Padre Leopoldo Mandic: il film sul "Santo del confessionale"
Marco Guerra - Città del Vaticano
Le storie di due famiglie di Padova che dipanandosi tra i conflitti mondiali del Novecento si intrecciano con la figura di San Leopoldo Mandic. In questo modo la vita e le opere dell’instancabile confessore cappuccino, vengono raccontate nel film Sulle mie spalle, scritto è diretto dal regista veneto Antonello Bellucco.
Una storia attuale
Lo sfondo della pellicola è l’Italia con le sue vicende storiche che fanno dal 1915 al primo Natale dopo la guerra, quello del ’45. Ma la trama del racconto è di grandissima attualità perché indaga nella ferita provocata dalle crisi che sconvolgono e mettono alla prova la vita delle persone e la serenità delle famiglie. Il protagonista è infatti un imprenditore che dopo la guerra si ritrova in povertà e riflette sulla scelta del suicidio. Da giovane era un convinto interventista idealista. Nel personaggio possono riflettersi le storie di tanti lavoratori che rischiano di perdere tutto a causa della pandemia. È un film a tinte forti in cui emergono l’anelito religioso e le gradi domande della vita tramite la scoperta di San Leopoldo Mandic. Il Santo e il suo pensiero vengono visti attraverso gli occhi e le esperienze dei personaggi in cui tutti possono immedesimarsi.
Una vita a confortare le anime
San Leopoldo, al secolo Bodgan Ivan Mandic, nato Castelnuovo, l’odierna Herceg nel 1866, viene spesso accostato a Padre Pio da Pietrelcina perché anch’egli si distinse per le sue doti di confessore. Padre Leopoldo trascorreva infatti le sue giornate in una stanzina di due metri per tre del convento dei Cappuccini di Padova dispensando, fino a dodici ore al giorno, la misericordia di Dio alle anime dei penitenti. Tuttavia il Santo di origini slave era di indole più riservata e silenziosa. Eppure anche Papa Francesco ha omaggiato insieme i due Santi. In occasione del Giubileo della Misericordia, il Santo Padre ha voluto in Vaticano le spoglie di San Leopoldo Mandic. L’ostensione del corpo di padre Leopoldo è avvenuta dal 5 all’11 febbraio 2016 nella Basilica di San Pietro, accanto alle spoglie mortali di Padre Pio da Pietrelcina, portate per l’occasione da San Giovanni Rotondo.
In attesa della riapertura dei cinema
Antonello Bellucco ha quindi voluto puntare la sua macchina da presa su San Leopoldo e portare sul grande schermo la storia di un carisma meno conosciuto ma altrettanto straordinario. Il Film è stato girato in inglese, proprio per favorire la più ampia diffusione possibile in tutto il mondo. L’uscita nelle sale era prevista per questo mese aprile, con accordi già avvitati in Italia e Sud Africa, ma la pandemia del Covid-19 ha portato alla chiusura di tutti i circuiti cinematografici. Tutto è pronto però per la distribuzione e la proiezione di Su le mie spalle, che avverrà non appena saranno allentate le misure di contenimento nei cinema.
“Questo film sembra fatto appasta per questo momento di crisi”, ribadisce il regista intervistato da VaticanNews:
R. - Leopoldo ha speso gran parte della sua vita all'interno di un piccolo confessionale, dove ha ascoltato, confessato e aiutato decine di migliaia di persone che facevano la coda per lui. Alcune di queste persone le ho conosciute nella fase di scrittura del film, all’epoca di San Leopoldo erano bambini perché persone nate tra gli anni Venti e Trenta. Esse mi hanno raccontato di questo frate che li salutava quando andavano a confessarsi. Lo ricordano come un signore anziano con la barba, che con un cenno dava un sorriso e tanta tranquillità anche ad una giovane vita.
Alcuni lo considerano un “padre Pio” del NordEst”, proprio perché ha speso molto tempo nel confessionale, è d’accordo con questa definizione?
R. - Padre Pio è una figura diversa, era un personaggio che in qualche modo si rendeva anche pubblico, nell'atteggiamento nel modo di esprimersi. Padre Leopoldo invece era un uomo molto silente. E’ un po’ come San Francesco e Sant'Antonio, il mite Francesco e l'Antonio, come l'ho definito io, guerriero di Dio. Sono comunque personaggi con uno stesso comune denominatore. Pertanto non è stato facile raccontare la vita di San Leopoldo che si è espressa attraverso un confessionale. La cosa è stata difficile perché Padre Pio si è fatto sentire in mezzo alla gente e in mezzo al pubblico, mentre a Padova la gente andava a trovare San Leopoldo per avere questo senso di protezione dell'anima.
Su cosa si è concentrato per riuscire ad imprimere nella pellicola il personaggio di San Leopoldo?
R. - Per me Padre Leopoldo è colui che ha voluto creare un ponte tra l'umanità e Dio. Il suo prendersi sulle spalle gli altri, questa è una sua frase che ha dato il titolo al film, significava accogliere chiunque volesse tornare nella grazia del Signore. Era importante far conoscere questo suo essere così nascosto. Lui forse non lo avrebbe mai voluto perché preferiva essere, come si definiva, un’ombra sulla terra, quindi non ho voluto fare un film che si soffermasse tanto sull’aspetto biografico ma piuttosto sulle storie di alcuni personaggi e su una storia realmente accaduta.
Lei infatti ha raccontato il grande Santo attraverso le storie di singole persone che si intrecciano tra loro…
R. - Esattamente, e queste persone che si stagliano attorno a lui diventano un po' lo specchio di ognuno di noi: il padre del protagonista che è preso solo degli affari e dal denaro, il protagonista, come tutti i giovani, desideroso di emergere, e poi abbiamo la moglie del protagonista che è un medico quindi c’è il rapporto tra scienza e fede con la sua complessità. Quindi questi parallelismi, queste forme di ricerca di Dio nei personaggi, che stanno attorno padre Leopoldo, fanno sì che il Santo diventi il cardine e il ponte tra ognuno di loro e diventi anche uno strumento, non esaustivo ma alle volte anche simpatico e ironico, per portare tutti i personaggi a un punto centrale, che è il senso della vita.
Il film è di grande attualità perché parla anche di uomini disperati, c'è chi arriva a pensare persino al gesto del suicidio, racconta una crisi e per questo ci possiamo riconoscere anche noi che viviamo questi tempi. E’ un film universale?
R. - Io ho puntato soprattutto, ancor prima di iniziare a scrivere il film, sul desiderio dell'universalità della pellicola. Questo sulla coda della crisi economica di pochi anni fa che ha portato, soprattutto qui nel Nord-Est, molte “croci bianche”, ovvero giovani imprenditori che si sono suicidati proprio perché privi della speranza e del senso della vita e quindi legati, senza via d’uscita, a quella necessità del bisogno economico per far vivere la propria famiglia. Ecco sulla scia di quella crisi economica avevo iniziato a pensare proprio questa a questa possibilità di ricercare la speranza, poi, il caso ha voluto che ci trovassimo in una pandemia che ha provocato una crisi superiore a quella del 2008, quindi chi ha avuto modo di vedere il film mi ha detto che sembra fatto apposta per questo momento così importante e critico per i valori della persona. Un film che va nella profondità, nell'intimo, che parla della spiritualità e della relazione con gli altri; del lavoro e del tipo di valori bisogna dare al lavoro, all'economia e anche al possesso della cose.
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