la Scrittura ci dice che Dio ha un unico volto nei confronti dell'uomo. Dio ci guarda con la sua bontà, ha un volto buono, dunque non si può dire che è un Dio a volte buono e a volte cattivo, assolutamente no. E’ un Dio solamente buono e nella sua bontà a volte si arrabbia. Come mi ha detto mio nipote quand’era piccolino: “Zio, l'ira di Dio è molto facile da risolvere, in fondo i genitori che ci vogliono bene qualche volta, per il nostro bene, si arrabbiano.
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