In carcere per testimoniare la misericordia di Dio
Davide Dionisi – Città del Vaticano
Sono cinque e oggi pomeriggio entreranno ufficialmente a far parte dell’Ordo Virginum della diocesi di Roma. A presiedere il rito di consacrazione delle vergini, che si terrà alle ore 17.30 nella Basilica di San Giovanni in Laterano, sarà il cardinale vicario Angelo De Donatis. Tra loro c’è Chiara D’Onofrio che da diversi anni ha scoperto che il carcere non è l’unico rimedio al male e che esistono e vanno applicate anche pene alternative. Così ha scelto di accompagnare le ragazze del Carcere femminile di Rebibbia nel loro periodo di detenzione e di aiutarle nel faticoso processo di reinserimento nella società.
La vocazione
La vocazione di Chiara parte da Haiti: “Nel 2010 ho vissuto un’esperienza molto forte” spiega. “C’era stato il terremoto e la criminalità dilagava. Era la risposta alla disperazione e alla povertà del post sisma. Lì ho conosciuto la miseria e ciò che comporta vivere nella povertà estrema. Successivamente ho maturato un’esperienza di accoglienza con i Frati Minori e in quell’occasione ho incontrato due ragazze detenute e così deciso di intraprendere questo cammino. In quel contesto ho scoperto le meraviglie delle opere di Dio, toccando con mano come il Signore ama i suoi figli e vuole che nessuno dei suoi, anche il più piccolo, si perda. Inoltre ho assistito alla conversione autentica, al desiderio delle donne detenute di cambiare vita”.
Il volontariato in carcere
Per Chiara andare in carcere non vuole dire prestare assistenza o fare beneficienza, perché nella vita della sua missione il posto centrale è occupato dalla carità ed ha compiuto una scelta tipicamente cristiana: quella del primato di donare. “La cosa che più mi ha stupito, una volta varcato il muro, è aver trovato persone proprio come me. Donne con la consapevolezza della loro debolezza e della loro fragilità e, per questo, ancora più umili. Tutte con un minino comun denominatore: la voglia di riscatto e di riannodare i fili di una vita segnata, per lo più, dai contesti di provenienza”.
Il dramma delle mamme
Chiara condivide quotidianamente le angosce e le aspirazioni delle ragazze senza trasferire alcuna ideologia, né modelli culturali perché il suo è uno sguardo di simpatia e di amore verso chi ha sbagliato e sta pagando. La sua missione è quella di favorire una presa di coscienza della loro dignità, promuovendo un processo di maturazione della comunità nella quale lei stessa opera. “Una cosa che non avevo mai preso in considerazione è il dramma della maternità” riprende. “Quello dei figli è il loro dolore più grande perché si convive costantemente con uno stato di sofferenza dovuto alla distanza, al timore di essere giudicate o, peggio, allontanate. Il volontario, in questo caso, è chiamato ad ascoltare, sostenere ed aiutare la donna. E’ necessario che superi il senso di colpa che prova nei confronti della propria famiglia e riattivi i contatti. In questo noi dobbiamo fungere da ponte”.
Appello ai giovani
Sono tanti i ragazzi e le ragazze dell’età di Chiara che oggi si indignano, alzano la voce e vogliono unicamente che il mondo del carcere torni al più presto nell’ombra perché questo moderno lazzaretto stia lontano da loro e non li infastidisca. Poco importa se chi ci vive o ci lavora è in condizioni frustranti o degradanti. La neo consacrata la pensa in maniera opposta. Anzi, lancia un appello affinché i suoi coetanei possano vivere questa esperienza unica di solidarietà: “Ne vale veramente la pena” rileva. “Chiunque ha vissuto appieno la misericordia di Dio, non può tenerla per sé. E in carcere c’è tanta gente che non sa di essere amata dal Signore e dai fratelli. La prima volta che sono entrata lì dentro avevo una gran paura: i corridoi, le sbarre, i sotterranei e le inferriate mi terrorizzavano. Tutto poi è svanito dopo l’incontro con loro. Avevano inciampato, erano cadute e chiedevano una mano per rialzarsi. Devo ammettere, che grazie a questo, ho imparato molto”.
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