Padre Maccalli vivo: la gioia e i problemi dei missionari in Niger
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La notizia che padre Pier Luigi Maccalli, il missionario italiano rapito in Niger 18 mesi fa, è vivo, anche se ancora nelle mani di un gruppo jihadista che ha fatto arrivare la sua voce registrata il 24 marzo al quotidiano “Avvenire”, è stata accolta con gioia e speranza dai suoi confratelli della Società delle Missioni Africane. Sei religiosi che hanno dovuto lasciare la zona sud occidentale del Paese, al confine con il Burkina Faso, dove insieme al 58 enne padre Gigi, cremonese di Madignano, da oltre 20 anni in Africa, animavano le comunità cristiane del popolo Gurmancè, lottando contro la povertà, i problemi di salute e igiene e l’analfabetismo diffuso.
I gruppi jihadisti impediscono le celebrazioni e la scuola
Quelle zone infatti, come la parrocchia di Bomoanga dove il 17 settembre 2018 padre Maccalli è stato rapito, sono sotto la minaccia continua di gruppi armati provenienti dal Mali o dal Burkina Faso. Gruppi che impediscono celebrazioni e preghiere, attività scolastiche e ricreative, permettendo solo le attività degli ambulatori e dispensari medici. I sei religiosi della SMA sono in contatto continuo con il loro superiore generale, padre Antonio Porcellato. Ecco la sua testimonianza:
R. - Per noi è la gioia di sapere padre Gigi vivo, una bella notizia, specialmente in questo tempo di tristezza per il virus che ci circonda. Gioia e anche speranza, forse un passo in più verso un possibile ritorno a casa, speriamo! E anche per la Chiesa il Niger penso che sia una grande gioia sapere che anche se non è più lì, è vivo e potrebbe un giorno tornare nella sua parrocchia di prima.
Quale è oggi la situazione nella zona di missione di padre Gigi e in Niger in generale?
R. – Nella zona in cui c’era padre Gigi, che è la zona sud-occidentale del Niger, al confine con il Burkina Faso, la situazione è un pò deprimente, nel senso che di quattro parrocchie che ci sono non ce n'è più una che abbia i propri sacerdoti sul posto, perché tutti hanno dovuto lasciare le parrocchie per motivi di sicurezza, per questi gruppi jihadisti che intimidiscono le comunità cristiane che non vogliono sottostare a quello che loro impongono. Di quattro parrocchie adesso una soltanto, la domenica, ha la possibilità di avere la Messa ma con qualcuno che va dalla capitale e poi torna indietro. Quindi è una situazione un po' difficile, specialmente in quella parte del Niger. Noi abbiamo sei confratelli attualmente in Niger, italiani, indiani e spagnoli che collaborano naturalmente con il vescovo e con altri sacerdoti locali. Non molti perché in Niger soltanto lo 0,5 per cento della popolazione è cattolica, tutti gli altri sono musulmani. Questi nostri sei confratelli stanno bene, per il momento, ma sono tutti o nella capitale Niamey o in altri due città, a Gaya e Ndoutchi.
Che cosa possono fare i suoi confratelli nella capitale o nelle altre zone sicure per continuare l'opera di padre Maccalli, nell'attesa e nella speranza di un suo ritorno?
R. - C’è il supporto psicologico, anche a distanza, per tutte le comunità cristiane, via telefono, ci sono queste visite domenicali che si possono fare una delle parrocchie, Makalondi, e c’è certamente la preghiera, perché è nei tempi di persecuzione, nei tempi difficili, che si trovano risorse interiori, anche con la grazia di Dio, per essere veramente testimoni e ce ne sono anche tra questi cristiani in Niger. Quindi è il momento, adesso, della resistenza, o meglio della resilienza, il sapersi adattare alla situazione per quando ci saranno le opportunità per poter ricominciare. Naturalmente guidati dall’arcivescovo Laurent Lompo, di Niamey, e con tutte le altre comunità che sono in città. Ci sono sette parrocchie in città, che 5 anni fa hanno subito un attacco, con incendio, in seguito a quello che era successo in Francia. E’ una ferita dolorosa, che è ancora molto viva nella comunità cristiana di Niamey.
Ma il governo cerca di tutelare la vita e le attività dei cristiani?
R. - Cerca di farlo, dove può e come può, e non può molto. Lo fa nella capitale, quando ci fu questo attacco alle chiese, la cattedrale fu difesa dall’esercito ma solo quella. Nella zona dove c'era prima padre Gigi, del popolo Gurmancé, il governo e le forze dell'ordine non riescono a imporre il controllo della situazione, per cui non si può neanche aspettare che ci sia un aiuto e una difesa. Dicono soltanto: “Non andateci più, per la vostra sicurezza”.
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