Padre Maccalli libero, il vescovo di Crema: sia segno di speranza per tutto il Sahel
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Sono finalmente liberi quattro ostaggi che erano tenuti prigionieri in Mali da militanti jihadisti. Due sono italiani. Si tratta di padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio. Il religioso era stato rapito il 17 settembre del 2018 in Niger, in una missione a circa 150 chilometri dalla capitale Niamey. L’altro ostaggio italiano è stato probabilmente rapito durante una vacanza. Il rientro di padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio in Italia è previsto oggi. Gli altri due ostaggi rilasciati sono una cooperante francese, Sophie Pétronin, e un politico maliano, Soumalia Cissé.
Grande gioia nella diocesi di Crema
La notizia della liberazione padre Gigi Maccalli è stata accolta con grande gioia nella diocesi di Crema, dove è riecheggiato ieri sera il suono festoso delle campane della cattedrale e di tante chiese. Lo sottolinea monsignor Daniele Gianotti, vescovo della diocesi di Crema aggiungendo che tante persone hanno pregato per questa liberazione. L’auspicio è che sia anche un segno di speranza per altre persone che sono ancora tenute in ostaggio e per la regione del Sahel.
R.- Il desiderio di tutti è stato quello di dare sfogo alla grande gioia per questa notizia. La diocesi, in questi due anni e quasi un mese, si è molto stretta intorno a padre Gigi, ai suoi familiari e alla Società delle Missioni Africane. Abbiamo vissuto tanti momenti di preghiera. Ogni mese, il 17 di ogni mese, ci radunavamo per un momento diocesano di preghiera sempre molto frequentato. Ed è stato proprio uno stringersi coralmente intorno a questa vicenda che spero abbia fatto anche maturare, nella nostra diocesi, un'attenzione ancora più forte per le missioni, per le realtà del Sahel, del Niger. Ieri sera si è sentito proprio il bisogno di esprimere la gioia anche in maniera pubblica. E credo sia stato anche apprezzato nei paesi qui a Crema questo scampanio festoso. C’è davvero il sentimento di una grande gioia che sento percepita in tutta la diocesi. Questa mattina mi trovavo sulla piazza della Cattedrale. Tanta gente arrivava e mi salutava esprimendo questa gioia e riconoscenza. Noi aspettiamo a Crema di poter riabbracciare padre Gigi, di poterlo salutare, vedere, ascoltare.
Due anni di apprensione, speranze, preghiera e a attesa e poi è arrivata, nel mese missionario, la notizia della liberazione …
R. - Che questa liberazione faccia crescere l'impegno anche a testimoniare il Vangelo, a cercare segni di resurrezione e di vita nel mondo. Ne abbiamo anche molto bisogno così come abbiamo bisogno di questa fraternità alla quale il Papa ci ha invitato. E credo anche che l‘attività missionaria di padre e quello che abbiamo anche saputo del modo in cui ha vissuto la prigionia - forse sapremo di più nei prossimi giorni - è stato anche questo è un bel segno di fraternità in una situazione estremamente difficile. Sono fiducioso del fatto che questa vicenda produrrà dei frutti ancora più positivi.
Senza entrare nel merito della prigionia, possiamo dire che questo periodo così difficile si può leggere anche alla luce della recente enciclica ‘Fratelli tutti’ di Papa Francesco?
R. - Sì certo, perché io credo che l'impegno missionario, autenticamente evangelico di padre Gigi, si esprimesse proprio nel segno di un desiderio di una grande fraternità. Ho conosciuto padre Gigi soltanto 10 giorni prima del suo rapimento perché ero in diocesi da poco tempo. È venuto a salutarmi prima di rientrare in Niger ed è stato poi rapito la settimana successiva. Però l'ho percepito subito come un uomo di poche parole e di grande impegno concreto nei confronti di tutti, dei poveri in particolare. E con il desiderio di esprimere e di realizzare nella sua stessa vita e nella sua testimonianza missionaria cristiana, questo segno della fraternità universale che il Signore ci chiede di testimoniare.
È quindi un segno di speranza la liberazione di padre Gigi come quella degli altri ostaggi che hanno condiviso con lui la prigionia…
R. - Questa liberazione è inoltre un rinnovato invito a pregare anche per altri che sono ancora prigionieri perché possano appunto trovare la liberazione. Questo che è accaduto sia un segno di speranza per il Mali, per il Niger e per tutto il Sahel che sta attraversando un momento drammatico che sfugge anche un po' anche alla nostra attenzione in generale. Mi auguro che questa vicenda accenda poi riflettori e, soprattutto, sia anche segno di un processo di riconciliazione e di pacificazione anche per questi Paesi.
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