Coronavirus: non lasciare solo chi muore nelle corsie d’ospedale
Marina Tomarro - Città del Vaticano
“Morire nella solitudine è una delle cose più terribili che possano accadere all’esistenza umana. In questa pandemia, tante sono state le persone che hanno dovuto affrontare tutto ciò, nella solitudine di un reparto, dove a causa di macchinari e respiratori il contatto umano è molto limitato”. Spiega così padre Guidalberto Bormolini, presidente di Tutto è vita onlus, l’esigenza di trovare una soluzione per rendere più umana la morte di chi si trova ricoverato nei reparti di terapia intensiva a causa del Covid-19.
La preparazione all’ultimo saluto
Proprio di fronte a tanta sofferenza nasce la necessità di cercare un percorso che esplori la possibilità di umanizzare l’accompagnamento di chi non ha più speranze di vita attraverso la vicinanza dei familiari, comunque nella tutela della salute pubblica, e tenendo conto della gravità della situazione sanitaria. “Accompagneremo i parenti dei malati con una preparazione sia tecnica che psicologica – sottolinea padre Bormolini – infatti da una parte è necessario spiegare loro come muoversi e quali precauzioni adottare, dall’altra bisogna aiutarli a gestire le loro emozioni quando vedono il loro caro e quindi abbiamo una rete di volontari che ci aiutano proprio in questo non facile compito”.
Un amore che va oltre la morte
Al momento è stato già individuato l’ospedale dove provare questa strada per dare una nuova umanità alla morte. “La mia vicinanza a queste persone – continua padre Guidalberto – vuole esprimersi soprattutto nell'aiutarli a capire che con la morte non finisce tutto, ma c’è la possibilità di un oltre, che la relazione con chi lascia questa terra, può essere mantenuta. E le lacrime di chi resta, sono lacrime che possono irrigare questa vita nuova, e dare una nuova speranza a chi deve salutare per l’ultima volta una persona cara”.
Non dimenticarsi degli operatori sanitari
E a causa del forte aumento dei contagi, la Toscana da ieri è diventata zona rossa, con negozi, bar e ristoranti chiusi e l’ordinanza che impone di uscire di casa solo per motivazioni di comprovata necessità. “Per quello che riesco - dice padre Bormolini - cerco di rimanere in contatto, anche se da remoto, con le persone colpite dal Covid, e di seguirle nella malattia. In questo momento però è necessario anche dare un forte supporto ai tanti operatori sanitari, che stanno lavorando senza sosta negli ospedali, per gestire la difficile situazione il meglio possibile. Dobbiamo prenderci cura di queste persone, sono l’altro lato della medaglia di chi è malato e ha bisogno di loro. Impariamo ad avere riguardo l’uno dell’altro, siamo tutti collegati, e solo curandoci reciprocamente possiamo considerarci umani”.
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