Un mese fa l’omicidio di don Roberto Malgesini
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
La morte violenta cancellata da quel sorriso accennato, dalle mani che si chinano sui piedi dei poveri per medicarli, da quello sguardo dolce ma che sfugge l’obiettivo. Don Roberto Malgesini lo si conosce ormai così, nelle immagini di vita di un prete che ama gli altri perché carne di Cristo, di un sacerdote che timidamente chiede “come stai?” e rispetta i silenzi di chi porta addosso graffi dolorosi.
A Como, il 15 settembre, perde la vita in strada, la sua seconda casa. Un moto di affetto torna indietro alla sua Chiesa, ai suoi compagni, alla famiglia che ieri il Papa ha incontrato prima dell’udienza generale. Una famiglia nella quale non è mai entrata una parola di risentimento ma solo il dolore per la perdita di un figlio amato. Oggi in tutte le parrocchie di Como si è celebrata una Messa per lui, stasera nella chiesa di San Rocco, a presiederla sarà il vescovo Oscar Cantoni.
Don Bartesaghi: tra noi la ricchezza della fede condivisa
L’uccisione di don Roberto scuote anche i suoi amici più cari. E’ stato così per don Roberto Bartesaghi che ama definirsi “compagno di Messa”:
R. - Abbiamo iniziato il seminario insieme, siamo sempre stati molto legati e molto uniti a tutto il gruppo, eravamo in 6 all'ordinazione. Molto legati tra di noi ma poi c'era un rapporto tra me e don Roberto molto molto forte e anche con la sua famiglia; un rapporto di amicizia e di fraternità.
Che giorno è stato quello di un mese fa?
R. - Non c'è stato neanche il tempo di pensare perché mi hanno chiesto di avvisare la famiglia ed è stato veramente molto difficile. Poi sono iniziate una serie di cose che ci hanno travolti un po’ tutti. Certamente oggi sento un vuoto perché ero abituato a prendere in mano il telefono e chiamarlo quando c’era qualsiasi cosa, una cosa istintiva che ora non è più possibile. E’ un vuoto grande dal punto di vista umano, ma anche dal punto di vista del cammino di fede, della ricchezza di una fede condivisa che permetteva di confrontarsi, di sentire due modi diversi di vivere lo stesso servizio come sacerdoti, e arricchirsi e sostenersi anche insieme.
Lei gli diceva sempre di stare attento, don Roberto non aveva il senso del pericolo?
R. - No, lui lo aveva ed era anche molto prudente, molto molto prudente. Eravamo noi compagni ad avere preoccupazione. Insomma lui girava la sera e andava nei luoghi dove le persone senza fissa dimora dormivano, alcuni luoghi erano isolati, non frequentati da nessuno e quindi non era sempre una situazione delle più serene. Però lui era sempre molto molto prudente in quello che faceva quindi non andava a caso, andava quando conosceva le persone, andava con determinati criteri, non ha mai corso rischi veri propri. Ecco anche se ripeto la preoccupazione comunque normalmente noi l’avevamo.
E’ emersa la figura di un prete silenzioso, accudente che forse non si aspettava nemmeno di ricevere in cambio quell'amore che, dopo la sua morte, sembra essere esploso. Lei crede che l’immagine emersa di don Roberto Malgesini sia simile a quella reale?
R. - Sì, sì, è simile. Emerge forse poco che quello che lui faceva, lo faceva come prete. Emerge di più la dimensione del servizio di carità che però lui ha sempre vissuto come il primo passaggio per arrivare ad avvicinarsi in una dimensione di relazione e anche di annuncio, annuncio dell'amore che viene da Dio. Questo credo abbia colpito tutti e quando è venuto a mancare tutti sono sentiti orfani di un padre. Non è venuto a mancare un servizio concreto, è venuta a mancare la presenza di un sacerdote che era dedicato ai poveri ma anche a tutte le persone che collaboravano con lui perché li accompagnava in un cammino di fede nella semplicità. Credo che questo sia il tratto più forte che di lui appare un poco, appare di più la dimensione del servizio, dell’attenzione concreta mentre lui viveva proprio da prete questo suo modo di stare in mezzo agli ultimi.
Le opere che faceva don Roberto sono rimaste, continuano?
R. - Si continua tutto, anche perché le opere le ha sempre fatte in collaborazione con tanti volontari, inserendosi in opere che già esistevano come la mensa, come il gruppo che seguiva il le prostitute o avviando delle attività che però non erano solo in capo a lui. Il servizio delle colazioni al mattino, il servizio di assistenza per chi aveva bisogno di visite erano in collaborazione con le strutture della Caritas o con altri volontari per cui in realtà l'eredità su questi aspetti di servizio sta proseguendo e non è cambiata in nulla. Ecco quello che è cambiato è la presenza di un sacerdote, di un padre che accompagnava tutti e che faceva fare a tutti un cammino di fede. Con questo probabilmente adesso bisognerà come chiesa riflettere e capire come arrivare a dare un proseguimento, un'eredità a questa dimensione.
Personalmente se lei dovesse raccontare don Roberto Malgesini in un episodio, in una frase, quale pensa sia quella più giusta? Lei come lo definirebbe in un'immagine?
R. – Don Roberto se anche andava ospite in una casa, in una famiglia, non lo si vedeva come ospite, si alzava, raccoglieva i piatti, serviva. Magari se non si fermava, andava in cucina a lavare i piatti o a sistemare anche in casa di persone sconosciute. Lui era questo: un’attenzione verso gli altri fortissima perché nasceva dal riconoscere un amore ricevuto dal Signore che era grande, quindi quell'amore lui lo ridonava a tutti.
Una morte così violenta l’ha interrogata anche nella fede?
R. - Certamente sì, nel senso che comunque è qualcosa che ti colpisce e poi così improvviso e poi da una persona conosciuta a cui era offerta una proposta di amore, quindi ti mette in discussione. Però credo anche che, proprio il pensare a don Roberto, impedisca di assumere posizioni di fatica o di difficoltà nel continuare ad amare, nel continuare a dire che c'è qualcosa di più grande. Mette in difficoltà questa situazione però ha già in sé la risposta, è vero che l'uomo può arrivare a degli atti così tremendi ma l'amore di Dio è più grande e va al di là e noi stessi dobbiamo essere capaci di andare al di là.
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