Quindici anni fa l’omicidio di don Santoro: la sua eredità è la missionarietà
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
È il 5 febbraio del 2006. Don Andrea Santoro, sacerdote fidei donum della diocesi di Roma, è inginocchiato nell’ultimo banco della chiesa Santa Maria a Trabzon, in Turchia. Viene assassinato da un giovane mentre prega con la Bibbia tra le mani. La testimonianza e l’eredità del sacerdote romano sono indelebili. Nel 15.mo anniversario della sua morte, il cardinale Enrico Feroci ricorda l’amico don Andrea in un video, diffuso sul canale Youtube della Diocesi di Roma. ”Era un uomo di Dio, un uomo con una profonda fede, che aveva compreso l’importanza della Chiesa in Medio Oriente. Lui la chiamava ‘la nostra madre’. Una madre che doveva essere accudita, rispettata ed aiutata”. Il cardinale Feroci torna poi con la mente a pochi giorni prima di quel brutale omicidio: “lo avevo accompagnato all’aeroporto di Fiumicino e ci eravamo salutati prima che partisse per la Turchia. Quattro giorni dopo - ho ancora nelle orecchie il grido disperato della persona che mi ha avvisato - è stato ucciso. In quel momento, il mondo ci è cascato addosso”. "Ma il sangue dei cristiani – sottolinea il porporato - è seme per nuovi cristiani”. Un seme per “persone nuove nell’ascolto della Parola di Dio e nel servizio ai fratelli".
Il corpo di don Andrea Santoro presto sarà traslato nella parrocchia romana dei Santi Fabiano e Venanzio, che il sacerdote fidei donum ha guidato dal 1994 al 2000. In questa parrocchia, alla vigilia del quindicesimo anniversario della morte di don Andrea, si è tenuta ieri sera una veglia di preghiera. La speranza della comunità è quella di poter “riabbracciare” don Andrea per Pasqua. Il parroco, don Fabio Fasciani, sottolinea a Vatican News che custodire la salma di don Santoro sarà un monito per ricordare che siamo in qualche modo eredi della missione.
R.- Speriamo che tornerà a breve. Adesso c’è tutto l'iter burocratico che si deve svolgere. E poi speriamo che, entro qualche settimana o qualche mese, la salma possa ritornare in parrocchia.
Nella sua parrocchia…
R. - Si, don Andrea è stato parroco qui dal 1994 al 2000. Poi nel 2000 si è trasferito in Turchia. La prima meta è stata Urfa. E poi, successivamente, è stato mandato dal vescovo locale in quel bel centro che è Trabzon. Qui c’era stata una presenza cristiana con una comunità di frati che però da decenni erano andati via. Don Andrea ha riaperto quella chiesa e quel convento e stava vivendo quella realtà.
E poi proprio a Trabzon don Andrea è stato ucciso il 5 febbraio del 2006. Cosa significherà per la comunità della parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio custodire la sua salma?
R. - Indubbiamente, per noi custodire la salma di don Andrea significa custodire la memoria, il memoriale. C'è un eredità che don Andrea ci lascia. C’è un eredità che don Andrea sicuramente lascia non solo alla nostra comunità parrocchiale, ma anche a tutta la comunità diocesana. Ed è la missionarietà, lo spendersi fino in fondo.
Nella parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio ieri, alla vigilia del quindicesimo anniversario dell'uccisione di don Andrea Santoro, si è svolta una veglia di preghiera …
R. - Ieri sera, durante la veglia dicevo che don Andrea ha difeso gli elementi essenziali della vita cristiana, piccolissima, assolutamente quasi impercettibile, in Turchia. E questo forse deve essere oggi la nostra missione, il nostro compito come cristiani, come testimoni dell’amore di Cristo. Avere questa pietra miliare in parrocchia deve essere un monito per ciascuno di noi: ricordarci che siamo in qualche modo eredi di questa missione, che don Andrea ha iniziato e che, chiaramente, tutti noi abbiamo il dovere come Chiesa di portare avanti. Dicevo ieri che non è l’ideologia cristiana, il mettere una bandiera, ma è l’amore di Cristo che deve essere testimoniato da ogni uomo. Credo che questo fosse proprio nelle corde di don Andrea: l’andare lì per ricordare che Cristo è presente e che quindi la carità di Cristo e del Padre è presente attraverso le mani misericordiose e benevole della Chiesa.
La testimonianza di don Andrea non può essere dimenticata…
R. - Non deve essere dimenticata.. Guai a noi. Un salmo dice: “Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra, mi si attacchi la lingua al palato”. Guai a dimenticare coloro che ci hanno testimoniato Gesù Cristo. Papa Francesco e il cardinale vicario, Angelo De Donatis, hanno insistito tanto sulla necessità di riappropriarci della memoria delle nostre comunità parrocchiali. Abbiamo una storia che ci precede e abbiamo un futuro. È quindi necessario che ciascuno di noi ricordi da dove siamo venuti. Altrimenti, sarebbe come dimenticare il proprio padre, le proprie radici. Guai a noi. Dimenticare le radici della Chiesa significa sradicare un albero secolare impunemente e sperare che continui a vivere. Non si vive senza radici.
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