Etiopia: l’appello dei vescovi per la pace nella regione del Tigrè
Lisa Zengarini – Città del Vaticano
Un pressante appello alle parti perché risolvano le loro divergenze in modo amichevole con uno spirito di “rispetto e fiducia reciproca” è stato lanciato il 4 novembre dal Segretariato cattolico etiopico (ECS), mentre nel Paese riprendono a soffiare venti di guerra civile, dopo la decisione del premier etiopico Abiy Ahmed di dichiarare lo Stato di emergenza nella regione del Tigrè e di lanciare un’offensiva militare.
Tensioni che vengono da lontano
I rapporti tra Addis Abeba e Macallè, capitale della regione, sono tesi dall’insediamento al governo di Abiy, il 2 aprile 2018, ma la situazione si è rapidamente deteriorata nelle ultime settimane, precipitando in questi giorni dopo che le forze fedeli al Fronte popolare di liberazione del Tigray(Tplf) hanno occupato una base militare. All’origine delle tensioni le rivendicazioni del Tplf che, dopo avere controllato il potere per quasi trent’anni è stato di fatto esautorato dal nuovo premier di etnia oromo. Esse hanno visto un’escalation a settembre, quando il governo regionale ha organizzato le elezioni parlamentari previste ad agosto, nonostante le decisioni di Asmara di posticiparle a causa dell’emergenza sanitaria del Covid-19. Da allora si sono susseguiti attacchi armati con diverse vittime fino all’azione di forza di questi giorni da cui è scaturito l’annuncio dello stato di emergenza e del lancio di operazioni militari contro il Tigrè.
Le voci inascoltate
A nulla sono serviti gli interventi dei leader religiosi per fermare l’escalation, come evidenzia la dichiarazione firmata dal cardinale Berhaneyesus Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba, che ammonisce sulle conseguenze di un nuovo conflitto armato nel Paese, uscito nel 2000 da una sanguinosa guerra con la vicina Eritrea: “Se i fratelli si uccidono, l'Etiopia non guadagnerà nulla, ma è destinata al fallimento e non gioverà a nessuno”, si legge nella dichiarazione citata dall’agenzia Aciafrica. Di qui l’appello agli etiopi a "non sottovalutare il conflitto" in atto e a “contribuire alla causa della riconciliazione, a rafforzare l'unità e a garantire la pace e la sicurezza". "La priorità del nostro Paese è difendere lo Stato di diritto", sottolineano i vescovi, aggiungendo che il “governo ha la responsabilità nel garantire che vengano prese tutte le misure perché non sia messa in pericolo la vita dei cittadini e del Paese". Ferma inoltre la condanna dei recenti attacchi che hanno causato diverse vittime e numerosi sfollati: “Nessuna ragione o obiettivo può giustificare uno spargimento di sangue”, affermano i vescovi. Infine, l’appello a tutti i cattolici “a seguire da vicino la situazione nel Paese” e a pregare insieme ai fedeli di tutte le altre religioni “per la pace e la riconciliazione”. Un nuovo conflitto armato in Etiopia rischia di compromettere i già precari equilibri della regione, dove Paesi come la vicinia Somalia e il Sud Sudan sono instabili da decenni, mentre continua ad incombere la minaccia terroristica. In gioco è, in particolare, il già difficile processo di pacificazione con l’Eritrea avviato dal premier Abiy dopo la sua salita al potere e per il quale nel 2019 ha anche vinto il Premio Nobel per la Pace.
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