Il vescovo di Cassano: “La Calabria non affronta la piaga della ludopatia”
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Il vizio del gioco, della ricerca della grande vincita anche in un biglietto da grattare, può portare anche a tempestare di telefonate il tabaccaio chiuso per l’emergenza Covid-19 e insistere per potere acquistare quel “gratta e vinci” che potrebbe mandarti in vacanza per tutta la vita. E’ successo in Calabria, durante il lockdown, con appostamenti sotto casa dei malcapitati tabaccai chiusi per decreto del presidente del Consiglio dei Ministri. E’ l’esempio, che con un sorriso amaro, ci fa il vescovo di Cassano all’Jonio, monsignor Francesco Savino, per descrivere a che livello sia la sete di gioco dei calabresi, che nel 2018, secondi i dati del Libro blu dell’Agenzia delle Dogane, hanno speso oltre 462 milioni di euro, 400 euro in media a testa.
Ludopatia, un emergenza sociale ed educativa
Così la ludopatia diventa “un’emergenza sociale ed educativa”, denuncia il vescovo di origini pugliesi, a Cassano dal 31 maggio 2015, che per anni è stato responsabile della Caritas di Bitonto. Un’ emergenza che non fa distinzioni di età o sesso, per la quale serve urgentemente un’azione legislativa regionale, per salvaguardare “le già molteplici storie piegate dal nefasto gioco d’azzardo”. E servono risorse per piani educativi, soprattutto nelle scuole, “che non si perdano in interventi a spot”, per “identificare comportamenti a rischio e condizioni di vulnerabilità”.
Il dramma di chi si illude di risolvere i problemi col gioco
Perché, e questo è il dramma nel dramma, spiega monsignor Savino a Vatican News, le più colpite dal vizio sono le persone povere, che cercano nel gioco il riscatto di una vita, finendo per perdere anche il poco che hanno.
R. – C’è una vera e propria emergenza sociale ed educativa. La ludopatia è una dipendenza che in Calabria e nella mia diocesi ormai coinvolge padri di famiglia, anziani e ragazzi poco più che adolescenti. Per questo ho fatto un grande appello anche alla governance regionale in materia di dipendenze perché ormai parliamo di una vera e propria patologia di disturbo di comportamento, quando parliamo di ludopatia. E’ urgente individuare nuovi strumenti di lettura e buone pratiche per efficaci interventi di programmazione. E poi bisogna lavorare molto sulla prevenzione, che è la grande Cenerentola delle politiche sanitarie e socio-sanitarie. Bisogna individuare due livelli: il livello delle risorse di cui tutto il mondo della lotta alle dipendenze ha bisogno, e poi la definizione di azioni di contrasto ben codificate e coerenti. Per questo bisogna rimettere al centro la comunità educativa scolastica e soprattutto intervenire a livello di accompagnamento educativo, partendo soprattutto dai preadolescenti e dagli adolescenti per arrivare ai giovani. Poi c'è una dinamica su cui dobbiamo seriamente riflettere: la mancanza di lavoro, l'impoverimento, spesso scatenano la dinamica della possibilità di risolvere i problemi economici e finanziari facendo delle giocate. O alle slot-machines, o investendo nei “gratta e vinci”, nel lotto o nei giochi a base sportiva.
Il Libro blu dell'Agenzia delle Dogane, che riporta i dati drammatici da lei citati (400 euro di spesa annua, in media, per ogni calabrese) è pubblico. Come mai le istituzioni non prendono sul serio questa piaga, sia dal punto di vista della prevenzione, sia della repressione delle attività di gioco illegale?
R. – Io penso che questa omissione di intervento delle istituzioni, nonostante ci sia il Libro blu dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, mi permetto di dire che grida vendetta al cospetto del buon senso e della ragione. Questo problema attraversa le famiglie di ogni ceto sociale, da quelle più basse a quelle più alte. Purtroppo il fenomeno si rileva di più nelle fasce più povere per quella dinamica di cui parlavo prima. Psicologicamente si ritiene che una bella vincita possa far cambiare la condizione economico-finanziaria e il fatto che le istituzioni non intervengano, a mio avviso, rientra in quei peccati strutturali di omissione delle istituzioni.
Il dramma comunque è anche nazionale, perché i dati a livello di tutta l’Italia sono preoccupanti…
R. – Il problema certo è a livello nazionale. Il dato che posseggo io, nel Libro blu del 2018, dice che il volume di denaro giocato dagli italiani nel 2018, che registra un aumento del 5%, si attesta intorno al valore di 106,8 miliardi di euro. Può anche decrescere, sul territorio nazionale, il numero degli apparecchi di gioco però cresce il valore della singola giocata e questo deve farci capire la gravità del disturbo di comportamento che si manifesta attraverso la ludopatia. Se c'è una cosa che non si è fermata davanti al lockdown è stato, per esempio, il commercio di stupefacenti. Però chi vive altri tipi di dipendenza come la ludopatia ha dovuto fare mobbing nei confronti soprattutto dei venditori di “gratta e vinci”. Attraverso telefonate, e accerchiamento quasi psicologico.
Chi ci guadagna da questo vizio diffuso? C'è dietro la criminalità organizzata?
R. – Decisamente le organizzazioni malavitose, decisamente le mafie, che sono sparse in tutte le regioni italiane.
Cosa l'ha spinta a lanciare un appello così forte contro la ludopatia in Calabria e soprattutto nella sua diocesi?
R. – Un vescovo non può non stare dentro il suo popolo, accanto, avanti, dietro per usare tutti i suggerimenti che Papa Francesco ha dato a noi vescovi. E quindi per amore del mio popolo non posso tacere, perché il silenzio sarebbe complicità, il silenzio sarebbe organico a chi sta dietro a tutto questo fenomeno della ludopatia.
Tra dieci giorni Cassano ricorderà la visita di Papa Francesco del 21 giugno 2014. A distanza di 6 anni, cosa resta di quella storica giornata?
R. – Una giornata indubbiamente storica, io sono arrivato come vescovo dopo. Ogni anno tentiamo di fare memoria delle parole forti di Papa Francesco tra cui la famosissima scomunica (dei mafiosi, n.d.r) nella Piana di Sibari. Però la cosa che più mi addolora, come vescovo, è vedere, di fatto, nonostante l'impegno, lo dico con molta umiltà, della diocesi, l'impegno delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti della diocesi, che però non c'è una vera e propria incidenza di cambiamento reale sul tessuto connettivo del nostro territorio.
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