Don Antonio: Luigi, segno di una Chiesa dalle porte aperte
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
In un biglietto di poche righe c’è la sua storia. Quella di un bimbo accudito per 9 giorni, allattato al seno, pulito e lasciato lì in una culla termica sul sagrato della chiesa di San Giovanni Battista a Bari, dove Luigi inizia un’altra vita. "Mamma e papà ti ameranno per sempre": c’è scritto così su quel pezzo di carta, parole che saranno forse la cura più dolce per quando si sentirà abbandonato o desideroso di risposte.
La culla della vita
Non si può forse neanche immaginare cosa sia passato nella mente di una mamma, quale fatica a lasciarlo andare pur sapendo di affidarlo alle mani giuste. Quale ferita nel suo cuore e in quello di un padre che forse si sarà sentito sconfitto per non aver potuto garantire alla sua famiglia un futuro. Le mani giuste che hanno preso in braccio Luigi sono quelle di don Antonio Ruccia, avvisato dal suono del cellulare collegato alla culla termica. Ha aspettato 5 anni quel suono, convinto che quella culla potesse essere la risposta giusta a chi sceglie di non interrompere una gravidanza. Don Antonio chiama il 118 che porta il piccolo nel reparto di Neonatologia del Policlinico di Bari:
R. - Io credo che sia un segno di una speranza eccezionale, di una proposta eccezionale e di una provocazione eccezionale. Nell'epoca della crisi post Covid sembra che tutto il mondo sia destinato ad una catastrofe, l'esperienza di aver lasciato un bimbo, che non è in tuttoe per tutto un abbandono, diventa una nuova proposta di vita per il bimbo e deve spingerci anche a diventare una grande comunità piena di solidarietà in grado di affacciarsi sempre più anche alla vita del futuro. E’ poi una proposta perché nel mondo ciascuno di noi non vive da solo ma insieme ad altri e quindi la solidarietà e la collaborazione è alla base di tutto. Infine c'è sempre una speranza, ed è possibile un futuro per tutti, compreso anche il piccolo che è nato.
Quanto accaduto getta una luce sulla condizione di tante famiglie che arrivano ad un gesto così estremo. Pensiamo alla madre che ha portato questo bambino per 9 mesi e poi è stata costretta ad abbandonarlo…
R. - Dopo averlo allattato al seno, perché nel biglietto che ho trovato nella culla termica, oltre ad indicare il nome, la data di nascita, c’era scritto che è stato allattato al seno. E questo fa rabbrividire, però ci fa comprendere come il bambino sia veramente un segno di speranza per ciascuno di noi.
Come vede questa famiglia? Un nucleo familiare che arriva a fare un gesto così forte è anche una sconfitta per una società che non è stato in grado di accudirlo…
R. – Anche…è una società anonima dove parlare di vita diventa assurdo, dove pensare alla vita diventa in alcuni momenti quasi anacronistico. Invece riengo che la presenza e il gesto indichino che c'è un domani e che questo domani non va assolutamente sprecato. Io la voglio immaginare come una famiglia che ha ancora il cuore trafitto in questo momento, però, nel loro gesto non c’è abbandono ma una proposta. Io voglio lanciare veramente l'appello per dire che se Luigi deve tornare a casa per me non ci sono problemi, né per nessun altro; se Luigi deve vivere in un'altra famiglia ben venga un'altra famiglia. Devo dirti che sono emozionato - questo te lo dico con tutto il cuore - e che c'è questo senso di paternità che avevo vissuto sempre a livello spirituale: sono sacerdote da 33 anni, non sono certamente nato ieri come sacerdote. Ma questo senso di paternità che non avevo mai vissuto e che ieri è nato, mi dà ulteriormente l'opportunità di comprendere che non si finisce mai di meravigliarsi dell'amore di Dio.
Perché lei, 5 anni fa, ha scelto di creare questa possibilità per le famiglie che non possono accogliere un bambino?
R. – Quando sono arrivato in questa nuova comunità dopo essere stato direttore della Caritas diocesana, sono arrivato riflettendo sul nome della parrocchia dedicata a san Giovanni, e Giovanni vuol dire fiore di Dio. Allora mi son detto che, essendo un quartiere diventato troppo vecchio, troppo anziano, volevo dargli un senso di speranza e ho pensato alla vita. Poi in quei giorni c'era stato l'abbandono sulla spiaggia di un bambino che poi venne trovato morto. Allora mi volevo impegnare perché questa culla termica potesse dare ulteriormente l'opportunità a chi non altrimenti non l'avrebbe avuta più. La comunità ha condiviso al 70% questa esperienza, c'è stato un 30% che mi ha detto di sostenere altre situazioni, ma io ci ho sempre creduto. Forse aspettavo Luigi, già da allora. E poi continuo a crederci perché chissà che cosa vorrà dire anche per questa città, per questo nostro Sud, per questa nostra società, che adesso vive il dramma ancora del Covid-19, questo virus che invece ha generato Luigi alla vita e ha dato alla luce Luigi in questa situazione.
Quale futuro spera per Luigi?
R. – Spero per Luigi quello che spero per tutti, perché voglio che Luigi diventi un segno per tutti. Perché la Chiesa è una porta, è una casa aperta per tutti, dove tutti possono vivere insieme al di là delle difficoltà. Allora io spero per Luigi il meglio per lui, che possa incontrare la gioia della vita e spero per questa famiglia che possa ricominciare. Le porte della Chiesa non possono essere chiuse, anzi totalmente il contrario, perché altrimenti non sarebbe chiesa. La Chiesa è una grande casa che non si blinda ma che si si lascia guardare; è la Chiesa dell'attenzione e dell'amore quella che darà futuro, e Luigi è segno di tutto questo.
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