Colombia, arcivescovo Bogotà: no a “missionari” di odio, sì a servi del perdono
Anna Poce – Città del Vaticano
"Non siamo padroni della vita di nessuno (...), tutti dobbiamo chiedere perdono, io per primo". Parole forti, quelle dell'arcivescovo di Bogotà, monsignor Luis José Rueda Aparicio, primate di Colombia, in occasione – come riporta Vida Nueva - del rito del perdono nella veglia per la pace, nella notte di sabato 12 settembre.
Sette giorni di violenze, preghiera per il perdono
Di fronte alle violenze e agli scontri tra i cittadini e le forze di polizia, nella capitale e in tutto il Paese, che hanno provocato, in questa settimana di dolore, una decina di feriti e 14 morti, tra cui l’avvocato Javier Ordóñez, la celebrazione – trasmessa in tv da Cristovisión - a conclusione della Settimana della Pace, è stata offerta per il riposo eterno dei morti e per le loro famiglie. Nella giornata di preghiera, che comprendeva l'"ora santa" davanti al Santissimo Sacramento, sono stati invocati il perdono e la riconciliazione nazionale.
Solidarietà alle famiglie che cercano lavoro
Nell'omelia, l'arcivescovo di Bogotà ha espresso la sua solidarietà a tutte quelle famiglie che arrivano nella capitale alla ricerca di nuove opportunità, "con la speranza di trovare una città dove possano vivere in pace, dove possano lavorare, dove possano studiare" e si trovano invece di fronte alla violenza e all'odio, una vera pandemia nazionale che non ha ancora trovato una cura.
Bogotà diventi città di misericordia
In un Paese che ha vissuto “decenni di odio, di rabbia, di quel peccato che distrugge la vita", il primate di Colombia ha dunque chiesto di fare di Bogotà una città di misericordia, di gentilezza e compassione. “Che la misericordia, la clemenza e il perdono di Dio - ha detto - si mettano in cammino e raggiungano le nostre case”. “Apriamo le porte delle nostre case perché siano un tempio di misericordia". Rivolgendosi quindi alle famiglie dei feriti e dei morti, in questa tragica settimana di violenza nella città, l’arcivescovo ha sottolineato che "non siamo perfetti, ma abbiamo un Dio che è perfetto e gli chiediamo di insegnarci ad essere suoi figli con il suo DNA misericordioso, per poter eliminare l'astio e la rabbia".
Ai leader politici: riconoscetevi fratelli
Il presule ha rifiutato con forza la cultura della "punizione" e della "vendetta". "Questo non è civile, non è dei figli di Dio", ha affermato, ricordando poi la via della nonviolenza tracciata da Gesù di Nazareth: "Beati gli operatori di pace, beati i puri di cuore”. Ha invitato i leader politici e sociali e i governanti a riconoscersi come fratelli, affinché "non ci sia una leadership che debba eliminarne un'altra, ma una leadership nello stile di Gesù, come nell'ultima cena, quando depose il mantello e lavò i piedi dei suoi discepoli".
Anche le parole di odio portano distruzione
Conoscendo il potere delle parole, il presule ha invitato a controllarle, poiché esse possono guarire, costruire, incoraggiare, ma essere anche piene di odio e risentimento e portare distruzione e ha ribadito che la Chiesa non si stancherà mai di lavorare per la pace, sottolineando il bisogno di una “pedagogia per la pace e il perdono".
No a profeti del rancore, sì a servi della vita
La tenerezza, la misericordia e la compassione sono quindi gli strumenti per costruire una civiltà dell'amore, della pace e della riconciliazione. "Non abbiamo bisogno di profeti del rancore – ha concluso -, non abbiamo bisogno di 'missionari' di odio, abbiamo bisogno di servi della vita, del perdono”. Così come abbiamo bisogno di medici e infermieri che ci aiutino a superare il Covid-19 e altre malattie, "abbiamo bisogno di medicine per l'anima".
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