Il cardinale Lojudice a Siena: un pastore con la passione per la città e la gente
Luca Collodi - Città del Vaticano
“Un carissimo saluto a tutta la Chiesa senese in un momento di grande emozione in cui il sentimento principale è quello del coinvolgimento di tutti voi. Ho sentito presente l’intera Chiesa diocesana nella Basilica di San Pietro, vicino al Papa, in questa missione comune di accompagnare e continuare ad annunciare il Regno di Dio in tutto il mondo a partire da noi, da Siena”. Sono le prime parole che il cardinale Augusto Paolo Lojudice ha inviato ai fedeli dell’Arciodiocesi di Siena, Colle Val D’Elsa, Montalcino al termine del Concistoro in San Pietro, sabato scorso.
“Credo che sia una responsabilità, sottolinea l'arcivescovo raggiunto a Siena al ritorno da Roma, che il Papa ci ha consegnato e che noi vogliamo accogliere con grande disponibilità e fiducia a partire da me fino a tutti voi, Popolo di Dio".
Eminenza, lei è prete “romano” che ha maturato la scelta del sacerdozio in una comunità del quartiere di Torre Maura. Cosa dice la sua nomina cardinalizia, oggi, alle periferie urbane, non solo di Roma?
R.- Di fatto, le periferie sono ambienti dove, almeno nelle grandi città, vive la maggior parte delle persone. Ci sono periferie urbanizzate, più vicine al centro o comunque la cui storia si è evoluta, migliorata. Ma ci sono periferie che restano, purtroppo, degradate anche oggi. La provvidenza, la storia che Dio costruisce con ciascuno di noi, è una storia che esula completamente dai luoghi, dagli ambienti. In maniera imprevedibile, si potrebbe dire, arriva dove vuole Lui.
Un tratto centrale del suo servizio, da prete e vescovo, è l'attenzione agli “ultimi”: lei, tra l'altro, è presidente dell’associazione “Dorean Dote” che si occupa di sostegno e accompagnamento ai bambini e ai loro genitori. Come si può dare speranza oggi alle famiglie in un tempo di disorientamento e di disagio spirituale e sociale?
R.- Secondo me l'unico modo e credo che sia anche un criterio pastorale che tutti i sacerdoti devono tenere un po’ presente altrimenti non funziona più nulla, è la vicinanza, la prossimità. Il fatto di essere vicini, di accompagnare le persone, vivendo soprattutto nella parrocchia che è il luogo potremmo dire quasi ideale, immediato, una porta aperta sulla strada, ma anche la possibilità di farsi presente nella vita delle persone. Ciò, stabilendo un'azione pastorale che non si limiti solo all'organizzazione interna, ovviamente legittima di promuovere iniziative, tenere gruppi, fare catechismo, ma che pensi ad avvicinare le persone là dove vivono. Non dico nulla di nuovo, è una sintesi del mio pensiero che in questi anni ho maturato come prete. Essere vicini provvidenzialmente è un dono della Grazia, magari nei momenti più difficili della vita che sono i momenti in cui ogni persona, quindi anche ogni famiglia, diventa in qualche modo disponibile ad una parola profonda, anche ad una dimensione spirituale della vita magari prima trascurata. Dal dolore, dalle sofferenze, possono nascere tante cose positive, esperienze buone. Bisogna però avere gli occhi aperti per intercettare questi momenti. Io lo facevo soprattutto nei funerali, che sono momenti tristi, cupi, ma che invece possono essere occasioni di incontro. E’ necessario mantenerci un po’ di tempo, da sacerdoti, da parroci, nell'arco della settimana , per queste situazioni più casuali. Capisco che è difficile, soprattutto nelle grandi parrocchie, magari è più facile nei piccoli paesi, però, credo che sia fondamentale perché altrimenti ci sfugge la realtà, ci sfugge gran parte della vita concreta delle persone che abbiamo vicino.
Lei oggi è arcivescovo di Siena con la sua storia maturata a Roma. Come sta condividendo questa esperienza con una città ricca di tradizione come Siena?
R.- Venendo da Roma ed essendoci vissuto, ho detto più volte come Roma sia un mondo. E’ una città dove c'è di tutto, storia, arte, la periferia estrema e il degrado. Dopo averci vissuto per 55 anni, credo che mi abbia offerto uno spaccato globale. Siena è qualcosa di tutto questo, di tutto quello che poteva essere Roma e devo dire che questa analogia mi sta aiutando. Certamente non ci sono le situazioni drammatiche che si trovano in una grande città come Roma da un punto di vista umano e sociale, però ci sono situazioni magari più nascoste, meno evidenti, dove l'umanità è quella, dovunque essa sia, anche se si confronta con altri tipologie di esperienze, anche di storie e tradizioni come Siena. Per me è un'occasione, una sfida, qualcosa di stimolante che mi arricchisce con tante idee, anche perché, come in ognuna delle realtà dove ho vissuto, mi sono calato nella vita senese fin dal primo giorno. Come dire, mi sto appassionando alla dimensione “Siena”, che è un quarto della diocesi. Gli altri tre quarti sono realtà diverse, piccoli centri, paesi. L’importante è guardare, capire, immergersi, promuovere, fare in modo che quello che c'è non resti chiuso dentro, e questo magari potrebbe essere un rischio per una città come Siena di tenersi un po' stretta la sua storia. Sto cercando di sottolineare la dimensione dell'apertura, del gettare ponti, come usiamo dire spesso in questo periodo, di fare in modo che le nostre ricchezze siano messe in gioco non solo per viverle ma anche per trasformarle in occasione di riflessione, di stimolo, di arricchimento per altri fuori dai confini e dalle mura della città.
La Toscana è una terra ricca di cultura. A Siena, il Palio rappresenta una forte tradizione storica mista a religiosità popolare e ad un forte senso di comunità. Cosa rappresenta per la pastorale della Chiesa locale?
R.- Conoscevo il Palio, come penso la maggior parte delle persone, per le immagini televisive che vengono trasmesse nelle due giornate in cui si festeggia il 2 luglio e il 16 agosto. Sto scoprendo che il Palio a Siena non è il Palio di quei due giorni ma una vita di contrada che io, sinceramente, non avevo mai visto da nessuna parte e che credo, ma non voglio essere generico, che non esista in nessun altro luogo d'Italia. Manifestazioni anche di profonda tradizione e folklore ce ne sono in tanti luoghi, però una vita di contrada fatta in questo modo, dove tutti i giorni fai parte di quella parte di città , che di fatto è la tua comunità, il luogo dell'incontro con i tuoi amici, con le persone che frequenti, ragazzi, bambini, giovani, adulti e anziani, e anche la parte di contrada che si occupa di carità e di solidarietà, tutto questo è veramente molto interessante. E’ una struttura societaria che, secondo me, può dare molto e di fatto percepisco che dia molto anche al tessuto cittadino, in generale. Offre un notevole contributo, un aiuto, perché è un osservatorio costante sulle problematiche giovanili, sulle problematiche sociali. Sto capendo che è una dimensione molto buona, bella e significativa. Addirittura a volte penso che potrebbe essere esportata e proposta come vita anche ad altri paesi. Potrebbero trarne un grande beneficio.
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