Nuova Zelanda al voto, appello dei vescovi per la sacralità della vita umana
Marco Guerra – Città del Vaticano
Quasi 4 milioni di cittadini della Nuova Zelanda, su 5 milioni di abitanti complessivi, oggi sono chiamati al voto per scegliere tra la premier uscente e data in vantaggio, Jacinda Ardern, leader del partito laburista che gode di una buona popolarità per via di una gestione competente della crisi sanitaria, e Judith Collins, alla guida del National Party. Ma la scelta del Paese andrà anche ai due referendum in favore della legalizzazione della cannabis e dell’End of Life Choice Act 2019, che consentirebbe alle persone con malattie terminali di richiedere il suicidio assistito.
La dichiarazione pastorale
Lunedì scorso, in vista di questa importante tornata elettorale, i vescovi della Nuova Zelanda hanno pubblicato una dichiarazione pastorale dal titolo “Che tipo di nazione vogliamo?”. Per rispondere a tale interrogativo, il documento prende spunto da quell’ecologia integrale evocata da Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato si’” sulla cura della Casa comune.
Denunciata la cultura dello scarto
“Un approccio basato sull'ecologia integrale” che “evidenzia l'interconnessione che esiste tra Dio, l'umanità e il Creato” e “ci sfida tutti ad allargare la nostra attenzione, riconoscendo e denunciando quella ‘cultura dello scarto’ in cui le persone, il pianeta e le sue risorse vengono trattate come cose che si possono sacrificare, piuttosto che secondo il disegno di Dio”, scrivono i presuli nel testo. "Esso - sottolineano - ci indica anche la strada verso un’etica coerente che, come indica il Papa 'collega la sacralità della vita umana e quella del Creato', in piena sintonia con i valori tradizionali della cultura Maori". È dunque la protezione della vita, “un tesoro (taonga) sacro in tutte le sue fasi” il punto fermo da cui partire per rispondere all’interrogativo posto dai vescovi all’inizio del messaggio.
Cogliere le lezioni della pandemia
In questo senso, affermano i presuli, “l’esperienza dell’attuale pandemia e della crisi economica ha insegnato molte lezioni”: ha “tirato fuori il meglio” della società neo-zelandese che si è unita per proteggere i più vulnerabili al virus. Nessuna vita è infatti “vissuta da sola”, ricorda il documento, perché appunto siamo tutti connessi a cominciare dai legami con la nostra famiglia, “fondamento della società”, che in questi tempi di crisi ha fatto riscoprire il valore dei rapporti umani e con Dio.
No a eutanasia e droga
Secondo i presuli neozelandesi, la crisi del Covid-19 offre quindi un’occasione per “rivedere le priorità” e per capire cosa cambiare del passato e come continuare “ad essere una società che valorizzi vita umana e non lasci indietro nessuno”. In questa prospettiva si inseriscono anche i quesiti referendari sulla legalizzazione dell’eutanasia e della cannabis a scopo ricreativo alle quali la Chiesa neo-zelandese ribadisce la sua ferma opposizione. Secondo i vescovi, anche qui gli elettori dovranno chiedersi quale effetto avranno le modifiche proposte sulle persone più vulnerabili e sul tessuto sociale: “La partecipazione al voto - sottolineano - non inizia nelle urne, ma quando iniziamo a pensare alle domande che abbiamo di fronte e consideriamo come la società a cui aspiriamo possa riflettersi nelle nostre politiche pubbliche”.
Bovassi: vescovi attenti alle generazioni future
“Il messaggio dei vescovi invita a farsi carico di uno sguardo lungimirante nei confronti delle generazioni future, creando un senso di appartenenza molto forte a quell’umanità che deve rispondere ad un’ecologia integrale e istituendo dei baluardi morali per una società che abbia a cuore la sostenibilità umana”, così la bioeticista Giulia Bovassi, ricercatrice presso la cattedra Unesco di Bioetica e Diritti umani, analizza il testo diffuso dai presuli della Nuova Zelanda:
La tutela dell’umano
“I vescovi pongono una domanda, ovvero cosa significa oggi essere una persona in condizione di vulnerabilità. Anche alla luce dell’impegno contro il Covid - prosegue Bonassi - bisogna riconoscere un carattere antropologico che risponde all’inviolabilità della vita umana”. La ricercatrice vede quindi un paradosso nel fatto che lo sforzo mostrato per combattere il Covid coincida con le spinte avute in molto Paesi, sempre durante il periodo pandemico, verso questioni che vanno nella direzione opposta della tutela degli esseri umani.
Il pensiero individualista
La ricercatrice italiana pone così l’accendo verso una “nuova libertà moderna” che in realtà genera sempre più costrizioni: “Nella totale relativizzazione di ciò che è bene e ciò che è male e con un approccio individualista - conclude - la libertà viene intesa come un continuo di azioni che sembrano essere autoriflessive, cioè hanno come unico fine la persona isolata dal contesto in cui vive”.
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