Giornata dei poveri, don Armando: una vita donata a chi non ha voce
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“I poveri non hanno voce: se gli operai hanno i sindacati che organizzano la protesta e bloccano le attività, i poveri non hanno questo strumenti, non sono organizzati, vivono isolati e spesso rassegnati. E quindi credo che sia un dovere diventare portavoce e premere perché per loro ci siano soluzioni che abbiano un minimo di dignità umana e cristiana”. Don Armando Trevisiol, classe 1929, parroco di Mestre “in pensione” dal 2005, oggi rettore della chiesa del cimitero cittadino, è una delle voci, delle menti e anche delle braccia, più note e ascoltate nel campo della solidarietà nella Terraferma veneziana.
L’ultima battaglia: un letto per i senzatetto
La sua ultima battaglia, che conduce dal “foglietto” La Voce, nuova creatura di un prete-giornalista che ha fondato Radio Carpini San Marco nella sua parrocchia di Carpenedo, diventata poi nel 1997 la radio del patriarcato di Venezia, è per dare un letto ai senzatetto di Mestre. Nel cortile del Centro don Vecchi 2, una delle sette strutture per anziani che ha creato con l’aiuto di centinaia di benefattori e volontari, e dove vive dal 2005, pagando l’affitto per il suo miniappartamento come tutti gli altri ospiti, dove lo incontriamo, spiega che nel Comune di Venezia, “secondo gli assistenti sociali, ci sono 500 persone che vivono all'aperto”. Per loro non bastano i due euro a testa che don Armando dona alla fine della messa domenicale, nella chiesa di Santa Maria della Consolazione al cimitero, “e 150 euro li finisco tutti”.
La “predichetta” ai candidati sindaci di Venezia
E’ tragico, sottolinea, “vederli dormire su un cartone sotto i portici, ma io a 91 anni non ho più la forza per realizzare qualcosa". Allora “parlo, predico, insisto e mi auguro che prima o poi qualcuno ci pensi”. Alle recenti elezioni per il sindaco di Venezia a tutti i candidati che sono venuti a trovarlo, in via delle Rose 59, ha fatto la “predichetta”, dicendo “che sarebbe doveroso creare un ostello con almeno cento, duecento posti letto, facendo anche delle stanzette minime, da frati, dove la gente possa passare la notte, pagando un euro o due”. C’è qualcuno “che davvero mi cava il cuore”, si commuove, “gente che è stata malata, o che non è riuscita arrivare alla pensione, e per una stanza quello che domanda meno chiede 20 euro a notte, un costo notevolissimo, impossibile per chi o ha soltanto piccoli sussidi o poche risorse. E quindi sto spingendo l'opinione pubblica, non so se ci riuscirò, a prendere coscienza di questa realtà”.
I Centri don Vecchi, appartamenti per anziani nel bisogno
La forza per fare qualcosa per Mestre, per i suoi poveri, i suoi anziani e anche i suoi giovani, però a don Trevisiol, “figlio” spirituale di monsignor Valentino Vecchi, suo parroco a San Lorenzo, il duomo di Mestre, fino al 1971, e per 23 anni delegato patriarcale per la Terraferma, non è mai mancata. I sette Centri don Vecchi, intitolati a chi si è battuto per primo per creare una Chiesa mestrina, con 510 appartamenti a poco costo per gli anziani della città in condizioni economiche precarie (e ne abbiamo in programma un ottavo, ci dice, con 40 alloggi) sono solo la più nota delle sue realizzazioni. “Tutto è possibile a questo mondo” è il suo motto, basta “investire la vita, cogliere i problemi reali, e trovare soluzioni che li affrontino e diano risposte abbastanza esaurienti”.
L’ultimo libro: “Le mie esperienze pastorali. 1954-2020”
Don Armando lo ha fatto da quando è arrivato a Carpenedo, nel 1971, 42 enne parroco di prima nomina (e sarà la sua unica parrocchia, per 34 anni), e nel suo ultimo libro “Le mie esperienze pastorali: 1954-2020”, scritto durante il lockdown di primavera, descrive e commenta tutte le sue opere. A partire dal “Piavento”, la casupola alla quale dedica il primo paragrafo del capitolo “Soluzioni abitative per i poveri”. Dopo aver scoperto che su 5600 parrocchiani, mille erano anziani “che spesso vivevano soli” con misere pensioni, in appartamento in affitto “quando era appena stato abolito l’equo canone”, il giovane parroco ristruttura una villetta di proprietà della parrocchia, già abitata da 8 anziane, “ma con un solo bagno, e all’esterno”, e ne ricava sei minialloggi indipendenti.
Non “case di riposo” ma “alloggi protetti” per anziani
Da questa prima idea nasceranno i Centri don Vecchi, complessi con una serie di “alloggi protetti” nei quali si pagano solo utenze e costi condominiali (circa 200 euro al mese), dove l’anziano può gestire la propria vita in completa autonomia fino alla fine, rimanendo protagonista del suo tempo, con una sala da pranzo comune se non si vuole cucinare nel proprio appartamento, bar, parrucchiera, ambulatorio, sala da lavoro e altri spazi comuni.
La “bottega solidale”: cibo in scadenza per i poveri
La filosofia di “tentare di fare delle cose che rispondessero ad esigenze concrete”, prosegue don Trevisiol, ha ispirato anche la nascita della “bottega solidale”, in un piccolo chiosco tra la canonica e la chiesa di Carpenedo che prima ospitava un negozio di fiori. Dalla difficoltà dei volontari della San Vincenzo parrocchiale di distribuire i generi alimentari, in scadenza o non deperibili, che supermercati e commercianti donavano, ha avuto l’idea di creare un luogo dove chi aveva bisogno potesse andare a ritirare di persona il cibo, facendo un’offerta simbolica, se ne aveva la possibilità, per coprire i costi di gestione.
I magazzini “San Martino” e “San Giuseppe”: vestiti e mobili
Da questo primo “negozio” dedicato solo agli alimenti in scadenza, don Armando e i suoi collaboratori volontari, ormai circa 160, hanno creato un vero e proprio “polo solidale”, forse il più grande del Triveneto, nei sotterranei del Centro don Vecchi 2. Allo spaccio solidale, trasferito dall’ex negozio di fiori, si sono aggiunti il chiosco di frutta e verdura, il banco alimentare, con alimenti offerti dalla Comunità europea, e i magazzini San Martino e San Giuseppe, dove si ritirano e si distribuiscono rispettivamente vestiti usati o rimanenze donate dai commercianti e mobili e arredo per la casa.
Nell’aprile 2021 apre l’”Ipermercato della solidarietà”
Ma l’interrato del don Vecchi 2 sta ormai stretto al “polo solidale”, anche per “tutti quei frigoriferi sotto i nostri piedi”, spiega don Trevisiol, che con l’ente solidale “Il Prossimo”, che gestisce tutta l’attività, ha acquistato un terreno nella zona di Arzeroni, che già ospita i don Vecchi 5, 6 e 7, dove ad aprile 2021 verrà inaugurato un “ipermercato solidale” di 3500 metri quadrati, sicuramente il più grande di Italia. Ora “il Prossimo” dispone di sei furgoni per la rapida gestione dei generi alimentari in scadenza, ma nascerà anche una rete di distribuzione per portare il cibo deperibile a mense e strutture caritative che ne avranno bisogno nel più breve tempo possibile, per evitare gli sprechi. “Non ci interessa essere i primi in Italia – chiarisce – ma dare una testimonianza che crea cultura, e cambia la mentalità della gente”.
“Malato della pietra?”: No, la fede si esprime anche in opere
Tutto questo attivismo ha attirato su don Armando non solo elogi e riconoscenza, ma anche la critica di chi lo definisce un costruttore-manager, oppure un sacerdote “malato della pietra”. “Sono convinto che un prete dev’essere un uomo di preghiera, di fede, di carità – ribatte l’anziano sacerdote - però credo che questo si esprima anche attraverso le opere. Vedere 600-700 anziani che vivono in un ambiente pulito, sano, bello, e non hanno bisogno di andare a pietire né al Comune, né ai propri familiari, e che vivono una vita tranquilla e serena, credo che sia una testimonianza di carità cristiana autentica”.
“Tutto è possibile a questo mondo, basta investire la vita”
Nell’intervista integrale che segue, la prima domanda riguarda proprio il futuro e l’ipermercato solidale. Come è nata l’esigenza di creare una struttura così grande - chiediamo a don Armando Trevisiol - non erano sufficienti i magazzini che ci sono già?
R. - La vita è dinamica, per cui certe soluzioni che andavano bene nell’800, ora sono totalmente insignificanti. Oggi nel campo della carità, della solidarietà, abbiamo bisogno di soluzioni che risolvano, o che perlomeno affrontino i problemi e diano delle risposte abbastanza esaurienti. Una volta c'era l’“armadio del povero”, il pacco a Natale, cose certamente belle, adeguate per quel tempo. Oggi questo diventa una banalità. Quindi stiamo cercando, assieme a tanta altra gente, le soluzioni. Per cui, per esempio, oggi c’è in voga la teoria sociale del riciclo, ossia di recuperare le cose che altrimenti andrebbero buttate a vantaggio di chi non ha. In Italia si produce una quantità di cibo enorme, molto del quale va sprecato. Se noi recuperiamo questi generi alimentari e organizziamo la distribuzione, questo cibo che sarebbe veramente un peccato buttare via, che diventa un vantaggio per gli altri. Ma per farlo ci vuole un’organizzazione seria.
Noi da molto tempo abbiamo dei magazzini nell’ interrato di questo centro, il Don Vecchi 2, dove facciamo tutto questo. Sono circa 1200 metri quadrati. Abbiamo un magazzino che recupera mobili e li dà via, uno che recupera indumenti e li distribuisce, un reparto per le cose della Comunità europea, un altro che viene rifornito dal Banco alimentare di Verona e poi da vari supermercati che aderiscono a questa iniziativa. Abbiamo 6 furgoni e tutti i giorni andiamo in questi supermercati, per esempio la catena Alì, Cadoro, Despar, a prendere quello che loro stanno per buttar via perché hanno un giorno o due di scadenza e tentiamo di essere attrezzati per poterle distribuire a chi ha bisogno, nel brevissimo tempo prima della scadenza. Un po’ perché sono un pericolo tutti i frigoriferi che abbiamo, un po’ perché avremmo bisogno di un ambiente che sia adeguato a questo tipo di funzione, abbiamo comprato un terreno di 30 mila metri quadrati e ci sta lavorando un'impresa che tra poco metterà già il tetto. Pensiamo verso aprile-maggio di poter aprire questi magazzini e trasferire là tutta questa attività. Avremo a disposizione 3500 metri quadrati e ambienti che avranno il riscaldamento, il condizionamento, gli impianti antincendio. Insomma sono stati pensati per questo questa funzione.
Diventerà il primo e il più grande d'Italia, come struttura?
R. – E’ importante per la nostra città che ci sia questo strumento di diffusione e di aiuto al prossimo, però credo che la cultura, la mentalità che è in costante evoluzione, si alimenti soprattutto con le testimonianze. E una testimonianza di questo genere è importante. Ho visto che nel resto d’Italia ci sono questi empori, ma sono tutte cose abbastanza piccole, parziali, in cui si trova soltanto un genere di prodotti. Noi vorremo avere il ventaglio di risposta a tutte le attese, evidentemente sempre nei limiti della carità, per cui certamente non abbiamo a disposizione quello che c’è nei grandi ipermercati. Però già oggi, qui nell’interrato, abbiamo un magazzino di vestiti così ampio che credo che pochi supermercati a Mestre abbiamo tanta merce in esposizione.
I Centri don Vecchi arrivati a 7, Villa Flangini, la Malga dei faggi, il foyer San Benedetto… nel suo ultimo libro ha scritto che è importante “aiutare il prossimo in difficoltà anche attraverso le pietre”. Perché questo?
R. - Perché queste sono le nuove povertà. Arrivato nella parrocchia di Carpenedo nel 1971 dalla prima visita alle famiglie ho scoperto che su 5600 abitanti c'erano 1000 anziani che vivevano spesso soli. In quel tempo poi era stato abolito l’equo canone, per cui avendo pensioni molto piccole si sono trovati in estremo disagio. Quindi ho immaginato che era necessario e opportuno dare una testimonianza, anche per premere sulla società civile, che affrontasse questo problema. E’ nato così il primo Centro don Vecchi. L’idea è nata da una situazione un po' particolare: in parrocchia avevamo una piccola casupola di 8 stanze, che un parroco di Carpenedo aveva lasciato ai tempi della scoperta dell'America. C’era uno statuto che prevedeva che si dovessero accettare “persone pie e di buoni costumi” e da quella struttura, senz’altro inadeguata, è nata l'idea di creare un ambiente in cui ci fossero degli appartamenti piccoli, ma adeguati a persone che sono in perdita di autonomia. Quindi con tutti i supporti che suppliscono a quello che viene a mancare con l’età. Così è nato il primo Centro don Vecchi con 57 appartamenti, quello nel quale siamo ora ne ha 138 e attualmente abbiamo 510 appartamenti in sette strutture e già c'è in programmazione un ottavo che prevede un’altra quarantina di alloggi.
Le altre strutture invece sono per tutte le altre fasce di età?
R. - Le altre strutture sono in rapporto alle esigenze. Per esempio Villa Flangini è una bellissima villa del 1700 ad Asolo, che è una delle zone più incantevoli del Veneto, il “paese dei cento orizzonti” diceva D'Annunzio. Ho pensato: perché tutti dovevano andare in vacanza e invece gli anziani poveri dovevano restare a casa a pigliarsi tutto il caldo? Abbiamo cercato finché abbiamo scoperto questa villa, che era abitata da un certo generale Rossi. Siamo riusciti a comprarla con l'aiuto di tanta gente, l'abbiamo restaurata, creando più di una cinquantina di stanze. Questa villa era stata costruita da un patrizio veneziano della famiglia dei Flangini, che rimasto vedovo giovanissimo, è diventato prete e poi vescovo di Venezia. Questo fabbricato, veramente molto bello, in un posto incantevole, l'abbiamo destinato alle vacanze delle persone anziane. Poi la utilizzavamo anche per mille altre cose, i ritiri per le prime comunioni, gli incontri. E ogni anno riuscivamo a portare in vacanza più di 400 anziani a prezzi sempre alla loro portata.
Poi ci sono la foresteria e il foyer San Benedetto…
Noi avevamo in parrocchia uno dei primi asili, forse il primo asilo di Mestre, fatto dal parroco di Carpenedo ancora nel 1910 o 1911. Era gestito dalle suore, che si sono ritirate poi per mancanza di vocazioni, e c’erano 12 stanze, gli appartamenti delle suore, che rimanevano libere. Ho pensato: perché non facciamo una specie di foresteria per impiegati, per gente che lavora, che insegna e viene da fuori, ai quali per l'affitto di un appartamento costerebbe troppo rispetto allo stipendio? Lo abbiamo fatto e l’abbiamo chiamata foresteria. L'altra struttura è nata quando noi a Mestre avevamo una celebrità nel campo dell'oculistica, il professor Rama e dal meridione salivano moltissime persone per la sostituzione del cristallino, operazione che un tempo era abbastanza difficile, accompagnate dai parenti. L’ammalato era in ospedale, ma chi l'accompagnava doveva pagare cifre impossibili per l'alloggio. Avevo letto che qualcosa del genere era stato fatto a Aviano, in Friuli, dove c'è un centro per la cura dei tumori. Quindi abbiamo comprato un appartamento, l'abbiamo ristrutturato e abbiamo fatto saltar fuori 11 posti letto e trovato una persona che lo gestiva. Attualmente è ancora in funzione, allora pagavano 10 mila lire a notte e quindi i parenti dei malati potevano affrontare tranquillamente questa somma.
Per i giovani c’è invece la Malga dei faggi…
Abbiamo sempre tentato di fare delle cose che rispondessero a esigenze concrete. Per i ragazzi, poi, perché ne avevamo molti in parrocchia, abbiamo comprato una vecchia casa, era un’osteria, in una collina vicino ad Agordo, a Gosaldo. L’abbiamo ristrutturata in maniera radicale ed è venuta fuori una bella casa di montagna, dove ospitavamo fino ad 80 ragazzi, ma adesso le nuove regole hanno ridotto di molto la capienza. Ma comunque la parrocchia ha questa struttura che da giugno a settembre inoltrato e poi anche ospita gruppi di ragazzi che fanno delle esperienze veramente splendide, con i nostri cappellani, dove la vita di gruppo, l'ambiente, le esperienze segneranno la loro vita anche per il futuro.
Questi sono i sogni e le imprese realizzate. Perché ha inserito, nel capitolo “i miei fallimenti” l’ostello per i senza tetto?
R. – Perché tra Venezia e Mestre, dicono le assistenti sociali, ci sono 500 persone che vivono all'aperto, i senzatetto. Io che celebro la Messa nella chiesa del cimitero do’ tutte le domeniche due euro a ciascuno e non mi bastano 100-150 euro. E’ povera gente: c’è gente che non ha testa, gente che è stata malata, o che ha avuto un passato tragico, oppure anche fannullona. Allora ho pensato che avremmo dovuto dare una risposta anche a queste tipo di emarginazione… vedere questa gente che dorme con cartone sotto i portici, mandati via un po' da tutti, è una cosa veramente tragica. Però in questo campo ci vuole un’assistenza notevole, perché non è che siano tutti degli angioletti, c’è anche gente rissosa, che si scontra. Questo discorso è venuto fuori nella mia tarda età, per cui non ho più la forza per realizzare qualcosa. Parlo, predico, insisto e mi auguro che prima o poi qualcuno ci pensi. Alle recenti elezioni per il sindaco di Venezia a tutti i candidati che sono venuti a trovarmi, ho fatto la “predichetta”, dicendo che sarebbe doveroso creare almeno altri cento, duecento posti letto, in un ambiente, magari fare delle stanzette minime, da frati, dove la gente potesse passare la notte, pagando un euro o due e riposare in pace. C’è qualcuno che davvero mi cava il cuore, per esempio gente che è stata malata, o che non è riuscita arrivare alla pensione. Veramente, è tragico perché adesso quello che domanda meno chiede 20 euro a notte, che costituisce veramente un costo notevolissimo, impossibile per chi o ha soltanto piccoli sussidi o ha poche risorse. E quindi sto spingendo l'opinione pubblica, non so se ci riuscirò, a prendere coscienza di questa realtà. Perché i poveri non hanno voce, sono senza voce. Mentre gli operai hanno i sindacati alle spalle, organizzano la protesta, condizionano l'attività commerciale, i poveri non hanno nessuno di questi strumenti. È difficilissimo organizzarli, sono tutti a sé stanti, molto spesso non hanno intelligenza e volontà, sono rassegnati alla loro vita e quindi credo che sia dovere, da parte di qualcuno, diventare portavoce e premere perché ci siano soluzioni che abbiano un minimo di dignità umana e cristiana.
Tutto questo fatto, non solo per i parrocchiani, ma per tutta Mestre…
R. - Mestre è un po’ una città satellite di Venezia, è nata in fretta, per avere alloggi per chi lavorava a Marghera che un tempo era un polo industriale enorme e quindi sono nate anche 32 parrocchie che danno risposte alle esigenze spirituali e religiose di questa gente. Ma ogni parrocchia è nata senza tradizione, senza passato. Per cui Mestre era una specie di arcipelago di piccole unità ognuna a sé stante. Monsignor Valentino Vecchi (delegato del Patriarca per la Terraferma, dal 1961 al 1984, n.d.r.) che era una persona intelligente, ha puntato a creare una comunità mestrina, una Chiesa mestrina. Ma non sempre la curia patriarcale ha recepito questo tipo di vedute, vivendo lontana, perché Venezia è una città per antonomasia isolata, tagliata fuori dal mondo, con una mentalità anche particolare. Ma monsignor Vecchi ha premuto con tutte le sue forze e quindi ha premuto contro tutte le sue forze e il patriarca lo ha fatto delegato patriarcale per la Terraferma e quindi io che gli sono stato accanto come collaboratore sono stato “infettato” da questa malattia, per cui ho sempre ritenuto che un prete, un parroco dovesse occuparsi dei propri parrocchiani, però ci sono mille problematiche che non si possono risolvere all'interno di una comunità parrocchiale. Per esempio: é quanto mai opportuno che ci sia un’assistenza spirituale per gli universitari, ma una parrocchia avrà 20-30-40 universitari, che non sono un bacino sufficiente per creare un gruppo. Ci sono realtà che hanno bisogno di un respiro cittadino, non soltanto parrocchiale e quindi da sempre ho pensato che io devo occuparmi di un campo specifico, però la mia attività deve essere inquadrata in una visione globale della città, in una comunità più vasta.
Ma tutto è possibile a questo mondo. basta investire la vita, buttarcisi dentro, cogliere problemi che sono problemi reali, non marginali alla vita, non secondari. Quando uno si ci butta dentro, non è che ci sia bisogno di grandissime capacità: la gente poi segue sempre quando c'è una testimonianza. Io ricordo una frase dell'onorevole Degan, che era un deputato di Venezia ed è stato poi anche ministro della Sanità, che giorno mi ha detto: “Sa, don Armando, i valori e le idee che passano sono quelle che hanno le gambe”. Io all’inizio sono rimasto stupito, non riuscivo a capire e poi mi ha spiegato che sono le idee che sono proposte mediante la vita, mediante l’esempio, mediante la testimonianza. Credo che quando uno si comporta così abbia sempre un qualche risultato. Non saranno sempre splendidi, ma qualche risultato positivo l’ottiene senz'altro.
In questo le è stato maestro monsignor Vecchi. Chi era per lei?
R. – Monsignor Vecchi, prima di diventare il mio parroco quando ero cappellano a San Lorenzo di Mestre, è stato mio insegnante di filosofia in seminario. Un uomo molto brillante, molto audace. Un uomo più preoccupato dell’avvenire, che a gestire il passato. E mi ha trasmesso questo tipo di valori che ho tentato di fare miei e ho tentato di spendere il mio tempo tenendo conto di questa dottrina, di questa impostazione mentale.
Però tutte queste realizzazioni le hanno anche attirato la critica di essere un po' “malato della pietra”, di essere un costruttore, un manager più che un prete. Cosa risponde?
R. – Si, ho avuto queste critiche. Per esempio, i commercianti mi hanno dato la tessera onoraria dei commercianti. L’organizzazione degli architetti, dei costruttori la stessa cosa. È vero che c'è un certo pensiero da parte dell'opinione pubblica religiosa, che prete dovrebbe essere un prete di chiesa. Io sono convinto che un prete dev’essere un uomo di preghiera, di riflessione, di carità. Però credo che questo si esprima anche attraverso le opere. Noi, per esempio, le dicevo, abbiamo quasi 600-700 anziani che vivono in un ambiente pulito, sano, bello. Non hanno bisogno di andare a pietire né al comune, né ai propri familiari, e che vivono una vita tranquilla e serena. Io credo che questa sia una testimonianza di carità cristiana autentica, per cui poi mi da’ grandi soddisfazioni perché alcuni dicono cose anche esagerate. “Ma lei don Armando è un campione, lei è la nostra forza, lei non deve morire”. Le vecchiette sono facili a queste cose qua, nel nostro ambiente veneziano un po' coccolo e che ha questa cordialità. Però queste cose mi fanno veramente felice, perché mi pare di aver giocato la pedina giusta, mi pare perlomeno. Non tutto sarà perfetto, ma questa è stata la mia logica.
Lei ha scritto che ha sempre cercato di far incontrare "la linea verticale con quella orizzontale". Ci spieghi...
Nel mio libro ho detto che il mio obiettivo è stato quello di far centro, far incontrare le due linee che secondo me ha la vita di un cristiano. Quella verticale è fatta dalla fede, dall’evangelizzazione, dalla preghiera, dalla riflessione, quella orizzontale è fatta dalla carità, dalla solidarietà, nelle forme adeguate all’ambiente, ai bisogni contingenti dell'uomo. Ma credo che se rinascessi fra 200 anni i discorsi che sto facendo adesso sarebbero totalmente superati. Per questo ho regalato al nostro patriarca questo mio ultimo libro, dicendo: “Guardi, io rappresento una generazione che ormai sta scomparendo, Le consegno il testimone per dirle che noi, quelli della mia generazione, siamo arrivati a questo. Da questo parte ora l'impegno, la corsa della nuova generazione di preti, che non sono tantissimi, ma un certo numero c’é, che porteranno avanti questi problemi, che li svilupperanno e li tradurranno in un linguaggio corrente.
Tutte queste esperienze, non sono chiaramente state possibili, lo scrive anche lei nel libro, da solo, ma c'è anche stato il grande contributo dei volontari laici. Ci sveli il segreto che le ha permesso di coinvolgere nelle sue imprese tante persone…
R. – Le racconto un episodio: il cardinale Cé, che era un uomo molto alla mano, un giorno mi ha detto, credo in maniera benevola: “Don Armando, non ti è mai passata l'idea di fondare un ordine religioso, una nuova congregazione?”. Quando io sarei stato tentato di chiuderne qualcuna, perché mi pare che ce ne siano tante di inutili, tante di ripetitive… No, non ho mai avuto questa tentazione. Però ho avuto la fortuna di avere sempre un grande numero di persone che sono state coinvolte. Qui noi al Centro Don Vecchi tra i magazzini e le altre attività, abbiamo più di 300 volontari che vengono. Proprio due giorni fa è morta una “ragazza”, in confronto a me, aveva 60 anni, che io avevo conosciuto fin da bambina ed è stata una cosa anche molto dolorosa. Le nipoti di questa signora, ragazze di vent'anni mi hanno detto: “Don Armando, lei che ha sempre bisogno di persone che l'aiutino, dica a nostro zio che si chiama Giordano Serena che adesso è andato in pensione ed è disponibile. Questo signore, un ingegnere, è venuto a trovarmi con un curriculum di amministratore delegato di tantissime società, ma si è messo a disposizione e adesso sarà il coordinatore de “il Prossimo”, l’associazione che controlla queste attività. Avere una persona di questo calibro che imposta i programmi è importantissimo. Ci stiamo incontrando per il progetto di questo nuovo ipermercato e lo faremo assieme, piano piano. E’ fondamentale avere qualcuno a cui far riferimento, che mette assieme le varie persone, perché in un gruppo notevole di persone ci sono le idee più diverse, anche più sballate. Ma se c’è un capo che ha carisma, che ha forza, che ha coraggio, riesce a coordinare e a sbloccare in maniera positiva queste energie.
Non mi ha detto il segreto però…
R. – Io credo che tra poco questo signore capirà che l’aiutare il prossimo attraverso i viveri in scadenza, sarà la cosa più importante del mondo. Io penso che è una cosa che è alla nostra portata, che possiamo fare e che secondo me dobbiamo fare. E dobbiamo anche a creare poi una rete nelle comunità cristiane in cui per esempio si possa veramente realizzarla appieno. Perché adesso ho capito che se mi portano, per esempio, quattro bancali di banane che scadono tra due giorni, tre bancali di yogurt che scadono, devo avere in questo pochissimo tempo la capacità di distribuirlo. Adesso noi riusciamo, quando ne abbiamo di più, a passare gli alimenti agli anziani dei nostri 500 appartamentini. Però questo non è più sufficiente per evitare gli sprechi e quindi cercheremo di creare una rete, in maniera tale che facciamo una telefonata alla Caritas, alle suore, ad altri ancora, perché ci aiutino in questo tipo di distribuzione di generi alimentari. In modo da arrivare, in maniera capillare, fino all'obiettivo finale.
Ci racconti qualche incontro nella sua lunga esperienza pastorale che conserva nel cuore…
R. - Un incontro che ho sempre presente, è quello con una vecchietta che ha fatto un'ora di anticamera, perché ero occupato, e poi è venuta dentro e mi ha detto: “Sa don Armando, ho deciso di darle un miliardo”. Io ho spalancato gli occhi. Era una vecchietta che aveva anche notevoli possibilità economiche. Ha fatto testamento e poi tornando da Czestochowa è morta improvvisamente. Un fratello ha tentato di invalidare il testamento che non era ben fatto, però ho recuperato tutto il miliardo. E con quello ho fatto molte di queste strutture per anziani. Per dirle che una persona che non abbiamo mai incontrato, mai conosciuto, che probabilmente mi aveva letto su qualche periodico, aveva capito che il suo intervento poteva essere utile. Poi le dicevo di questo l'ingegnere, che ha avuto un passato brillantissimo, che viene a mettersi a disposizione… Mi ha commosso veramente, una persona di questo genere, che non aveva mai frequentato il nostro ambiente, che si mette a disposizione, con la sua esperienza e le sue capacità, per realizzare un qualche cosa in questo campo, dove ha ammesso di non aver mai fatto nulla. Ha lavorato in tutti i settori, fuorché in quello della solidarietà. Ma io sono certo che avendo intelligenza, avendo capacità, farà veramente molto bene.
Il rapporto tra anziani e giovani è al centro del magistero di Papa Francesco. Devono incontrarsi, dice il Papa, per arricchirsi a vicenda, trasmettere le radici i sogni da parte degli anziani a che ora la forza per realizzarli, cioè i giovani. Lei come pastore ha seguito entrambi. E’ riuscito a farli incontrare?
R. – Credo che ai giovani dobbiamo offrire come un dono il pensiero cristiano, perché per me il prete è uno che deve innestare speranza, ottimismo, fiducia e credo che i ragazzi abbiano questa disponibilità ad accogliere. Poi queste sementi sbocceranno quando il Signore vuole. Folle di ragazzi a ogni turno andavano dalla Malga dei Faggi e ho avuto la fortuna di avere sempre bravissimi cappellani. Sono assolutamente certo che quello che loro hanno seminato in questo ambiente fantastico, particolarmente caro, in un alone di poesia, prima o poi viene fuori. Mi ricordo un discorso di Papa Giovanni XXIII che, parlando della Chiesa, diceva: “Voi ragazzi non siete coscienti di quale dono siano il Papa e i vescovi del nostro tempo”. Avendo conosciuto quello che è avvenuto nel passato, con lo Stato Pontificio, le alleanze, l’inquisizione, noi siamo i più fortunati di questo mondo. Mi duole soltanto, mi fa dispiacere e mi angoscia veramente il fatto che Papa Francesco abbia dei nemici, ci siano quelle forme di integralismo che si rifanno al passato, che non hanno nulla di cristiano. C’è qualcuno che pensa ancora alla Chiesa del passato, fatta spesso troppo anche di forza e di potere. A me piace infinitamente che ci sia veramente ormai una società che è evoluta che sia autonoma e su questa società noi dobbiamo seminare, ma non dobbiamo comandare o guidare.
Veniamo all’oggi: cosa è stata e cosa continua ad essere la pandemia per gli anziani sono qui nei Centri don Vecchi e per lei personalmente?
R. - Per me personalmente è accentuare la consapevolezza di essere vecchio, sto aspettando… ogni anno verso settembre, ottobre o novembre faccio l'influenza e quest'anno con l'influenza vorrà dire che avrò il supplemento del virus. Ha incupito l'ambiente: questo era un ambiente che cantava, che parlava, facevamo incontri promuovevamo concerti, la gente usciva per chiacchierare. Adesso la gente si è tutta rinchiusa, incupita. Veramente manca fortemente l'ebrezza della comunità, per cui ognuno se ne sta per conto suo, e come si mette la mascherina così si chiude nel suo appartamento, timorosa sempre di prendere questo virus. E’ stata veramente un flagello di Dio questa pandemia, che poi speravo che terminasse a presto, ma avremo ancora la croce da portare per parecchio tempo.
Avete avuto anche i vostri lutti, qui?
R. - Abbiamo avuto due casi: uno che era già malatissimo per vari motivi e poi in ospedale ha preso il virus e un altro invece che si è ammalato qui, ma se n'è andato in quattro e quattr'otto e ci hanno messo in quarantena, per 15 giorni. Ma qui da non è una casa di riposo, per cui ognuno ha la sua casa, il suo ambiente. La vita di comunità si è spenta, per cui anche se mangiamo ancora assieme, con tutte le distanze è una malinconia. Mentre prima c'era questa comunità più viva, più presente. Avevamo una situazione anche ambientale che facilitava il dialogo e il rapporto. Io mi auguro che poi rifiorisca un po' tutto, quando sarà passato questo momento difficile.
Rifiorire e tornare migliori? Cosa imparare da questa pandemia per uscirne migliori, come chiede anche il Papa?
R. - Io me lo auguro tanto, con questo tipo di idea che viene fuori dalle persone più belle, più fiduciose, più ricche di speranza. Me lo auguro proprio, ma non è che il comportamento di tanti giovani, questa frenesia assoluta, per esempio della spiaggia, del ballo, abbia aiutato, quest’estate. Non sono cose cattive, ma denotano che mancano altri valori, altre responsabilità e mi auguro che pian piano la gente capisca anche questo. Però io sono convinto che nostro Signore ci vuole bene e se talvolta ci tira le orecchie, lo fa perché capiamo che stiamo sbagliando, per cui facciamo la nostra infelicità. Vivere da cristiani seriamente vuol dire seguire la strada più facile, più comoda per essere felici, per vivere una vita bella e generosa. Io credo che il compito del sacerdote in questo campo sia un compito splendido e magnifico. Per questo ringrazio Dio di avermi fatto fare questo mestiere, chiamiamolo così.
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