Il cardinale Bo: l'unica via percorribile per il Myanmar è la riconciliazione
Adriana Masotti - Città del Vaticano
In Myanmar, dopo l’arresto lunedì scorso, a seguito del colpo di Stato organizzato dall’esercito, per Aung San Suu Kyi è arrivata ora l’accusa per cui rischia fino a due anni di carcere. Secondo i membri del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), la leader birmana sarebbe stata incriminata per il possesso di walkie-talkie nella sua abitazione. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha condannato il colpo di Stato ma il Consiglio di Sicurezza non ha concordato al momento una dichiarazione comune. Guterres ha dichiarato che farà tutto ciò che è in suo potere "per mobilitare la comunità internazionale affinché il colpo di Stato fallisca". “E’ assolutamente inaccettabile - ha aggiunto - cambiare i risultati delle elezioni, la volontà del popolo".
Il cardinale Charles Bo: basta con le violenze
E alla comunità internazionale si rivolge con un messaggio indirizzato prima di tutto al popolo del Myanmar e all’esercito stesso, il Tatmadaw, l’arcivescovo di Yangon e presidente dei vescovi birmani, il cardinale Charles Maung Bo. Nel testo pubblicato ieri sul sito della sua arcidiocesi, il porporato scrive: “Faccio appello a ciascuno di voi: restate calmi e non cadete mai vittima della violenza. Abbiamo già fatto scorrere fin troppo sangue. Non lasciamo che altro sangue sia versato in questa terra”. Il cardinale Bo si rivolge a tutti in veste di leader spirituale che in questo momento "partecipa ai sentimenti di milioni di persone". E’ questo uno dei “tempi più impegnativi della nostra storia”, afferma, ed è necessario trovare “una soluzione durevole” alle “tenebre che avvolgono la nostra cara nazione”. Il cardinale propone quella che crede sia l’unica strada e cioè la ricerca della pace, ritenendola una strada possibile. "Ci sono sempre vie non violente per esprimere la nostra protesta - scrive -. Gli eventi che stanno accadendo sono il risultato di una triste mancanza di dialogo e comunicazione e di uno scontro tra visioni diverse. Non lasciamo avanzare l'odio in questo momento in cui lottiamo per la dignità e la verità.”
Le promesse di democrazia del Tatmadaw
L’arcivescovo di Yangon cerca di ricostruire quanto accaduto e si chiede che cosa sia andato storto dopo il 2015, quando grazie all’esercito la nazione ha potuto vivere una transizione pacifica del potere al governo eletto, sotto gli occhi ammirati del mondo. “C'è stata - scrive - una mancanza di dialogo tra le autorità civili elette e il Tatmadaw?” L’esercito, osserva il cardinale Bo, aveva “promesso pace ed autentica democrazia” e la democrazia è stata la via della speranza per raggiungere il bene comune. Recentemente milioni di persone hanno votato per la democrazia, sottolinea, ma ora l’esercito “ha unilateralmente preso il controllo”. E il mondo ha condannato questa decisione. E avverte, “le accuse di irregolarità nel voto si sarebbero potute risolvere con il dialogo, in presenza di osservatori neutrali”. Di fronte alle promesse di nuove elezioni democratiche avanzate dall’esercito, il porporato afferma che il popolo potrà avere fiducia solo se tali promesse saranno accompagnate da azioni che dimostrino l’effettivo amore verso di esso. Il cardinale Bo ripete l’appello perché verso le persone non sia fatta alcuna violenza, mentre costata che oggi i deputati della Lega nazionale per la democrazia, ma anche scrittori, attivisti e giovani sono agli arresti. La richiesta è di un loro rilascio al più presto.
Ad Aung San Suu Kyi: doveroso l'ascolto degli altri
Rivolgendosi poi in particolare a Aung San Suu Kyi, l’arcivescovo di Yangon riconosce quanto la leader birmana abbia sacrificato la vita per il suo popolo sperimentando la luce dopo le tenebre, e a lei offre la personale vicinanza e la preghiera perché “tu possa ancora una volta camminare in mezzo al tuo popolo, sollevando il suo animo”. Tuttavia le ricorda il dovere di porsi in ascolto degli altri, perché “questo incidente si è compiuto a causa della mancanza di dialogo e di comunicazione e per la mancanza del riconoscimento reciproco tra le parti”.
No a sanzioni internazionali che condannano il popolo alla povertà
Il cardinale Charles Bo termina il suo messaggio con sentimenti di gratitudine verso la comunità internazionale per l’accompagnamento in questo momento alle vicende del sua nazione, ma chiede che non vengano adottate misure che alla fine danneggiano il popolo e con forza afferma: “Sanzioni e condanne porterebbero pochi risultati. (…) Queste misure dure hanno fornito un grande beneficio a quelle superpotenze che hanno posato gli occhi sulle nostre risorse. Vi imploriamo: non forzate le persone coinvolte a barattare la nostra sovranità”. Il rischio è il crollo dell’economia per il Myanmar e la povertà per milioni di persone. Da qui l’appello finale: “Coinvolgere le parti nella riconciliazione è l'unica strada. (…) Lasciateci risolvere le nostre dispute con il dialogo. La pace è possibile. La pace è l’unica via. La democrazia è l’unica luce per questa via”.
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