Fratelli tutti lo conferma: non esiste una “guerra giusta”
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Nel discorso pronunciato in Campidoglio il 20 ottobre scorso, nella cerimonia finale dell’incontro della Comunità di Sant’Egidio, il Papa ha sottolineato che oggi “il mondo, la politica, la pubblica opinione rischiano di assuefarsi al male della guerra, come naturale compagna della storia dei popoli”. Francesco ha aggiunto che “i dolori della guerra sono aggravati anche dalla pandemia del Coronavirus e dalla impossibilità, in molti Paesi, di accedere alle cure necessarie”. Del tema si occupa anche la sua recente enciclica sociale, Fratelli tutti, in particolare ai paragrafi dal 256 al 262 del settimo capitolo dedicato ai percorsi di pace per un nuovo incontro. Nel testo il Papa la associa alla “pena di morte” come esempio di “false risposte” che non risolvono i problemi che pretendono di superare e non fanno che aggiungere nuovi fattori di distruzione nel tessuto sociale. Si tratta di affermazioni che, in piena continuità con il magistero dei predecessori di Francesco, dichiarano l’inammissibilità della teoria della “guerra giusta”. Lo ha confermato, ai microfoni di Radio Vaticana Italia, fra Giulio Cesareo, OFMConv, docente di Teologia morale alla Facoltà Teologica San Bonaventura e all’Urbaniana:
R.- Questi paragrafi non introducono novità clamorose nella dottrina cattolica su questo tema. Sono pagine che riprendono l'insegnamento che si è sviluppato soprattutto nel post-Concilio. L’insegnamento cattolico sulla guerra ha un'origine molto antica e si fa risalire, più o meno, ai testi del V secolo di Sant'Agostino. Si è poi sviluppato progressivamente e ha trovato una definizione compiuta nella classica teoria della cosiddetta “guerra giusta” che come dottrina politica era condivisa anche da non credenti. Questo è accaduto intorno al 1500, quando con la scoperta delle Americhe si arrivò a una cristallizzazione di questi insegnamenti. Ma poi con il Concilio Vaticano II c’è stato un generale ripensamento di questa dottrina che è partito da un’affermazione molto forte dell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII del 1963 che definiva la guerra come qualcosa di “alienum est a ratione”, affermando come fosse follia pura che potesse risolvere i problemi. Queste pagine di Papa Francesco si inseriscono proprio in questa scia e non fanno altro che ribadire ciò che afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, che infatti è citato nel testo, e cioè che non si può più parlare di “guerra giusta” ma si può solo sostenere la legittimità di difendersi militarmente se si è attaccati. La grande novità dell’insegnamento di Papa Francesco su questi temi è quella contenuta in un discorso pronunciato lo scorso anno nel suo viaggio in Giappone, quando disse che anche il solo possesso di armi nucleari a scopo deterrente è già immorale.
Perché al numero 258 il Papa arriva ad affermare che oggi "è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta”? Cos'è cambiato oggi?
R.- È cambiata la potenza delle armi. I criteri della “guerra giusta” si ispiravano fondamentalmente alla proporzionalità e alla discriminazione tra combattenti e non combattenti. Secondo questa teoria una guerra può essere considerata giusta, cioè si può combattere, se ci sono buoni motivi per farlo: se ci sono cioè dei gravi danni umanitari, dei soprusi da parte di una nazione. Ma soprattutto se questa può essere combattuta evitando di coinvolgere i civili e se c’è una proporzione tra il danno che si procura con la guerra e il danno che si è ricevuto e dunque il bene che si vuole proporre. Cioè, se tu mi hai occupato militarmente una città e io reagisco bombardandone cinque è ovvio che la mia reazione è sproporzionata. Ma questi criteri potevano essere osservati e verificati fino alle soglie dell'età moderna, fino alla prima guerra mondiale. Ma poi quando entra in gioco la potenza delle armi chimiche, quando in Belgio per esempio viene usata l’iprite, quando inizia l’era della bomba atomica o delle armi batteriologiche, si entra in un ambito in cui non è più possibile distinguere le vittime civili e non civili, i non combattenti dai combattenti, né tantomeno gli attacchi sono in grado di garantire una proporzione. Una bomba atomica, lo sappiamo, distrugge tutto, distrugge la vita anche per il futuro e dunque niente può giustificare un uso di armi così potenti.
La dottrina della “guerra giusta” aveva subito già dei mutamenti nel '900?
R.- Possiamo dire che era stata messa già in discussione. Bastava infatti riflettere in maniera onesta per dimostrare che non era più al passo con i tempi. Lo stesso Catechismo, come ricorda il Papa nella sua Enciclica, usando questi criteri della discriminazione tra combattenti e non combattenti e della proporzione era giunto a tollerare solo la possibilità della legittima difesa. Ma se si è onesti si capisce oggi che non c’è nessun sopruso che possa giustificare l’utilizzo degli armamenti moderni che sono per natura loro altamente distruttivi. Quindi non è la dottrina che è cambiata, ma la dottrina stessa che ha dichiarato la propria fine proprio in virtù di quei criteri che le servivano per giustificare la regolamentazione della violenza.
Queste affermazioni del Papa si inseriscono nel solco del magistero dei suoi predecessori?
R.- Certamente. Il vero cambiamento, il vero passaggio dall’accettazione di motivi giusti per la guerra all’ammissione della sola legittima difesa era già avvenuto da tempo nel Catechismo, durante il pontificato di Giovanni Paolo II, negli anni ‘90. Papa Francesco non fa altro che mettersi in questa linea e ribadire che nessuno può dire che una guerra è giustificata. Giovanni Paolo II, per esempio, ammise la possibilità dell'intervento umanitario nel caso della guerra in Bosnia come supporto alla legittima difesa di coloro che non erano in grado di difendersi. Il concetto è: io ti presto le mie armi, la mia forza militare, perché tu che dovresti difenderti non hai la forza per farlo.
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