Covid-19: in un libro la lotta per la vita dei medici dell'ospedale di Bergamo
Luca Collodi - Città del Vaticano
"Forse lo squallore più forte della morte per tanti nostri anziani è morire soli". Lo afferma Luca Lorini, direttore del Dipartimento di emergenza dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. "La solitudine è sempre una povertà in più, scrive Andrea Riccardi della Comunità di Sant'Egidio, nella prefazione dell'instant book "Luca" (Messaggero Padova) scritto da Giulia Cerqueti e Luigi Ginami e promosso dalla Fondazione Santina Zucchinelli. Un volume dedicato al dottor Luca Lorini e al ruolo del personale medico sanitario. Tra questi, l'anestesista Giovanni Di Dedda che per settimane ha fronteggiato in prima linea il coronavirus nella struttura ospedaliera bergamasca. "Tanta sofferenza - testimonia nel libro don Angelo Riva, che ha perso il padre e il vice parroco - deve far maturare la nostra società. Sofferenza e virus che hanno costretto anche la Chiesa a fermarsi". La Fondazione Santina ha donato all’Ospedale Papa Giovanni XXIII due ventilatori polmonari per la terapia intensiva. La Fondazione, di cui don Luigi Ginami è fondatore e presidente in memoria della mamma, compie opere di solidarietà in Perù, Brasile, Messico, Kenya, Iraq, Striscia di Gaza, Vietnam. Nell’ospedale Papa Giovanni XXIII è sorto un ambulatorio “Cuore-Chagas” sostenuto, in ricordo proprio di Santina Zucchinelli, dalla stessa Fondazione.
Costruire il futuro
“Non abbiamo scelto di avere il Covid", spiega il professor Luca Lorini a Radio Vaticana Italia. E’ diventato un dittatore, ci ha obbligato a fare delle cose, ci ha fatto perdere una generazione importante. Ora il sacrificio di questi anziani deve lasciarci in eredità la capacità di costruire il futuro. Così come loro sono usciti dalla guerra e hanno costruito molto bene questo Paese, noi dobbiamo ereditare questo sacrificio perché ci aiuti a costruire una società e un futuro migliore. Dimenticarsi della loro scomparsa sarebbe doppiamente criminale, ancora di più di quello che ha fatto il Covid”.
Come ricostruire il futuro senza la memoria dei nostri anziani?
R.- È la prima volta che io vedo tutto il mondo, tutti gli uomini uniti a lottare contro un nemico. Di solito si fanno le guerre tra popoli, tra religioni, in questo caso il mondo è la prima volta che si unisce contro un nemico invisibile. C’è stata poi una solidarietà tra le varie popolazioni, addirittura tra le diverse fasce all'interno delle singole Nazioni. La solidarietà e l'unità sono due elementi sui quali possiamo costruire un mondo migliore.
La pandemia ci ha fatto vedere la solitudine della morte…
R.- Questo è l’elemento peggiore di questa pandemia. La morte esiste nella medicina, la possibilità che noi non riusciamo a curare un paziente o non siamo in grado di risolvere il suo problema esiste da quando esiste la medicina. Per fortuna dico io, perché non siamo degli dei. Però la morte, di solito, ha delle modalità: è accompagnata dai familiari. Stare con loro ha una dignità diversa da quella che, invece, noi abbiamo dovuto affrontare in questa pandemia. Poi devo dire che i pazienti proprio da soli non erano, perché sono morti tra le nostre braccia, con gli infermieri, i medici che gli tenevano la mano, con i dottori con l'Ipad che cercavano di mostrare le immagini dei familiari a casa. Ci siamo trasformati in tante figure: abbiamo fatto i medici, i familiari, i sacerdoti, perché abbiamo dato anche l’estrema unzione in certi casi. Abbiamo svolto tanti compiti. Certamente è terribile pensare che un figlio porti il suo papà ai primi di marzo e non lo veda mai più. E’ qualcosa che è devastante. E lo dico da medico ma anche da figlio, perché ho avuto la sfortuna di perdere la mamma a metà del Covid-19, per un'altra malattia, ma comunque l'ho persa in quel periodo. Ed è morta come gli altri pazienti, da sola. Una realtà molto difficile da digerire sul piano affettivo ed umano.
Fondazione Santina ha pubblicato un instat book, “Luca”, dedicato proprio alla sua esperienza…
R.- Il libro racconta delle storie diverse tutte incentrate sull’esperienza Covid. Da un confronto con don Gigi che conoscono da tempo, nel pieno della pandemia, è nata questa esperienza con l'idea, riuscita, di raccogliere fondi per donare due respiratori. E, quindi, attaccare molti pazienti alla macchina e salvare tante persone. È stata un'esperienza unica, bellissima. Penso, che oltre ad aver partecipato a una parte di questo libro, fa molto bene leggerlo per riflettere insieme ed avere speranza.
È un diario sulla tragedia di Bergamo?
R.- È esattamente così. E’ un diario della tragedia che vede Bergamo al centro ma che potrebbe essere trasferito in qualsiasi parte del mondo e che speriamo di non vedere mai più. Ma ci potrebbe insegnare molto anche per il futuro. La situazione, attualmente a Bergamo, è come in tutta italia. Il Covid ha smesso di fare male. Si fanno ancora dei tamponi ma non c'è più quel numero elevato di malati e questo grazie al fatto che gli italiani hanno capito che il distanziamento è l'unica terapia efficace fino all'arrivo del vaccino. Bisogna continuare a comportarsi bene. Ma, soprattutto, gli ospedali sono tornati a fare il loro mestiere che facevano prima del Covid.
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