Covid e rabbia sociale a Torino. Nosiglia: sostenere le fasce deboli
Antonella Palermo – Città del Vaticano
I militari dell'Esercito Italiano, su richiesta della Regione Piemonte, montano tendoni all'ingresso degli ospedali piemontesi. Due sono state montate presso l'ospedale di Rivoli, Comune della prima cintura del capoluogo piemontese, e sono più grandi di quelle predisposte la scorsa primavera. Serviranno ad alleggerire la pressione sul pronto soccorso. Intanto continua il malcontento a Torino, uno dei presìdi industriali che soffre da tempo una crisi economica non trascurabile. Sui disordini generati dalle proteste di questi giorni in diverse città, il commento dell'arcivescovo Cesare Nosiglia:
R. - Torino non è usuale a queste manifestazioni che sfociano nella violenza o nello scontro con le forze dell'ordine. Ma non con questa brutalità in cui ci siamo trovati. Protestare fa parte della democrazia, è un diritto che va salvaguardato ma è un dovere civico di ogni comunità, che voglia essere unita e solidale, rifiutare ogni forma di violenza. Come credenti dovremmo operare per aprire il cuore delle persone attraverso vie di giustizia, pace e solidarietà. La pacificazione è uno dei compiti più concreti della Chiesa, in questo momento, ed esige che ogni fedele non si chiuda nei suoi interessi di parte ma si apra al bene comune.
L'infiltrazione di frange violente rischia di inquinare le istanze dei lavoratori...
R. - Sì. Mi ha un po' meravigliato, per esempio, la partecipazione di giovani immigrati a quanto è successo. E' una sfida che deve farci riflettere un po' tutti: le comunità etniche, noi come Chiesa, gli stessi immigrati, adulti, i ragazzi coinvolti in questi disordini. Non mi aspettavo una cosa del genere: di fatto si può parlare di strumentalizzazioni ma non è sufficiente a mio avviso. Occorre una seria verifica su come ci rapportiamo ogni giorno con le fasce più deboli, scartate dalla nostra società, compresi gli immigrati accolti in questi anni: come vivono, quali prospettivi di un futuro migliore hanno, quale azione educativa nei loro confronti, quale ascolto promuoviamo per comprendere le loro attese e speranze, quali esempi offriamo loro per mostrare il rispetto della giustizia sociale...
Le degenerazioni delle manifestazioni di questi giorni affondano le radici in una crisi sociale mai risolta?
R. - Sì, questo sì. La città di Torino, come tutte le metropoli, soffre molto la situazione del coronavirus, ma il territorio di tutto il Piemonte è in mezzo a una crisi antica anche quella sociale, le povertà crescenti della popolazioni, le difficoltà di tante imprese che rischiano di chiudere e licenziare i loro operai. La Caritas mi dice che i prossimi mesi saranno i più duri da gestire sul piano del crescente numero di richieste di famiglie in difficoltà e delle fasce deboli. Non passa una settimana che i sindacati mi interpellano per segnalarmi situazioni di aziende in forte crisi. Del resto, quando si mantengono interi quartieri dove le periferie esistenziali sono accentuate dalla miseria e dall'epidemia è facile che si accendano atteggiamenti di rabbia e di rifiuto delle più comuni regole di convivenza civile.
Lei come valuta le misure restrittive adottate in Italia e il Decreto ristoro entrato in vigore? Servirà a mitigare il malcontento?
R. - Credo sia necessario ponderare bene le scelte da fare per garantire da un lato le condizioni necessarie per salvaguardare la salute dei cittadini ma, dall'altro, è altrettanto importante sostenere e promuovere quelle scelte prioritarie che possono ridare fiducia a chi non ce l'ha più ed è deluso da tante promesse mai attuate, e tra queste non può mancare il diritto primario al lavoro, a tutti i livelli, culturale, dei servizi... Insomma, o si trovano vie per affrontare insieme il problema, o andremo incontro a una situazione irreversibile, con ripercussioni molto dolorose soprattutto per il mondo giovanile. Certamente, dare dei soldi subito è una cosa buona ma non è questo che risolve. Bisogna trovare la strada che dia loro di camminare con le proprie gambe. Credo che anche un piccolo lavoro valga più di un grande sussidio.
Nella vicina Francia è stato deciso il lockdown. Ritiene che in Italia chiusure mirate possano essere una azione opportuna?
R. - Purché si salvaguardino la scuola e il lavoro. Però è l'ultima ratio. Se è possibile evitarle, è meglio.
Teme che possano nuovamente essere impedite le celebrazioni liturgiche?
R. - No, spero proprio di no. E' stato deleterio chiudere. Lo streaming è una cosa diversa. Quando si è tornato a celebrare con il popolo è stata una grande gioia. Noi abbiamo accettato come Chiesa tutte le disposizioni, non credo si debba arrivare a questa disposizione.
Questa crisi si incrocia con la Solennità dei Santi e la Commemorazione dei Defunti. Quale l'atteggiamento cristiano più opportuno per vivere questo tempo? Nella vostra tradizionale 'Notte dei Santi' quest'anno non sarà offerta la proposta culturale, artistica o aggregativa che ha sempre preceduto e accompagnato questo appuntamento di preghiera. Come la vivrete?
R. - Io penso siano occasioni per sottolineare l'importanza della presenza del Signore che ci ha dato indicazioni molto precise per affrontare anche le situazioni più difficili: "Non temete, non temete", dice il Signore. La notte dei Santi la faremo con tutte le attenzioni necessarie. La faremo in un locale molto ampio, che può contenere 800 persone, ne ospiteremo un centinaio e poi ci sarà lo streaming. Abbiamo invitato anche a dare una testimonianza la madre dell'ultimo beato, Carlo Acutis, sarà una presenza molto significativa per i giovani. Daremo loro la possibilità per una riflessione sulla santità, che è il traguardo di ogni cristiano, ma anche sulla speranza, perché i tempi non sono molto belli per loro.
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