Centro Astalli, migrazioni. Ruffini: la nostra identità è la fratellanza
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
La pandemia in corso, pur facendoci sentire tutti più uniti e uguali, rischia di farci dimenticare tanti problemi, tra cui la vita e le difficoltà di milioni di persone costretti a vivere lontano dalla loro terra, come profughi, come migranti o rifugiati. Papa Francesco per il Messaggio della Giornata che la Chiesa dedica a questo tema, del prossimo 27 settembre, si concentra su quanti, anche all'interno del proprio Paese, sono costretti a muoversi a causa di guerre, povertà, clima, violenza. Per tutti valgono i temi dell'accoglienza, dell'inclusione, della promozione, il tema delle politiche mirate e dei piani di sviluppo, il tema del riconoscimento dell'altro come un prossimo da amare e tutelare come noi stessi, sulla scia del dettato evangelico. Mettere dunque al centro le persone, andando oltre i pregiudizi.
Riconoscersi una sola famiglia è la nostra salvezza
Ad abbracciare tutti questi aspetti il colloquio che il Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati - da oltre trent’anni impegnato nella promozione della cultura dell’accoglienza e della solidarietà - ha organizzato oggi pomeriggio a Roma. Il titolo, citazione da Primo Levi, è "In ognuno la traccia di ognuno" perchè, come ha spiegato introducendo il colloquio padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, "su quella barca - in cui Papa Francesco ricorda che siamo tutti - sappiamo bene che non siamo tutti uguali e che i comportamenti di ciascuno condizionano la vita degli altri. Lavorare per la giustizia sociale e l’inclusione dei rifugiati è il modo con cui vogliamo bilanciare pesi e spazi sulla nostra barca comune”. I rifugiati non possono continuare a essere percepiti come tali - ha sottolineato Ripamonti - non possiamo lasciarli morire in mare e sulle frontiere o accontentarci di politiche sicuritarie. Sullo sfondo dunque della poesia di Levi "Agli amici" c'è la tragedia di oggi a cui però, come nella poesia, si deve guardare in modo positivo: occorre essere amici per sviluppare il futuro - essere fratelli, direbbe Papa Francesco - e questo fare rete è la nostra salvezza.
Lo sguardo del Centro Astalli è rivolto alla Giornata Mondiale del Rifugiato del prossimo 20 giugno che cade in piena pandemia e che celebrare oggi significa - ribadisce Ripamonti - guardare in particolare alle situazioni difficili dei campi profughi in Grecia, in Libia, nei Balcani, perchè per i migranti ci siano via legali di spostamento e ingresso in Europa e perchè gli Stati, invece che spendere soldi in armi investano in sviluppo.
Una storia come tante, di sogni ma anche di violenza
Prima di ogni dibattito, prima di numeri e teorie, c'è la storia, quella di una vita migrante, di un giovane del Mali, Moussa, che nel raccontarsi riapre le ferite di tanti: dal Mali, all'Algeria, alla Libia, all'Italia. Il suo è stato un viaggio con il sogno di salvarsi, studiare e poter tornare a casa un giorno per fare l'avvocato. Un viaggio che però nasconde un prezzo altissimo in termini di violenze, schiavitù, tratta. "La mia vita andava bene: poi un colpo di Stato e sono stato portato in un campo militare e torturato". Quindi la fuga e il viaggio con centinaia di altre persone in mare e il soccorso e infine la salvezza sulle sponde italiane, dove la vita ha potuto ricominciare sognando un ritorno a casa.
La divisione non ha senso
Dalla storia di un migrante alla realtà di oggi: quella storia dovrebbe - ha affermato nel suo saluto di apertura Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione - far sempre più prevalere la parola "benevenuto" sulla parola "diffidenza". "Eppure oggi - ha osservato - dare il benvenuto e dare fiducia è diventato raro e difficile perchè la società crede che la diffidenza sia la chiave", non ci si rende invece conto che "accogliere dovrebbe essere la regola". Nella sua riflessione Ruffini ha messo in luce la drammatica divisione del mondo diviso in due, il "noi" e gli "altri", e l'errore odierno di "sognare un mondo solo per noi", fatto di paura del diverso, di autodifesa, di "occhi chiusi", che a lungo andare "fanno smarrire anche la nostra identità". La creazione di capri espiatori - ha detto Ruffini - ci preclude di vedere la soluzione dei problemi che sono assolutamente "interconnessi". Scegliamo, è stata la sua conclusione, sulla scorta degli esempi biblici e del dettato evangelico, una identità che "non tradisca la nostra storia, la nostra fratellanza" e "la bellezza di trovare rifugio gli uni negli altri".
Rivedere il regolamento di Dublino
Di tipo politico invece il tono del saluto del ministro dell'Interno italiano Luciana Lamorgese. La Giornata mondiale del rifugiato deve sfidarci, ha detto, sul tema delle tutele e dei diritti. Il cardine dell'Ue dovrebbe essere la solidarietà, la responsabilità, la tutela della vita. L'auspicio del ministro è che si rimetta mano al regolamento di Dublino sulla responsabilità solo dello Stato di primo ingresso. Le politiche e le strategie per gestire i fenomeni migratori devono essere prioritarie per l'Unione Europea, affrontate con impegno e con la condivisione delle responsabilità. "La strada per questa sfida - ha detto il ministro dell'Interno - è la sinergia, è l'approccio partecipato" e, sul tema dell'accoglienza, ha ricordato quanto importanti siano, oltre ai servizi, gli interventi diretti di inclusione sociale che approdino alla conquista di autonomia dei singoli soggetti. "La sfida è comune, dunque, servono ora azioni concrete da parte di tutti gli attori coinvolti".
La sfida della coabitazione
Nell'affrontare la possibilità del cambiamento di prospettiva sui rifugiati indotto dalla pandemia, la filosofa Donatella Di Cesare ha invece posto in luce due spettri che, a suo parere, aleggiano oggi, e che la crisi sanitaria rischia di accentuare. Lo "spettro del sangue e quello del suolo". Occorre in altre parole mettere in discussione, perchè pericolosa, l'idea di una "democrazia etnocentrica". "Oggi la grande sfida - ha sostenuto - è la coabitazione: il luogo in cui viviamo non è un possesso o una proprietà. Questo discorso si fa in tanti Paesi: i cittadini non sono comproprietari del territorio nazionale e non hanno diritto sovrano di decidere con chi coabitare e chi escludere o discriminare". "Abbiamo bisogno - ha voluto sottolineare Donatella Di Cesare - di pensare a una nuova comunità che sia degna di questo nome, cioè aperta e ospitale, dove accettare quindi la sfida della coabitazione".
La pandemia può essere una opportunità
Nel dibattito è emersa in particolare la drammatica situazione della Libia e le responsabilità che nasconde la realtà odierna del Paese nordafricano, cui nel suo intervento si è riferito, come a una "ferita aperta", anche il cardinale Matteo Maria Zuppi. Nelle sue parole l'esigenza di "ripensare a come essere comunità", partendo dal "conoscersi" e dal "riconoscersi". Le paure ci sono e vanno affrontate, ha detto il porporato, ma serve pure capire - e in questo il merito va anche al lavoro del Centro Astalli - cosa accade intorno a noi. Importanti sono le politiche e i regolamenti, ha ribadito, anche questo significa fare accoglienza. "Per trasformare la pandemia in opportunità occorre - ha concluso - rovesciare la diffidenza in responsabilità, rendendoci conto che per ricostruirci migliori di prima, abbiamo bisogno gli uni degli altri".
Sul colloquio di oggi e sulle tematiche affrontate, sentiamo la testimonianza di padre Camillo Ripamonti al microfono di Stefano Leszczynski:
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