Stella Maris: cento anni nei porti, periferie del mondo
Federico Piana- Città del Vaticano
“La Chiesa è sempre stata vicina alla gente del mare: in fondo, Gesù ha iniziato a lavorare con i pescatori”. Padre Bruno Ciceri è orgoglioso dei primi cento anni di vita della ‘Stella Maris’, l’apostolato del mare fondato da un gruppo di laici a
Glasgow, in Scozia, il 4 ottobre del 1920. Da direttore internazionale dell’organizzazione, che oggi conta centinaia tra cappellani e volontari sparsi in trecento porti del mondo, svela che ogni anno vengono svolte settantamila visite sulle navi e raggiunto ben un milione di marittimi: “La nostra opera è come il granello di senapa: piantata, da piccola che era adesso è diventata molto grande”, dice. E non si abbatte se la pandemia lo ha costretto a rinviare al prossimo anno il 25° congresso mondiale dell’Apostolato del mare, che si sarebbe dovuto aprire a Glasgow il 29 settembre e chiudere il prossimo 4 ottobre, giorno della fondazione. “Speriamo che nel 2021 tutto andrà bene”.
Che bilancio si può fare dei primi cento anni della Stella Maris?
R.- Sono stati cento anni in cui siamo cresciuti; cento anni di grossi cambiamenti perché l’industria marittima si è sviluppata e il nostro apostolato ha dovuto adattarsi ai mutamenti. I bisogni dei marittimi, però, sono rimasti sempre gli stessi: quello che è cambiato è il nostro modo di aiutare.
Vi prendete cura anche della famiglie dei marittimi, non solo di loro?
R.- Certamente, dipende dalle nazioni. Ad esempio, ci sono diversi centri ‘Stella Maris’ nelle Filippine punto di riferimento per tutti i marittimi che nel Paese ammontano a quattrocento mila . Questi centri aiutano anche le loro famiglie, soprattutto quando capitano delle tragedie offrendo loro non solo aiuto spirituale e psicologico ma anche economico.
Perché per la Chiesa è fondamentale l’apostolato del mare?
R.- La Chiesa fin dall’inizio si è spesa per la gente di mare. Anche perché è gente che si trova sempre in una terra straniera. Quando un marittimo si ferma in un porto ha bisogno di tutto: dall’assistenza spirituale alle cose necessarie per la vita di ogni giorno. Molto spesso facciamo da tramite anche con i sindacati per le questioni lavorative che in tempo di pandemia si sono ulteriormente complicate: cerchiamo di aiutarli a risolverle.
Secondo lei, come sarà il futuro prossimo per la Stella Maris?
R.- Il futuro è già arrivato perché con la pandemia il nostro modo di portare assistenza pastorale è cambiato. I cappellani non sono più potuti andare sulle navi e hanno dovuto utilizzare i social per condurre il loro ministero. Abbiamo attivato anche un numero gratuito al quale possono rivolgersi i marittimi che hanno delle necessità. Il nostro futuro sarà, dunque, quello di essere sempre presenti nei porti perché essi possono essere considerati come le periferie del mondo, utilizzando un termine molto caro a Papa Francesco.
So che vorrebbe lanciare un appello per i marittimi bloccati in mare a causa della pandemia…
R.- Sì, mi unisco al cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che nei giorni scorsi ha scritto proprio su questo problema. A causa della pandemia si sono interrotti i cambi d’equipaggio e quindi circa trecentomila marittimi sono rimasti bloccati sulle navi, superando anche i 18 mesi di lavoro: sono sottoposti a stress mentale e ad una fatica fisica insopportabile. I governi non rispondono agli appelli che gli sono stati rivolti affinché possano considerare i marittimi come lavoratori chiave in modo tale da favorire così il turn-over. Bisogna fare presto.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui