Hollerich: combattiamo i virus del Covid, del nazionalismo e dell’egoismo
Massimiliano Menichetti
Settant'anni dopo che il ministro degli Esteri francese Robert Schuman diede il primo impulso alla costruzione del progetto europeo, l’arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Comece, la Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea, il cardinale Jean-Claude Hollerich, si è recato a Schengen, città dove nel 1985 fu siglato l'Accordo che regola l'apertura delle frontiere tra i Paesi firmatari. Qui ha acceso una candela, per ribadire la necessità di solidarietà, unità e pace, in questo tempo in cui la pandemia del Covid-19 flagella il mondo. “Abbiamo bisogno di un altro virus, il virus della solidarietà e della carità - ribadisce il porporato ai media vaticani - per capire che l’uomo non vive da solo”, perché “noi possiamo essere “umani” soltanto insieme con gli altri”.
La festa dell'Europa celebra la pace e l'unità. Molti sono gli appelli e gli auspici affinché questo continente sappia tornare allo spirito dei Padri fondatori, sappia riscoprire le proprie radici cristiane. Accogliendo le parole del Papa: come si aggiorna l’idea di Europa?
R. - Penso che sia un momento veramente di gratitudine, perché grazie all’Unione Europea abbiamo avuto la pace. Ieri si è ricordato il 75° anniversario della sconfitta del regime nazista: abbiamo fatto comunque un grande progresso. Ma bisogna mantenere questo spirito, e per questo bisogna tornare allo spirito dei Padri fondatori. Penso a Schuman, penso ad Adenauer, a De Gasperi, che erano uomini pronti alla riconciliazione, uomini che non vedevano il mondo in bianco e nero, ma vedevano tutte le sfumature tra il bianco e il nero. Erano uomini impegnati per la pace e l’unità, basate sulla loro fede cristiana. E il Papa è un po’ la coscienza dell’Europa: è un grande piacere, penso, per tutti gli europei vedere come il Papa venuto da lontano – come ha detto lui stesso – abbia il “senso europeo”, ha capito veramente in profondità quello che è l’ideale europeo: la solidarietà. E la solidarietà non si ferma ai confini dell’Europa. Abbiamo problemi con i confini: confini in Europa e confini dell’Unione Europea con gli altri Paesi. C’è gente che muore ai confini dell’Unione Europea e noi non possiamo tollerare questo.
In questo periodo drammatico a causa del Covid-19, lei ha più volte lanciato un appello all’Europa affinché mostri piena empatia e piena solidarietà ai Paesi più colpiti dalla pandemia. Una sollecitazione che è stata accolta? Cosa bisognerebbe attuare?
R. - Credo che sia stata accolta, non soltanto perché l’ho detto io, ma perché la gente è convinta degli ideali dell’Unione Europea. C’è però un po’ una ferita che rimane: le grandi discussioni prima di arrivare a un compromesso, in un certo senso sono normali in politica; ma in momenti nei quali una grande parte dell’Unione Europea soffre – pensiamo soltanto alle persone morte in Italia, Spagna, Francia … è stata una strage! – allora bisogna dare segnali forti, con empatia. Non soltanto soluzioni teoriche: gli aiuti devono arrivare presto perché altrimenti le persone perdono la fiducia nell’Europa.
Il Papa invita al coraggio “di una nuova immaginazione”, a sviluppare “anticorpi della solidarietà” capaci di dare soluzioni durature, non temporanee. C’è dunque una reale opportunità in questo tempo così difficile?
R. - Sì e lo penso veramente, perché noi siamo divenuti nuovamente consci della fragilità dell’essere umano, della fragilità delle nostre società. E la fragilità può portare a due reazioni: chiudersi in sé, aver paura, e chiudere anche le nostre società, i nostri Paesi. Un’altra reazione – e qui abbiamo bisogno di un altro virus, il virus della solidarietà e della carità, per capire che l’uomo non vive da solo: noi dovremmo saperlo, oggi, perché abbiamo sofferto del fatto di vivere da soli – è che c’è bisogno di una grande rete di solidarietà, perché noi possiamo essere “umani” soltanto insieme con gli altri. Abbiamo bisogno degli altri per realizzare la nostra umanità, per realizzare la chiamata che Dio ci fa.
Qual è il messaggio dunque, la sfida, che la Chiesa in Europa vuole lanciare?
R. - Bisogna avere più solidarietà e più empatia; bisogna essere dalla parte dei più poveri; bisogna avere un realismo basato sull’idea dell’Europa e questa idea non si può pensare senza solidarietà, senza pace. Tutte le altre visioni dell’Europa sarebbero contrarie all’idea dei Padri fondatori. È tanto importante mostrare al mondo che la società umana può essere solidale, che una tale crisi globale, questa pandemia può essere combattuta soltanto a livello mondiale, e che l’Unione Europea è uno strumento per la pace nel mondo. Dunque, combattiamo il virus del Covid e combattiamo il virus del nazionalismo e dell’egoismo.
Ultimo aggiornamento ore 14.00
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