Coprifuoco a Gaza. Il parroco: con la pandemia comunità cristiana più unita e forte
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Ancora rappresaglie nei cieli di Gaza per il fuoco incrociato tra isareliani e le postazioni di Hamas: un conflitto che avviene in modo quasi continuativo e "ordinario", commenta padre Gabriel Romanelli. Il parroco della Chiesa della Sacra Famiglia, a Gaza da più di un anno, conosce tutta l'area e racconta come la popolazione sta vivendo in mesi particolarmente difficili anche se ricchi di sorprese inaspettate a livello umano .
Politica ed economia
La cronaca parla di un confronto militare e di tensioni economiche che hanno portato nell'enclave palestinese l'inviato del Qatar per incontrare la leadership locale di Hamas, il movimento che controlla il territorio, e portare sostegno ad una popolazione di due milioni di persone, la metà delle quali vive al di sotto della soglia di povertà. Questo aiuto fa parte dell'accordo di tregua tra Israele e Hamas, facilitato l'anno scorso dall'ONU, dall'Egitto e dal Qatar. L'accordo prevede anche una serie di misure economiche per ridurre la povertà e stabilizzare il territorio palestinese. Ma le tensioni non si placano e le merci spesso non passano, lo spostamento della popolazione è bloccata e l'unica centrale elettrica, chiusa la settimana scorsa, potrebbe avere "effetti devastanti", secondo le Nazioni Unite.
Questa è la realtà con cui la popolazione della Striscia deve confrontarsi ogni giorno, questa è l'emergenza che incontrano ogni giorno i membri della comunità cattolica, un centinaio, unita intorno a padre Gabriel Romanelli. Oggi alla povertà, alla disoccupazione, all'inattività legata al lockdown, si aggiunge il coronavirus che finora era restato fuori dai Territori e che oggi invece fa paura. Un morto finora e almeno 9 nuovi casi, ma i numeri crescono di giorno in giorno. Come si vive e cosa si spera, ce lo racconta padre Gabriel:
R. - L’autorità ha confermato i primi quattro casi nella zona sud della città di Gaza e quindi ha decretato il coprifuoco di 48 ore di coprifuoco. Veramente è la prima volta in questi sei mesi che col coprifuoco nessuno proprio si muove né esce di casa. Da una parte le persone sono abituate, perché in una zona di guerra il coprifuoco o l’obbligo a rimanere in casa, è quasi una cosa ordinaria, dall’altra sì c’è un po' di paura, perché si sente quello che la pandemia ha causato nel resto della Terra Santa, in Israele, i morti e quindi tutti aspettano ora che il governo, al termine delle 48 ore, si pronunci dicendo di tenere tutte le precauzioni possibili ma di ricominciare a uscire.
Quale è la realtà dei campi profughi oggi a Gaza?
R- I campi sono in realtà i quartieri più poveri di Gaza, un tempo erano campi con tende ora ci sono capanne e lì è difficile rispettare e vivere col coprifuoco perché a volte in una stessa stanza vivono 10,12,14 membri di una stessa famiglia. Per questo non possiamo sapere come andrà a finire questa situazione. Le autorità hanno suddiviso il territorio della Striscia per impedire il passaggio da una zona all’altra e quindi per frenare le possibilità di una diffusione interna dei contagi.
Una chiusura nella chiusura?
R.- Questa è in effetti una divisione ulteriore un’altra situazione di chiusura. Poi dopo le ultime tensioni tra israeliani e palestinesi oltre l’embargo che viviamo da anni, pure la vita quotidiana è diventata più dura. Abbiamo dalle quattro alle sei ore di elettricità, quando va tutto bene, e nessuno può entrare o uscire abitualmente se non i casi più gravi per raggiungere gli ospedali in Israele.
Dopo l’ultimo avvicinamento politico tra Israele e Emirati Arabi con l’esclusione dei palestinesi, avete subito ripercussioni? Avete notato cambiamenti negli equilibri dell'area?
R.- No, la maggior parte della popolazione è come se non prendesse nota di queste cose ,perché la maggior parte vuole vivere in pace…anche perché se si prende la storia degli ultimi decenni non è che siano rimasti segni di speranza. Purtroppo, umanamente parlando, tante persone non hanno più speranza. Poi c’è chi non è d’accordo, chi si lamenta, chi parla di politica che è il pane quotidiano qui. Ma la maggior parte non si interessa, non cambia la propria vita perché tutti sono troppo preoccupati per la salute, per i soldi per pagare gli studi dei bambini, per il lavoro e per il pane…la cosa più importante è la sopravvivenza.
Come avete vissuto in questo tempo come comunità cristiana?
R. - Diciamo che abbiamo approfittato di questo periodo di chiusura per fare tante attività che pubblicizziamo anche sulla nostra pagina Facebook. Sapevamo che non avere casi, per tanti mesi è stato quasi un miracolo, e quindi prevedendo che forse nel futuro dovremmo tornare a chiudere tutto, abbiamo approfittato. Non dimentichiamo che siamo in estate e qua il caldo si fa sentire e quindi non abbiamo fatto un campo scuola, ma abbiamo fatto, con tutti i permessi, attività all'aria aperta e poi celebrazioni, corsi, gite in spiaggia. Veramente se ci penso mi è sembrato un periodo quasi surreale, eppure noi dobbiamo pure assistere spiritualmente la comunità cristiana principalmente e poi tutte tutti gli abitanti che riusciamo a raggiungere. La Chiesa in questo senso aiuta migliaia e migliaia di persone, concittadini siano cristiani o musulmani,
Quindi possiamo dire che avete vissuto un lockdown riconvertendo le vostre attività ma restando vicini alla gente?
R. – Sì.. il rapporto di questa parrocchia con la comunità è sempre stato molto speciale, la parrocchia è sempre stata molto vicina alle persone, però in questo tempo il rapporto si è in forzato. Non solo potendo andare nelle case, visitando le famiglie, portando i sacramenti, la confessione e la comunione, ma anche facendo attività, gare per i giovani, per i bambini e poi, dalla fine del mese di maggio, del mese Maria, con le attività in parrocchia…e sono tutte attività a cui partecipano in tanto incluso i greco ortodossi. Quindi la nostra attività ecumenica è cosa di ogni giorno.
Ultimo aggiornamento 27.08.2020 ore 09.16
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