Polonia, aborto. Comece: la competenza in materia è degli Stati membri
Tiziana Campisi - Città del Vaticano
In una lettera inviata al presidente del Parlamento europeo, David Maria Sassoli, la Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece) esprime preoccupazione circa alcuni argomenti e punti chiave della Risoluzione del Parlamento stesso del 26 novembre scorso sul diritto all’aborto in Polonia perché intaccherebbero lo Stato di diritto e contesterebbero il diritto fondamentale all’obiezione di coscienza.
Le motivazioni del Parlamento europeo
Una sentenza del 22 ottobre della Corte costituzionale polacca ha dichiarato anticostituzionale - in quanto non conforme agli articoli della Legge fondamentale sulla protezione della vita del nascituro - ogni tipo di aborto, eccetto le interruzioni di gravidanza chieste da donne vittima di incesto o stupro, o nel caso che si profili un pericolo per la vita della madre, ed illegale anche l’interruzione di gravidanza nel caso di malformazioni gravi e letali del feto e di problemi sanitari tali da implicare l’inevitabile morte post parto del neonato. Il Parlamento Ue ha contestato la legge di Varsavia perché, impedendo l’interruzione di gravidanza anche nei casi di gravi e irreversibili malformazioni fetali, porta all’aumento di aborti illegali e più pericolosi e mette così a rischio la salute e la vita delle donne.
Il diritto all'aborto compete agli Stati membri
“La Chiesa Cattolica, la quale si sforza di sostenere le donne in situazioni di vita derivanti da gravidanze difficili o indesiderate, richiama alla protezione e alla cura di tutta la vita nascente - scrive la Comece -. Ogni persona umana è chiamata in vita da Dio e ha bisogno di protezione, soprattutto quando è più vulnerabile. Una speciale salvaguardia e cura del bambino, prima e dopo la nascita - prosegue la lettera - è espressa anche negli standard legali internazionali, per esempio nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’infanzia”. Per le Conferenze Episcopali dell’Unione Europea “alle donne in situazioni di vita travagliate, come nel caso di gravidanze indesiderate o difficili” deve essere fornito tutto il sostegno necessario, ma è da evidenziare che “da un punto di vista giuridico … né la legislazione dell’Unione Europea, né la Convenzione Europea dei Diritti Umani prevedono un diritto all’aborto. La questione è di competenza dei sistemi giuridici degli Stati membri”.
La preoccupazione dei vescovi
I vescovi d’Europa ricordano poi che “un principio fondamentale dell’Unione europea è il principio di attribuzione, in base al quale l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze a lei conferite dagli Stati membri nei trattati” e che “il rispetto rigoroso di questo principio è, a sua volta, un requisito dello Stato di diritto”, tra i valori fondamentali dell’Unione. Lo Stato di diritto, a sua volta, “richiede anche il rispetto delle pertinenze degli Stati membri e delle scelte da essi operate nell’esercizio delle loro esclusive competenze”. Per la Comece, in tal senso, la risoluzione del Parlamento europeo è particolarmente preoccupante lì dove sembra contestare il diritto fondamentale all'obiezione di coscienza, che deriva dalla libertà di coscienza, perché, “nel settore sanitario gli obiettori di coscienza sono, in molti casi, oggetto di discriminazione”. “È necessario considerare i diritti fondamentali - come la libertà di pensiero, di coscienza e di religione - alla luce della loro universalità, inviolabilità, inalienabilità, indivisibilità e interdipendenza” afferma il Comitato permanente della Comece. Circa il diritto all’obiezione di coscienza, il cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente, monsignor Mariano Crociata, primo vicepresidente, e i vicepresidenti monsignor Franz Josef Overbeck, monsignor Noel Treanor e monsignor Jan Vokal, precisano che “la Carta dell'Unione europea comporta la necessità di rispettare le tradizioni costituzionali nazionali e lo sviluppo delle legislazioni nazionali in materia”.
Il diritto alla non discriminazione
La Comece, inoltre, osserva che “la risoluzione del Parlamento europeo fa riferimento in diversi passaggi al diritto alla parità di trattamento e alla non discriminazione” e ritiene preoccupante “che il principio di non discriminazione possa essere usato per estendere o offuscare i limiti delle competenze dell’Unione europea”. Le Conferenze Episcopali dell’Unione Europea fanno presente, poi, che la Carta dell’Unione europea “non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione stessa”.
Inaccettabili gli attacchi alle Chiese e luoghi di culto
Concludendo, la Comece nota “con amarezza che nel testo nessuna condanna o tantomeno solidarietà è stata espressa riguardo agli inaccettabili attacchi alle Chiese e ai luoghi di culto, avvenuti in Polonia nel contesto delle proteste legate a questa legge”. Infine, comunica di essere a disposizione del Parlamento europeo “per qualsiasi chiarimento che possa essere necessario su questo tema”, con la consapevolezza “che la risoluzione avrà un impatto fortemente negativo sul modo in cui l’Unione è percepita dagli Stati membri”.
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