La fede in Corea del Sud e l'occasione speciale del Giubileo
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Con il patrocinio dell’Unesco, domenica 29 novembre si sono aperte le celebrazioni del Giubileo indetto dalla Chiesa in Corea del Sud per il bicentenario della nascita di Andrea Kim Tae-gŏn (1821-1846), primo prete cattolico coreano, decapitato a Seoul il 16 settembre 1846 nel corso dell’ondata di persecuzioni lanciate dalla dinastia Joseon. Sant’Andrea è uno dei 103 martiri coreani canonizzati il 6 maggio 1984 da san Giovanni Paolo II. Guida e simbolo della fede vissuta nella carità e nella fratellanza, sant’Andrea ispirerà — ci spiega il vescovo Lazzaro You Heung-sik, alla guida della diocesi coreana di Daejeon e responsabile dell’organizzazione del Giubileo — questo anno di grazia che terminerà il 27 novembre 2021 (ultimo giorno del calendario liturgico):
R.- Il bicentenario della nascita di Sant’Andrea Kim Taegon è un’occasione propizia per la crescita spirituale della Chiesa in Corea. Nella famiglia in cui è nato e in 4 generazioni, ben 11 membri hanno versato il loro sangue per il Signore, e tra questi 5 vi sono alcuni beatificati e altri già canonizzati. Pertanto, questo Giubileo darà a tutti noi l’opportuna per interiorizzare la spiritualità del martirio, che è la linfa vitale della Chiesa in Corea, meditando con profondità la vita dei Martiri.
Ci sarà un filo conduttore una parola chiave del vostro Giubileo?
R.- In una delle epistole scritte in prigione da sant’Andrea Kim, si legge un dialogo tenuto tra il santo e un funzionario che lo interrogò dicendo: “Sei cattolico?” e Lui rispose: “Sì, sono cattolico” e per questo dovette sacrificare la sua vita. Per i nostri martiri la fede era il valore più importante. La Conferenza episcopale coreana, nel preparare tale anno di speciale grazia, ha voluto prendere in considerazione proprio la domanda di quel funzionario, come forte monito a tutti noi cristiani d’oggi. Nella società coreana, solo l’11% della popolazione è cattolica, mentre più della metà si dichiara “senza religione.” La domanda ci interpella allora a riflettere seriamente sulla nostra identità e sulla nostra coerenza in quanto “fedeli-cattolici.”
Il Giubileo cade nel tempo difficile della pandemia che limita spazi, movimenti, scambi. Come avete pensato di conciliare questo con i vostri progetti?
R.- Credo che sia provvidenziale celebrare il Giubileo nella situazione attuale della crisi sanitaria mondiale, perché gli esempi dei Santi Martiri ci spronano a relativizzare i valori effimeri che ci soffocano e vivere invece rettamente il comandamento dell’amore: fede in Dio e prossimità verso il fratello. Il popolo di Dio in Daejeon comprende bene che la vera fede ci porta ad aprire il cuore e a sperimentare come il Maestro, la compassione, offrendo noi stessi con amore. I veri cristiani non si risparmiano nella carità e non a parole ma con i fatti. In modo concreto, la comunità diocesana ha avviato un programma di aiuto umanitario, “invio del vaccino anti-Covid-19”, a sostegno dei nostri fratelli della Corea del Nord. Purtroppo, la nostra agenda è stata modificata, tuttavia abbiamo introdotto alcuni programmi online per promuovere la spiritualità di sant’Andrea Kim, anche se si è coscienti che queste nuove forme di prossimità, non hanno lo stesso effetto degli incontri diretti, ma sono un valido strumento per fermarsi e dare più attenzione a sé stessi. Con preoccupazione la Chiesa affronta le sfide che sempre più emergono nella società coreana, alle prese con l’individualismo, materialismo e competizione; sono queste le nuove forme di vita che i nostri giovani assumono, perdendo il senso della fede ed allontanandosi dai valori propri della nostra cultura.
Sant'Andrea è il primo sacerdote coreano e martire del Paese: cosa rappresenta per la vostra Chiesa e cosa insegna a voi sacerdoti?
R.- Nella preparazione del Giubileo, ho sempre pregato e desiderato che questo evento ecclesiale divenisse il tempo per la conversione evangelica, spirituale e pastorale dei sacerdoti coreani, i quali, a mio sommesso parere, hanno bisogno di riscoprire la passione per l’evangelizzazione. Mi dispiace rilevare gli impatti negativi del clericalismo che ha preso piede nella Chiesa in Corea, se si considera che se oggi noi siamo qui lo dobbiamo proprio alla fede e alle attività dei fedeli laici, in questo senso la nostra Chiesa è un unicum. Purtroppo, bisogna constatare che il materialismo e la secolarizzazione, non hanno risparmiato i nostri sacerdoti. Come ci ha detto il Santo Padre nel corso dell’omelia tenuta durante il Concistoro ,“la strada di Gesù e quella del mondo sono inconciliabili. Prego, affinché attraverso la grazia di quest’anno Giubilare e la protezione di Sant’Andrea Kim, i sacerdoti coreani ritrovino la gioia nel camminare sulla strada di Cristo, vivendo una vita più coerente, povera di mondanità e ricca di valori evangelici.
L’Unesco, durante la 40.ma Conferenza generale, ha concesso il riconoscimento del patrocinio alle celebrazioni della nascita di Sant’Andrea Kim per il 2021: qual è l’importanza di questo riconoscimento?
R. - L’Unesco ha concesso il patrocinio per gli eventi celebrativi per il bicentenario della nascita di Sant’Andrea Kim per il 2021, perché ha riconosciuto la grande eredità umana e culturale che il nostro Santo ha lasciato, un patrimonio oserei dire non solo per la chiesa in Corea, ma anche per il mondo. Sant’Andrea Kim è stato un instancabile sostenitore dei diritti umani, insegnò che tutte le persone sono preziosi figli e figlie di Dio, sia coloro che appartenevano alle classi sociali alte sia a quelle più basse nel sistema delle caste dell’epoca. Per una società, in cui il Neo-Confucianesimo governava in modo dittatoriale, tale insegnamento era percepito come una rivoluzione sociale dai coreani. Così, sant’Andrea Kim fu uno dei principali protagonisti che introdussero il valore universale dell’umanità ai coreani.
Oggi, si afferma che tutti godiamo degli stessi diritti garantiti dalla Costituzione e dalle Leggi statali. Però oggigiorno si percepisce con dispiacere che non tutti i coreani nutrono interesse a vivere veramente in una società stabile e riconciliata, in armonia tra di noi. Com’è noto, la Penisola coreana è divisa ormai da 70 anni e la zona demilitarizzata (DMZ) rimane ironicamente come la zona più militarizzata del mondo. Il divario tra ricchi e poveri, l'incomprensione tra le generazioni, il campanilismo, la polarizzazione nella politica, la lotta di genere, sono preoccupanti fenomeni che si stanno dilagando di giorno in giorno. Il diffuso mammonismo, i giovani che non desiderano sposarsi, la denatalità e l’emarginazione sociale, sono le nuove frontiere della nostra nazione. Noi come Chiesa abbiamo il dovere di interrogarci quale sia la nostra missione oggi, come affrontare i sopra elencati mali che stanno ormai mutando la vita delle nuove generazioni. Quindi, direi che i valori umani e spirituali di cui sant’Andrea Kim è stato profeta e difensore nei tempi difficili della Corea, vanno recuperati e soprattutto riproposti, se vogliamo realmente promuovere la vera prosperità del popolo coreano d’oggi e per il futuro.
Il Giubileo è inziato nel momento in cui è terminato l’anno dedicato alla preghiera per la pace nelle Coree. Cosa ci dicono sant’Andrea Kim e i compagni Martiri sul tema della “fratellanza”?
R. - I Martiri coreani vissero l’amore fraterno di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli, come sottolineato pure nella recente Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”. Durante la violenta persecuzione, essi vissero in povertà assoluta, ma non mancarono di condividere quel poco che avevano per il bene degli altri. Di conseguenza, a nessuno mancava quel poco per sopravvivere. I Martiri, dunque, diedero per primi l’esempio nel ritenere che il vero amore fraterno non si basa sulla ricchezza materiale, ma pone le sue radici in un cuore aperto alla condivisione di tutto ciò che si possiede con gli altri. Questo atteggiamento cristiano ci suggerisce con quale spirito dobbiamo aiutare i nostri fratelli della Corea del Nord; tuttavia, vi sono alcuni tra i coreani che non sono d’accordo con la proposta di aiutare i nostri vicini del Nord, ritenendo piuttosto utile usare la forza per metterli in ginocchio per ristabilire la pace nella Penisola. Al di là di questo atteggiamento piuttosto umano, sono convinto che i discepoli di Gesù siano coloro che credono più nel potere dell’amore che in quello della forza. Naturalmente, non va trascurata la prudenza nei passi da compiere; se diciamo che possiamo aiutarli solo se alcune condizioni saranno soddisfatte, perderemo l’opportunità di mettere in pratica l’amore.
Sul luogo di nascita di sant’Andrea Kim, il Santuario di Solmeo, tappa della visita del Papa e dell’incontro con i giovani, il Giubileo vedrà la realizzazione di un Centro pastorale dedicato al Bicentenario, con una capienza di oltre 3.000 persone dove il 18 dicembre ci sarà l’ordinazione diaconale di 10 seminaristi: sarà uno spazio per crescere nella fede?
R. - Il Centro Pastorale, costruito sul luogo dove Papa Francesco ha incontrato i giovani dell’Asia nel 2014, ha due finalità: la prima di essere un luogo d’incontro per i fedeli della Comunità cattolica in Corea; la seconda, aiutare la società locale a promuovere i valori che sant’Andrea Kim ci ha lasciato in eredità. Dopo la visita apostolica del Papa, non solo i fedeli-cattolici, ma anche molti non-cristiani hanno iniziato a visitare il Santuario di Solmeo. Il Centro pastorale in parola sarà aperto anche a questi visitatori non-cristiani nella speranza che essi possano sperimentare la bellezza della nostra fede ed avvicinarsi alla vita di sant’Andrea Kim.
Ad Haemi invece, luogo dove vennero uccisi la maggior parte dei martiri in Corea e dove il Papa ha incontrato i vescovi dell’Asia e ha chiuso la Sesta Giornata Asiatica della Gioventù, avete pensato con il Giubileo di creare uno spazio solo per i giovani, intitolato “Wake-up Center”, pronto ad accogliere più di 150 persone. Perché questa intitolazione e cosa volete che rappresenti per la gioventù dell’Asia? C’è bisogno di attrarre i giovani alla fede in Corea?
R. - L’Asia è un continente molto vasto e dinamico. I giovani che vivono in questo continente stanno sperimentando i rapidi cambiamenti dal punto di vista economico, sociale e culturale, e questi mutamenti portano non solo degli effetti positivi, ma anche negativi. La concorrenza spietata, il divario crescente tra ricchi e poveri e l’invasione del relativismo morale confondono i nostri giovani di oggi. Pertanto, ho voluto chiamare il Centro pastorale dedicato ai giovani dell’Asia “Wake up”, le stesse parole che Papa Francesco rivolse ai giovani asiatici nel 2014. Il mio auspicio è che i giovani asiatici che parteciperanno ai programmi del “Wake-up Center”, trovino per la loro vita i valori più preziosi nella fede cattolica anziché nel denaro e nel potere umano, impegnandosi concretamente per la trasmissione dei valori cristiani. I giovani sono un potenziale umano straordinario, contagiano positivamente il mondo, pertanto loro possono cambiare il mondo d’oggi e dare un impulso nuovo alla Chiesa. Se i giovani asiatici cambiano e si rinnovano alla luce della fede, anche il futuro del continente asiatico potrà essere garantito. Sono certo che il “Wake-up Center” sarà in grado di essere un piccolo seme per un’abbondante mietitura nella nostra amata Asia.
C’è un augurio che vorrebbe fare per questo anno giubilare per l'intera Penisola?
R. - Dopo la Guerra coreana (1950-1953), la Corea del Sud era uno dei Paesi più poveri del mondo, ma oggi è inserita nella lista tra le dieci potenze economiche più affermate a livello mondiale. Nonostante tutto, la Penisola coreana è ancora divisa, rimanendo oggetto della competizione geopolitica internazionale. La grave ferita provocata della Guerra fredda, considerata ormai finita, è per noi ancora aperta. Mi torna alla memoria il fulcro della regola di san Benedetto da Norcia “Ora et labora”; per ottenere dei buoni risultati, dobbiamo prima d’ogni cosa chiedere la grazia divina, pregando. Di fronte alle continue incertezze che immancabilmente l’uomo sperimenta, il nostro unico compito è quello di aumentare la preghiera fiduciosa in Dio Padre, che sa perfettamente ciò di cui i suoi figli hanno bisogno. Come vescovo, il mio profondo desiderio è che la grazia di questo speciale Giubileo scenda abbondante sul popolo coreano, affinché tragga la forza per mettere in atto quanto espresso dal Signore: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!" (Att. 20:35). Infine, il nostro impegno sarà di accogliere e dare seguito alle eloquenti parole che Francesco ci ha rivolti nel suo messaggio per tale fausta ricorrenza: "...che questa eccezionale eredità di martiri coreani ispiri tutto il popolo di Dio ad operare per la diffusione del Vangelo e l'estensione del suo Regno di santità, giustizia e pace. In questo modo, la Chiesa in Corea diventerà sempre più pienamente una casa con porte aperte, accompagnando la vita, sostenendo la speranza, costruendo ponti e seminando semi di unità e riconciliazione".
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