Semeraro: "A Carlo Acutis ho affidato il mio impegno nella Chiesa"
Benedetta Capelli - Città del Vaticano
Dopo qualche giorno dalla nomina a prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il vescovo di Albano monsignor Marcello Semeraro si prepara ad un altro passo cui il Papa lo ha chiamato, indossare la porpora cardinalizia. Settantadue anni, pugliese, monsignor Semeraro ci racconta i sentimenti che lo hanno attraversato all'annuncio di domenica scorsa, tra sorpresa, gratitudine e senso di responsabilità. Poi il suo personale atto di affidamento ad un giovane santo e ai suoi sogni:
R. - Ero già in casa, ho potuto collegarmi per la recita dell'Angelus e ho seguito la preghiera, quindi ho appreso dalle parole del Santo Padre questa nomina così a breve distanza dall'altra che un pò mi ha cambiato il ritmo della vita. E questa è ancora un'altra sorpresa. Provo estrema gratitudine nei riguardi del Santo Padre per questo gesto di fiducia e anche di grande responsabilità ed impegno nel servizio alla Chiesa. Una cosa che mi è passata subito per la testa quando ho sentito l'elenco, visto che ho sentito prima il nome del segretario del Sinodo, è stata la sinodalità che indica il cammino di comunione della Chiesa. E poi la mia responsabilità: prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Quella è un'altra sinodalità, un'altra comunione, è la comunione del Cielo. Noi sulla terra, servendo e vivendo nella Chiesa, dobbiamo cercare di rispecchiare quella comunione celeste verso la quale in ogni caso noi siamo incamminati, come ci dice la festa di Ognissanti che celebreremo tra poco. Dunque questi sono stati i sentimenti che mi sono balenati nella mente in quel momento.
Lei lo ha detto, in poco tempo è passato all'incarico di prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e poi alla porpora. Anche a livello personale come sente di accogliere queste sfide importanti per il servizio alla Chiesa?
R. - Dal punto di punto di vista personale, anche considerata la mia età, già ero entrato nell'ordine delle idee di presentare la rinuncia all'ufficio del governo della diocesi, come chiede la disciplina ecclesiastica. Quindi ero, almeno spiritualmente, in questa condizione di distacco che, per quello che è il mio impegno nella diocesi, è un momento di generatività. La paternità infatti chiede di generare ma chiede anche di distaccarsi per lasciare liberi i figli nel loro cammino. Quindo ero già in questa prospettiva. Adesso invece si pone il discorso di ricominciare, ricominciare un servizio che mi mette soprattutto a contatto con una esperienza di Santità, e questo per me è motivo di grande conforto, di grande incoraggiamento. Ho avuto modo di accogliere l'invito del vescovo di Assisi di recarmi lì per la conclusione delle celebrazioni per la beatificazione di Carlo Acutis e sono stato lì lo scorso lunedì. Quando mi sono trovato sulla sua tomba, ho guardato questo giovane beato e mi è tornata alla memoria un'icona che una volta il Santo Padre mi aveva dato in molte copie perchè io la dessi ai sacerdoti e ad altre persone. Un'icona che si chiama la Santa Koinonia, e vede rappresentato un giovane monaco che prende sulle spalle un anziano. In un incontro con i giovani il Papa parlò di questa icona e invitò i giovani a farsi carico dei sogni della Chiesa e anche delle speranze. E io, davanti al corpo del beato Carlo Acutis, ho chiesto a questo giovane di prendermi coi suoi sogni sulle spalle per aiutarmi a vivere degnamente il Ministero al quale il Papa mi ha chiamato.
Papa Francesco domenica dopo aver elencato i nomi dei cardinali ha chiesto per ciascuno preghiere "perché confermando la loro adesione a Cristo, mi aiutino - ha detto - nel ministero di vescovo di Roma per il bene di tutto il santo popolo fedele di Dio". Cosa rappresentano per lei queste parole? Che responsabilità implicano?
R. - Il Papa è nel pieno, a mio modesto avviso, di un progetto che possiamo riassumere nella parola "cura", la "cura animarum", formula tradizionale anche nel codice di diritto canonico per indicare il nostro ministero, che significa prendersi cura, aiutarsi gli uni con gli altri, portare gli uni i pesi degli altri, come dice san Paolo. Questo il Papa chiede. Il Papa non è questa figura gigantesca disegnata dalla mitologia che prende su di sé tutto il mondo, è Cristo che ha preso su di sè le nostre debolezze e nelle sue piaghe ci permette di guarirle. Il Papa vive in questa comunione, è ministro di comunione e anche il dogma del primato del Romano Pontefice parla del Papa come ministro di comunione con l'episcopato e la Chiesa. Quindi è giusto che senta la necessità di avere dei collaboratori nello svolgimento del suo Ministero. D'altra parte anche il lavoro della riforma della Curia che si è svolto in questi anni e che va verso il suo compimento in questi mesi, è il disegno di una grande collaborazione col ministero del successore di Pietro.
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