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I vescovi del Sud Sudan: ricostruire un Paese nuovo e pacifico

Ricostruire un Paese nuovo, caratterizzato dalla pace e dallo sviluppo: è l'accorato l’appello che arriva da monsignor Paride Taban, vescovo emerito di Torit, in Sud Sudan, in occasione della “Giornata nazionale dei martiri”, celebrata il 30 luglio scorso

Isabella Piro - Città del Vaticano

Il vescovo sud sudanese, monsignor Paride Taban,  in occasione della “Giornata nazionale dei martiri”, celebrata il 30 luglio, ha diffuso un messaggio intitolato “Il sangue dei nostri martiri è il seme della pace”. “Superiamo le diffidenze e promuoviamo una coesistenza pacifica per fare del nostro Paese un Regno di Dio sulla terra”, ha detto il presule, che ha poi invitato i fedeli a prendere esempio da San Paolo, l’Apostolo che “focalizzò la sua attenzione su ciò che conta, ovvero su Cristo”, lasciando andare le cose non importanti. Questo in particolare – ha concluso monsignor Taban, citato dal sito web dell’Amecea, l'Associazione dei membri delle conferenze episcopali dell'Africa orientale, è l’insegnamento che dovrebbero seguire i leader del Paese, lottando soprattutto per il bene comune.

Un giovane Paese alla ricerca di stabilità

Divenuto indipendente dal Sudan il 9 luglio 2011, a nove anni di distanza il Sud Sudan non ha ancora trovato la sua stabilità: basti citare il recente dossier diffuso da Caritas Italiana, intitolato "Pace a singhiozzo. Un popolo stremato dalla guerra, in un continente affamato dalla pandemia". Nel documento si ricorda che “la guerra civile ha causato centinaia di migliaia di morti; la popolazione è stremata e in fuga con milioni di sfollati interni e di rifugiati, che gravano su Paesi vicini altrettanto fragili; il territorio è privo di infrastrutture importanti; il processo di pace vede firme di accordi e cessate il fuoco mai rispettati, più volte rinviati e sfociati sempre in nuovi scontri di cui pagano le conseguenze tanti poveri”. Fortunatamente, la Chiesa locale, così come Papa Francesco, non hanno mai mancato di far sentire la loro vicinanza alla popolazione, offrendo aiuto, sia materiale che spirituale, soprattutto in questo tempo di pandemia da coronavirus, e lanciando appelli “al perdono e al dialogo, per il superamento delle divisioni etniche e degli interessi di pochi e in nome dell’unità nazionale”.

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02 agosto 2020, 11:29