Il giorno dei defunti nella poesia
Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano
Il rapporto con le persone care che non ci sono più non si interrompe mai e ci accompagna sempre. All’inizio è un dolore inaccettabile, poi diventa struggente e infine si acquieta nell’accettazione e nell’affetto, diventando perfino un pensiero dolce. Ma si tratta di sentimenti verso defunti che abbiamo conosciuto e amato. Ci sono poi miliardi e miliardi di morti che non conosciamo ma che come cristiani abbiamo il dovere di ricordare nelle preghiere, per non lasciarli soli lungo il cammino verso il cielo. Ed è questo il motivo della ricorrenza, la Commemoratio Omnium Fidelium Defunctorum del 2 novembre, rito istituito dalla Chiesa latina fin dalla fine del X secolo.
Le origini antichissime della poesia funebre
La poesia funebre ha origini antichissime e ha una tradizione talmente vasta da aver dato il corso a veri e propri filoni poetici come quelli dei “miroloja” (dalla lunghissima tradizione fino a costituire un importante filone della canzone popolare greca), l’“epicedio” e il “treno” greci, oltre a versi metrici, utilizzati per cantare gli stessi argomenti luttuosi, così come ancora gli epigrammi, utilizzati anche negli epitaffi delle lapidi o le elegie. Appare come genere letterario nella cosiddetta poesia sepolcrale, tra XIX e XX secolo a partire dall’Inghilterra e poi diffusa in Europa. È indubbio che motivi di ordine storico e quindi ideologico e politico ˗ ad esempio quelli derivati dall’editto napoleonico di Saint Cloud sui cimiteri, del 1804, cioè la dislocazione delle sepolture al di fuori delle mura cittadine, per ragioni igienico-sanitarie e per evitare disparità sociale anche tra i morti, le tombe dovevano essere tutte uguali ˗ dovettero esercitare una forte influenza, unita al sentimento romantico che costringeva a porsi di fronte al mistero della morte. Ad esempio i Sepolcri di Ugo Foscolo scaturiscono proprio dall’editto di Napoleone ma tessono un poema di più ampio respiro, dove prevale l’analisi storica e sociale.
Infine celebre è l’Antologia di Spoon River, che l’autore, Edgard Lee Masters (1868 -1950) ha composto ispirandosi all’Antologia Palatina. Non sono i vivi a parlare dei defunti, ma proprio i morti dalle loro tombe. Brevi componimenti a mo’ di epitaffio dove traspare una società provinciale, pervicacemente attaccata alla vita e alle miserie che ne hanno costellato l’esistenza, fatta di azioni senza pentimenti. Non c’è sguardo al di là della porta, dove si apre la luce.
La poesia funebre è un tema inesauribile che attraversa tutta la storia e che hanno affrontato quasi tutti gli scrittori e i poeti di ogni tempo. Per questo, quella che seguirà sarà una scelta limitata e concentrata su determinati aspetti, come il senso religioso e il rapporto tra i vivi e i morti, senza la pretesa di calare i componimenti nel contesto storico o personale del poeta.
Il giorno dei morti e la visita al camposanto
Il giorno dei morti è ricordato da moltissimi poeti. L’atmosfera silenziosa e malinconica del due novembre ispira in modo intenso la poesia e ne caratterizza il ritmo lento e sommesso: il vento e la nebbia, il cipresso, le zolle di terra nera, il bianco livido dei volti e del cielo, il freddo di un inverno ormai imminente. Solo di rado il colore dei crisantemi, fiori che odorano di umido, e rischiarano le croci di questi “strani giardini” insieme ai lumini accesi. Sono queste le immagini ricorrenti che fanno da sfondo ai pensieri e ai sentimenti, dipingendo un mondo fiabesco in Giovanni Marini e descritto a tinte plumbee e tristi in Giovanni Pascoli:
Uno strano giardino di Giovanni Battisti Marini (1902-1980)
Novembre, mese dei morti
quanta tristezza tu porti!
Ma i cimiteri grandi e piccini
diventan giardini:
e a sera, pei tanti lumini
lontani e vicini,
sembrano cieli stellati
di regni incantati.
Il giorno dei morti di Giovanni Pascoli (1855-1912)
Io vedo (come è questo giorno, oscuro!),
vedo nel cuore, vedo un camposanto
con un fosco cipresso alto sul muro.
E quel cipresso fumido si scaglia
allo scirocco: a ora a ora in pianto
sciogliesi l’infinita nuvolaglia.
O casa di mia gente, unica e mesta,
o casa di mio padre, unica e muta,
dove l’inonda e muove la tempesta;
o camposanto che sì crudi inverni
hai per mia madre gracile e sparuta,
1oggi ti vedo tutto sempiterni
e crisantemi. A ogni croce roggia
pende come abbracciata una ghirlanda
donde gocciano lagrime di pioggia…
La morte sconfitta dall’eternità
La morte è debole. L’eternità e soprattutto l’amore la sconfiggono, come nei versi che seguono:
Morte, non essere troppo orgogliosa di John Donne (1572- 1631)
Morte, non essere troppo orgogliosa,
se anche qualcuno ti chiama terribile e possente
Tu non lo sei affatto: perché quelli che pensi di travolgere
in realtà non muoiono, povera morte, né puoi uccidere me.
Se dal riposo e dal sonno, che sono tue immagini,
deriva molto piacere, molto più dovrebbe derivarne da te,
con cui proprio i nostri migliori se ne vanno, per primi,
tu che riposi le loro ossa e ne liberi l’anima.
Schiava del caso e del destino, di re e disperati,
Tu che dimori con guerra e con veleno, con ogni infermità,
l’oppio e l’incanto ci fanno dormire ugualmente,
e molto meglio del colpo che ci sferri.
Perché tanta superbia? Perché tanta superbia?
Trascorso un breve sonno, eternamente,
resteremo svegli, e la morte non sarà più,
sarai Tu a morire.
Chi è amato non conosce morte di Emily Dickinson (1830-1886)
Chi è amato non conosce morte,
perché l’amore è immortalità,
o meglio, è sostanza divina.
Chi ama non conosce morte,
perché l’amore fa rinascere la vita
nella divinità.
Il tempo dei vivi e dei morti
Il tempo passa ma non invecchia i morti e i vivi finiscono per superarli in età. I versi del poeta milanese che seguono non sono un gioco con il tempo e le parole, ma sembrano piuttosto alludere alla relatività del tempo rispetto all’eternità.
I morti non invecchiano di Arnaldo Beccaria (1904-1972),
I morti non invecchiano
nel tempo congelato delle tombe.
Sono i vivi che invecchiano:
raggiungono e sorpassano
l’età dei propri morti;
sì che il figlio è più adulto di suo padre,
è, per età, fratello di sua madre.
“La distanza più breve fra due punti
è quella che li unisce
con una linea retta”,
i morti sanno questa Geometria.
Immoti nella loro età perenne,
li vedono invecchiare
ora per ora i vivi,
andando senza posa,
quand’anche abbiano l’aria d’ignorarlo,
verso di loro. Sanno che dovunque
essi vadano, i vivi, che qualunque
cosa essi facciano,
sempre, a ogni momento,
la distanza fra essi e loro è quella
che congiunge i due punti
con una linea retta.
La morte è un’assenza
Diversi componimenti alludono all’assenza dei cari, che non sono andati via ma semplicemente si sono spostati in un altro luogo. Sono versi dove risuona forte la speranza.
La morte non è niente di Henry Scott Holland (1847-1918)
La morte non è niente. Non conta.
Io me ne sono solo andato nella stanza accanto.
Non è successo nulla.
Tutto resta esattamente come era.
Io sono io e tu sei tu
e la vita passata che abbiamo vissuto così bene insieme è immutata, intatta.
Quello che eravamo prima l'uno per l'altro lo siamo ancora.
Chiamami con il vecchio nome familiare.
Parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce,
Non assumere un'aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Gioca, sorridi, pensa a me e prega per me.
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima.
Pronuncialo senza la minima traccia d'ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto.
È la stessa di prima,
C'è una continuità che non si spezza.
Cos'è questa morte se non un incidente insignificante?
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri solo perché sono fuori dalla tua vista?
Ti sto solo aspettando, per un intervallo,
da qualche parte molto vicino,
appena dietro l'angolo.
Va tutto bene.
Nulla è ferito; nulla è perduto.
Un breve momento e tutto sarà come prima.
E come rideremo dei problemi della separazione quando ci incontreremo di nuovo!
La morte è la curva della strada di Fernando Pessoa (1888-1935)
La morte è la curva della strada,
morire è solo non essere visto.
Se ascolto, sento i tuoi passi
esistere come io esisto.
La terra è fatta di cielo.
Non ha nido la menzogna.
Mai nessuno s’è smarrito.
Tutto è verità e passaggio.
La morte non è una luce che si spegne di Rabindranath Tagore (1861-1941)
La morte non è
una luce che si spegne.
È mettere fuori la lampada
perché è arrivata l’alba.
La speranza del cristiano
Il cristiano non può conoscere disperazione. Come ha detto Papa Francesco, “la tristezza si mischia con la speranza (…) Col dolore, più o meno dolore, ma tutti. Però con il fiore della speranza, con quel filo forte che è ancorato aldilà. Ecco, quest’ancora non delude: la speranza della risurrezione”. E la speranza ricorre nella poesia cristiana e nei versi che seguono del padre gesuita Giacomo Perico, a torto attribuiti a sant’Agostino, dove è lo stesso amato defunto che ci esorta ad avere fiducia e ci lascia balenare la gioia che ci aspetta, se si ama. E ancora la preghiera di don Giussani che ammonisce, citando Laudario da Cortona, chi Troppo perde il tempo chi ben non t’ama.
A te che piangi i tuoi morti, ascolta di Giacomo Perico S.I (1911- 2000)
Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli
al confronto. Mi è rimasto l’affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.
Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!
Per i nostri morti di Don Luigi Giussani (1922-2005)
Avvenga di me secondo la tua parola.
Per i nostri morti
questo si è attuato definitivamente.
Essi sono nella dolce casa
per cui l'uomo nasce,
alla quale l'uomo è chiamato.
Adesso vedono il rapporto
che c'è fra quella dolce casa
definitiva ed eterna
e il segno fragile,
ma reale di essa,
che è la compagnia in cui sono vissuti.
E chiedono a noi,
dopo l'esperienza fatta,
di essere generosi, vigili, sensibili,
impegnati senza paura del sacrificio nel vivere
questo anticipo della dolce casa
a cui siamo incamminati.
Ci supplicano di poter dire
con maggiore verità quello che cantiamo sovente:
“Troppo perde il tempo chi ben non t'ama”.
Essi lo sanno.
Senza paragone più che prima.
E per questo ci incitano che
“avvenga di noi secondo la sua parola”.
Ci aiutano a dire l'Angelus
con profondità di attenzione,
come raramente ci avviene
per la distrazione che ci consuma.
Sconfiggere la morte
Infine, i versi del grande poeta e filosofo svizzero Hermann Hesse ci invitano ad avere il coraggio di abbandonarci a Dio. In questo modo sconfiggeremo la paura e la morte.
Si ha paura di migliaia di cose di Hermann Hesse (1877-1962)
Si ha paura di migliaia di cose,
del dolore, dei giudizi, del proprio cuore;
si ha paura del sonno, del risveglio,
paura della solitudine, del freddo,
della follia, della morte.
Specialmente di quest’ultima,
della morte.
Ma sono tutte maschere, travestimenti.
In realtà c’è una sola paura:
quella di lasciarsi cadere,
di fare quel passo verso l’ignoto
lontano da ogni certezza possibile …
c’è una sola arte, una sola dottrina,
un solo mistero:
lasciarsi cadere, non opporsi recalcitrando
alla volontà di Dio,
non aggrapparsi a niente,
né al bene né al male.
Allora si è redenti,
liberi dalla sofferenza,
liberi dalla paura.
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