Zamagni: "Riscoprire l’economia civile fondata dai francescani"
Federico Piana – Città del Vaticano
“Un appuntamento straordinario, senza precedenti in più di duemila anni di vita della Chiesa”. Stefano Zamagni, docente di Economia e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, presenta così ‘Economy of Francesco’, l’evento internazionale voluto dal Papa per indicare al mondo la necessità di intraprendere un processo di cambiamento globale sul fronte finanziario e sociale. L’iniziativa si svolgerà dal 19 al 21 novembre prossimi in forma virtuale e vedrà la partecipazione di oltre duemila giovani economisti ed imprenditori che si confronteranno su lavoro, etica, finanza ed intelligenza artificiale. “Lo spirito con cui si aprirà questo incontro è quello della speranza perché ormai i tempi sono maturi per far comprendere a tutti- anche a quelli che fino ad ora non hanno voluto capire- che il modo attuale di fare economia non regge più e sta generando seri rischi” afferma Zamagni.
Quali sono le strade per evitare questi rischi che verranno prese in considerazione in questo evento?
R. - Bisogna, per prima cosa, cambiare le regole di funzionamento dei mercati perché essi senza nuove regole diventano delle giungle dove vince necessariamente il più forte. Ma, alla fine, anche il più forte, rimasto da solo, è destinato alla scomparsa. Poi, occorre porre rimedio all’aumento endemico e sistemico delle diseguaglianze. Non è possibile chiudere gli occhi davanti ad un meccanismo economico che aumenta il benessere totale ma che, contemporaneamente, fa ampliare le distanze tra i gruppi sociali e le Nazioni. Terzo, dobbiamo invertire il nesso che ora c’è tra democrazia e mercato, cioè tra economia e politica. Oggi tutti sanno che la politica è al servizio dell’economia: questa non è una cosa ovvia. Come già gli economisti Adam Smith, John Stuart Mill ed Antonio Genovesi hanno scritto in passato, l’economia deve essere al servizio della politica, non viceversa.
Oggi però non è così. La rivoluzione digitale ha contribuito a sovvertire questo rapporto tra democrazia e mercato?
R. - La rivoluzione digitale e la globalizzazione hanno determinato una concentrazione di potere economico-finanziario che destabilizza i mercati stessi e crea forti diseguaglianze. Inoltre, c’è da aggiungere che la sostenibilità della quale tutti parlano non può essere riferita solo ai fenomeni dell’inquinamento ma deve tenere conto della centralità dell’umano. In altre parole, non basta la sostenibilità energetica, economica e sociale ma si deve prestare anche la dovuta attenzione alla sostenibilità antropologica.
Secondo lei, quali saranno le proposte che emergeranno nei tre giorni di confronto tra i giovani economisti ed imprenditori di tutto il mondo?
R. - La proposta principale è quella di tornare alle origini. L’economia di mercato nasce in Toscana tra il 1400 ed il 1500, il secolo dell’Umanesimo, all’interno della corrente di pensiero francescana. Sono stati i francescani a crearla ma con un obiettivo: il bene comune. E’ a partire, però, dal 1600 che l’economia di mercato diventa di tipo capitalistico cambiando l’obiettivo che non è più il bene comune ma si trasforma nel ‘bene totale’ . Allora, mostrare cos’è accaduto a causa di questa distorsione di pensiero è l’obiettivo principale. E’ dalla cultura che bisogna partire: se nelle nostre università, nei nostri luoghi di ricerca, continuiamo ad insegnare solo il paradigma dell’economia politica che si afferma nel 1700 e trascuriamo il paradigma dell’economia civile che nasce appunto nel 1400 non ne verremo mai fuori.
Si proporrà di riscrivere le regole della finanza?
R. - Completamente. Oggi la finanza non può andare avanti così. La finanza è nata per servire lo sviluppo reale ma oggi essa è diventata auto-referenziale e fine a se stessa: si gioca in borsa non per portare credito a chi ne ha bisogno ma per alimentare rendite di tipo speculativo.
Altre proposte che potrebbero emergere da questo incontro?
R. - Per esempio, cambiare l’organizzazione del lavoro all’interno delle imprese. Non è possibile continuare con un’ organizzazione del lavoro di tipo tayloristico. Perché il taylorismo – che ha avuto grandi risultati sotto il profilo strettamente tecnico ed economico – oggi è l’impedimento principale per realizzare quello che Giovanni Paolo II aveva chiamato ‘il lavoro decente’. Fu una bella intuizione quella del Papa Santo: il lavoro non deve essere solo giusto ma deve essere anche decente. Cosa vuol dire? Vuol dire che deve essere un lavoro che non umilia: io posso farti lavorare, pagarti anche bene, ma posso umiliarti. Cosa che oggi accade spesso. E quando c’è l’umiliazione? Quando non consento alla persona di sviluppare il proprio potenziale di vita. Altre proposte, poi, saranno legate alla cancellazione delle discriminazioni di vario tipo, a cominciare da quella tra uomo e donna, e al cambiamento dei nostri stili di vita.
Ci si occuperà anche di scuola ed università?
R. - Certamente. La scuola e l’università devono tornare ad essere luoghi di educazione. Questo è un punto su cui Papa Francesco è tornato il 15 ottobre scorso con il Patto globale sull’educazione. Il comparto scolastico, purtroppo, è diventato solo luogo d’istruzione: il termine greco scholè indica, in primis, un luogo di educazione e secondariamente d’istruzione, lo diceva Aristotele. Se la scuola non tornerà ad essere un luogo di educazione è ovvio che le virtù non potranno essere diffuse.
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