#ZimbabweanLivesMatter: campagna on line delle Chiese cristiane
Isabella Piro - Città del Vaticano
#ZimbabweanLivesMatter, ovvero “Le vite degli zimbabwiani contano”: si chiama così la campagna on line lanciata dalle Chiese cristiane dello Zimbabwe per porre fine alle violenze nel Paese africano. A luglio, infatti, il governo ha represso brutalmente alcune manifestazioni pacifiste, arrestando diversi membri dell’opposizione, alcuni giornalisti e numerosi scrittori. Una situazione preoccupante che ha portato alcuni leader cristiani - evangelici, apostolici ed esponenti del Consiglio delle Chiese, radunati nelle Zhocd (Zimbabwe Heads of Christian Denominations) – a lanciare un appello per il dialogo e la riconciliazione nazionale. In una dichiarazione diffusa in questi giorni, le Zhocd ringraziano per “la solidarietà globale” con cui la campagna on line è stata accolta ed auspicano “un confronto sincero ed inclusivo” tra tutte le parti in causa”, così da “costruire lo Zimbabwe che vogliamo”.
L'appello della Zhocd
Nel dettaglio, le denominazioni cristiane denunciano “l’arresto e la persecuzione contro la stampa e gli attivisti civili che hanno portato alla luce la profonda corruzione” che si vive in Zimbabwe. Alcuni di loro sono stati anche “torturati e trattati in modo disumano, mentre altri sono costretti a nascondersi. E questo è motivo di grave preoccupazione”, così come lo è “la presenza violenta e il coinvolgimento dell’esercito” nelle repressioni delle manifestazioni. Il tutto, mentre lo Zimbabwe deve affrontare grandi sfide, tra cui “la carenza di cibo”, sempre più grave dato che il prossimo raccolto si avrà solo a marzo del 2021.
Corruzione e pandemia
Forte, poi, il richiamo delle Zhocd al Ministero della Salute, sospettato di corruzione proprio in un momento in cui il Paese deve fronteggiare la pandemia da Covid-19. "Gli alti livelli di corruzione che hanno portato all'espulsione del Ministro della Salute - prosegue il documento - hanno fatto sì che le risorse destinate alla lotta contro il coronavirus non siano state convogliate là dove necessarie". Inoltre, il lockdown obbligatorio ha portato “al collasso dei servizi sociali, con un aggravio ulteriore sui più poveri e i più vulnerabili”. Nel Paese, infatti, la povertà sta dilagando: “Circa il 90 per cento della popolazione ha un lavoro informale” ed ha quindi perso ogni forma di sostentamento durante la quarantena da coronavirus.
Serve un dialogo nazionale e globale
Ciò dimostra, scrivono le denominazioni cristiane, che lo Zimbabwe è privo di “una adeguata preparazione umanitaria” ed incapace di “chiudere con le ferite del passato”, il che comporta “il fallimento dello Stato di diritto” e “un’economia poco inclusiva, controllata dai cartelli e infestata dalla corruzione”. Guardando al futuro, dunque, i leader cristiani chiedono “un dialogo nazionale e globale, di ampio respiro, tra tutti i settori della società”, così da raggiungere “un accordo nazionale”, radicato “nella Costituzione e proiettato verso una riconciliazione basata sulla verità e una giustizia fondata sull’accesso equo alle risorse del Paese”.
Un difficile passato
Lo Zimbabwe non sembra, dunque, ancora riprendersi dai trent’anni di potere dell’ex presidente Robert Mugabe, estromesso dai militari solo nel 2017 ed ora defunto. Decenni di mala gestione hanno fatto aumentare il tasso di povertà dal 29 per cento del 2018 al 34 per cento del 2019 e hanno portato intere famiglie alla fame. Inoltre, le erogazioni ridotte di energia elettrica e di acqua, dovute al razionamento, aggravano le condizioni di vita della popolazione, mentre il Covid-19 imperversa: al 13 agosto, infatti, si registrano quasi 5mila casi positivi.
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