Croce, crocifisso Croce, crocifisso

Messaggio della Cei alle comunità cristiane in tempo di pandemia

La Conferenza episcopale si rivolge ai componenti della Comunità cristiana cattolica, ai credenti di altre Confessioni cristiane e di tutte le religioni e alle donne e agli uomini di buona volontà: "La crisi sanitaria mondiale evidenzia nettamente che il nostro pianeta ospita un’unica grande famiglia". Poi, l'invito agli operatori della comunicazione: "continuiamo a testimoniare la risurrezione, camminando con la vita nuova che ci viene proprio dalla speranza cristiana"

Emanuela Campanile - Città del Vaticano

Il messaggio della Conferenza episcopale italiana arriva "nel pieno della nuova ondata planetaria di contagi da Covid-19" che sembra ulteriormente fiaccare un mondo smarrito e in crisi. Nella certezza delle parole di San Paolo: "lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera", i vescovi segnalano nuovamente la rotta che Papa Francesco non si stanca di tracciare:

"Le Chiese in Italia stanno dando il loro contributo per il bene dei territori, collaborando con tutte le Istituzioni, nella convinzione che l’emergenza richieda senso di responsabilità e di unità: confortati dal magistero di Papa Francesco, siamo certi che per il bene comune occorra continuare in questa linea di dialogo costante e serio".

Come sassi su cui poggiare il piede per poter arrivare sull'altra riva, i vescovi mettono a fuoco quattro punti fondamentali dando prima di tutto un nome a questo difficile tempo che l'umanità sta vivendo.

Un tempo di tribolazione

"Non possiamo nascondere di trovarci in un tempo di tribolazione", si legge nel messaggio che poi prosegue: "Dietro i numeri apparentemente anonimi e freddi dei contagi e dei decessi vi sono persone, con i loro volti feriti e gli animi sfigurati, bisognose di un calore umano che non può venire meno".

Il pensiero va poi "a chi si occupa della salute pubblica, al mondo del lavoro e a quello della scuola che attraversano una fase delicata e complessa", lasciando il passo alle parole di Francesco tratte dalla Laudato si', in cui il Pontefice sottolinea come sia "attuale la necessità impellente dell’umanesimo, che fa appello ai diversi saperi, anche quello economico, per una visione più integrale e integrante".

L'invito dei vescovi è a reagire perchè "Anche in questo momento la Parola di Dio ci chiama" a rimanere "saldi nella fede, fissando lo sguardo su Cristo (cfr. Eb 12,2) per non lasciarci influenzare o, persino, deprimere dagli eventi. Se anche non è possibile muoversi spediti, perché la corrente contraria è troppo impetuosa, impariamo a reagire con la virtù della fortezza".

Un tempo di preghiera

Nelle avveristà la preghiera può essere "sfogo" o "richiesta", affermano i vescovi facendo riferimento ai numerosi passi delle Scritture e del Vangelo in cui l'invocazione a Dio assume questi connotati. In particolare, l'invito è alla supplica per le famiglie poichè "il bene della società passa anzitutto attraverso" la loro "serenità". Da qui, l'auspicio della Cei "che le autorità civili le sostengano, con grande senso di responsabilità ed efficaci misure di vicinanza, e che le comunità cristiane sappiano riconoscerle come vere Chiese domestiche, esprimendo attenzione, sostegno, rispetto e solidarietà.

Un’unica grande famiglia

Nel terzo punto, i vescovi citano direttamente la recente Enciclica Fratelli Tutti, di Papa Francesco avvertendo del pericolo che "il si salvi chi può" si trasformi nel "tutti contro tutti":

"Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme".  

“È questo il migliore cattolicesimo italiano, radicato nella fede biblica e proiettato verso le periferie esistenziali, che certo non mancherà di chinarsi verso chi è nel bisogno, in unione con uomini e donne che vivono la solidarietà e la dedizione agli altri qualunque sia la loro appartenenza religiosa”

In tale contesto, proseguie il messaggio della Cei, i cristiani sono interpellati a portare anzitutto "il contributo della fraternità e dell’amore appresi alla scuola del Maestro di Nazareth, morto e risorto".

L'invito agli operatori della comunicazione

"Se i segni di morte balzano agli occhi - scrivono ancora i vescovi - e s’impongono attraverso i mezzi d’informazione, i segni di risurrezione sono spesso nascosti, ma reali ancor più di prima. Chi ha occhi per vedere può raccontare, infatti, d’innumerevoli gesti di dedizione e generosità, di solidarietà e amore, da parte di credenti e non credenti". "Al centro della nostra fede - si legge - c’è la Pasqua, cioè l’esperienza che la sofferenza e la morte non sono l’ultima parola, ma sono trasfigurate dalla risurrezione di Gesù. Ecco perché riteniamo che questo sia un tempo di speranza. Non possiamo ritirarci e aspettare tempi migliori, ma continuiamo a testimoniare la risurrezione, camminando con la vita nuova che ci viene proprio dalla speranza cristiana. Un invito, questo  - conclude la Cei - che rivolgiamo in modo particolare agli operatori della comunicazione: tutti insieme impegniamoci a dare ragione della speranza che è in noi"

Tempo di possibile rinascita sociale

Ultimo aspetto proposto e analizzato nel messaggio, fa riferimento alla prova di "un eccezionale risveglio di creatività" dimostrato in questo periodo da comunità, diocesi, parrocchie, istituti di vita consacrata, associazioni, movimenti e  singoli fedeli:

"Insieme a molte fatiche pastorali, sono emerse nuove forme di annuncio anche attraverso il mondo digitale, prassi adatte al tempo della crisi e non solo, azioni caritative e assistenziali più rispondenti alle povertà di ogni tipo: materiali, affettive, psicologiche, morali e spirituali".

La richiesta, o meglio, l'appello alle coscienze di ogni cristiano, contiene in sé tutta la speranza e vitalità di una nuova resurrezione:

"A ogni cristiano chiediamo un rinnovato impegno a favore della società lì dove è chiamato a operare, attraverso il proprio lavoro e le proprie responsabilità, e di non trascurare piccoli ma significativi gesti di amore, perché dalla carità passa la prima e vera testimonianza del Vangelo. È sulla concreta carità verso chi è affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato che tutti infatti verremo giudicati, come ci ricorda il Vangelo".

“Per noi conta testimoniare che l’unico tesoro che non è destinato a perire e che va comunicato alle generazioni future è l’amore, che deriva dalla fede nel Risorto. Noi crediamo che questo amore venga dall’alto e attiri in una fraternità universale ogni donna e ogni uomo di buona volontà.”

 

 

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24 novembre 2020, 12:00