Covid in India, i salesiani: lottiamo per restituire dignità e diritti
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Col suo milione di contagi, che aumenta ogni giorno di circa 40mila casi, e con oltre 27mila morti, l'India da mesi è al terzo posto della triste classifica delle conseguenze della pandemia, dietro a Stati Uniti e Brasile. Un dramma che si consuma per lo più nel silenzio, tranne che per la Chiesa, che non smette di dare il suo aiuto unita alle autorià governative e alle diverse Ong che operano sul territorio. Una pandemia che all'inizio creava paura e ora si è trasformata in accettazione e rassegnazione: i lavoratori devono continuare a guadagnare denaro per sopravvivrere altrimenti moriranno di fame e non di Covid, i migranti devono continuare ad essere tutelati e i milioni di poveri necessitano di cure, cibo, servizi e protezione, in una parola di tutto.
Il quadro lo ricompone ai nostri microfoni il salesiano padre Vijaya Bhaskar Reddy Thathireddy, presidente della Conferenza dei Religiosi dell’India (CRI) della regione Telangana, non mancando però di sottolineare anche l'aiuto enorme che, specie per i migranti, la Chiesa dell'India sta mettendo in atto da mesi, insieme alla Caritas, a diverse diocesi e alle Ong, e in collaborazione con il governo. In particolare i 3000 salesiani, nelle 11 ispettorie tutte attive in India, sono riusciti a raggiungere 2,5 milioni di poveri e giovani, portando loro dai beni di prima necessità, ai kit igienici:
R. - Il mondo è molto preoccupato per l'India. Abbiamo quasi un milione e mezzo di casi di Covid e la situazione è grave. Il numero di casi è in forte aumento, ogni giorno abbiamo oltre 40 mila nuovi contagi e oltre 600 morti, e questi sono solo i casi segnalati. I numeri potrebbero essere molto più alti, almeno il doppio di quanto riportato, se non di più. L'India sta facendo del suo meglio per affrontare la crisi: è una grande sfida a causa della sovrappopolazione e della povertà. Le persone più colpite sono i poveri, i migranti, i lavoratori dipendenti e i venditori di strada, che non hanno mezzi per sostenere le loro famiglie. All'inizio c'era la paura del virus, ma ora, con l'aumento del numero di casi, quella paura si è trasformata in accettazione.
Quali ad oggi i bisogni maggiori?
R. - C'è un grande bisogno di cibo e anche la necessità di ospedali e luoghi per la quarantena. Se uno è contaminato in una famiglia, che vive in una stanza di 5 metri quadrati, come è possibile mantenere la distanza e l'isolamento? Tutta la famiglia quindi prenderà il virus. Eppure, nonostante il pericolo di contagio del virus, le persone vogliono lavorare: senza lavoro un numero maggiore di persone morirà più di fame che di coronavirus.
Sappiamo che con le alluvioni pesantissime di questi giorni, è tutto più difficile e anche più difficile portare aiuto. Ecco, come Chiesa che cosa riuscite a fare, in particolare, voi Salesiani?
R. - In alcuni Stati c'è troppa pioggia e questo ha causato la rapida diffusione del virus. Abbiamo aiutato tanta gente, soprattutto i migranti. Come Chiesa abbiamo collaborato con il governo per mettere i nostri ospedali, le istituzioni, le scuole e i collegi al servizio del governo per effettuare i tamponi, per distribure le cure e per far trascorrere le quarantene. I soli Salesiani hanno raggiunto più di 2.5 milioni di poveri e di giovani, distribuendo tanto cibo, disinfettanti e kit igienici.
Più di 100 milioni di migranti in India: con il lockdown e il blocco totale, che cosa è successo delle loro vite, che cosa avete potuto fare per loro?
R. - Al momento del lockdown a marzo, poiché tutti i trasporti erano bloccati, c'era un grande esodo di migliaia di migranti, che si mettevano in cammino verso le loro destinazioni. Alcuni hanno camminato fino a 1000 km sotto il caldo estremo e in condizioni difficili. I più sofferenti erano i bambini e le donne e le famiglie con bimbi piccoli. Ci sono così tante storie di persone che hanno camminato per centinaia di chilometri con il desiderio di raggiungere i loro villaggi nativi. Alcuni dicevano: "Vogliamo morire nei nostri villaggi in compagnia dei nostri cari". Abbiamo salvato un gruppo di 42 giovani migranti, che camminavano lungo i binari della ferrovia verso lo Stato nord-orientale dell'Assam e lavoravano nella cava. In generale la Chiesa, i religiosi e i Salesiani sono stati attivi nell'aiutare i migranti a tornare nei loro villaggi di origine in diversi Stati dell'India. Se parliamo della situazione attuale, la maggior parte dei migranti è tornata a casa, ma lì non hanno lavoro, né opportunità, non hanno soldi per comprare cibo. Nella città la maggior parte del lavoro si è fermato: da un lato i migranti vogliono tornare e dall'altro i loro datori di lavoro li vogliono disperatamente. Noi con il governo vorremmo riuscire a garantire che vi sia una migrazione sicura e migliori strutture, migliori salari per i migranti e migliori standard di vita; e vorremmo garantire che i figli dei migranti ricevano istruzione ed educazione adeguata.
Anche nelle vostre comunità, come nel resto del mondo, immaginiamo sia stato pagato un prezzo alto in termini di vite contagiate. Qual è la situazione sotto questo profilo?
R. - È bello vedere tanti molti preti e religiosi che rischiano la vita nella aiutare i poveri e le persone più fragili. In questi giorni abbiamo molti sacerdoti, religiosi e suore, che hanno contratto il virus e abbiamo già la notizia della morte di alcuni di loro che sono stati molto attivi nell'aiutare i poveri.
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