Iraq, il parroco di Qaraqosh: la visita del Papa sarà una "medicina"
Michele Raviart - Città del Vaticano
A Erbil, nel nord dell’Iraq la milizia sciita “Guardiani del Sangue” ha rivendicato il lancio di razzi che in nottata ha colpito la zona tra l’aeroporto e la base delle forze della coalizione internazionale, e ha causato la morte di un contractor civile e il ferimento di almeno 5 persone. Indignazione è stata espressa da neo segretario di Stato Usa Antony Blinken e dagli alleati di Washington. L’attacco arriva a poche settimane dal viaggio del Papa nel Paese. Il 7 marzo Francesco sarà a Qaraqosh, per incontrare la comunità cristiana nella Chiesa dell’Immacolata Concezione ricostruita dopo la distruzione da parte dello Stato Islamico. La città irachena si sta preparando a questa visita, spiega padre Georges Jahola, parroco tra gli organizzatori del viaggio:
R. - Ci stiamo preparando forse in modo molto semplice, come Papa Francesco è semplice nel suo rapporto con la gente, però con molta serietà. Proprio ieri avevamo l'incontro dei giovani che si stanno esercitando per accogliere il Papa con i canti e si stanno preparando spiritualmente per riceverlo. Stiamo anche preparando la Chiesa perché è stata distrutta e bruciata. Il restauro è stato avviato qualche mese fa e siamo nella fase finale dei lavori che riguardano anche all'interno.
Noi abbiamo seguito da sempre, da quando è ricominciata la guerra in Iraq, la sorte dei cristiani nel Paese. Che cosa significa avere il Papa tra voi, dopo tante perdite e tanto dolore causato dal jihadismo dello Stato Islamico?
R. - Sicuramente la visita del Papa da noi è come fosse un rimedio per gli eventi che ci sono stati prima: dove c'era la violenza, oggi viene la pace, viene un' autorità che parla sia all'ambiente politico sia a quello ecclesiale. E noi ne abbiamo bisogno. Quindi la venuta del Papa è per noi una specie di medicina: con lui qui riusciremo sicuramente a capire nel profondo il suo messaggio.
La Chiesa dell'Immacolata Concezione era stata distrutta dai jihadisti. In questo senso, che significato ha incontrare il Papa proprio all'interno di questo edificio sacro e ferito, e ritornare qui a celebrare?
R.- È segno della tenacia che abbiamo, e della tenacia della Chiesa in tutto il mondo. Sostenere una comunità che è colpita duramente, anche restaurando un edificio, è un segno molto importante e significativo perché sicuramente questa Chiesa è stata bruciata volutamente per dare un messaggio a questo popolo: "Non dovete stare qui". Tornare con il Santo Padre qui significa molto e rafforza la nostra esistenza qui, significa tornare alle radici della nostra storia e della nostra fede, e ci dice che la Chiesa universale, rappresentata dal Santo Padre, è con noi.
In molte parti del vostro Paese c'è ancora la guerra, sono le notizie delle ultime ore. In generale a Qaraqosh qual è la situazione? La città e pacificata? Come si vive quotidianamente adesso?
R.- Da quando è stata liberata la città il 23 ottobre 2016 non ci sono stati segni di violenza e per questo siamo tornati nelle nostre case. Il clima è molto tranquillo e pacifico, perché noi come cristiani in città siamo in maggioranza e seminiamo quello che abbiamo, quindi le cose positive sono più di quelle negative. Anche se la visita del Papa è per Qaraqosh, in cui la maggior parte dei fedeli sono siro- cattolici, invitiamo tutta la Piana di Ninive a partecipare a questo evento. Quindi i cristiani di tutti i villaggi, di tutte le chiese che esistono: ortodossi, cattolici, caldei... Tutti saranno qui invitati a partecipare e gioire con noi in questo momento.
C'è il rischio che non si possa partecipare a questi incontri per la pandemia?
R. - Anche su questo stiamo lavorando. La gente vuole rispettare le regole sanitarie per diminuire il contagio e non lasciare che questa minaccia blocchi l'arrivo del Papa. Questo problema sicuramente noi lo teniamo molto presente.
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